
Chiudiamo gli occhi e contiamo fino a 28.000. Più 28mila vittime nel Mediterraneo. Ventottomila persone, come registrato da Missing Migrants Project hanno perso la vita dal 2014 ad oggi nel tentativo di raggiungere le coste europee. Ci vogliono più di 7 ore per contare fino a 28.mila, scandendo in maniera ininterrotta il conteggio al secondo. Per osservare questa strage perpetua abbiamo impiegato dieci anni. Dieci anni di nulla, dieci anni di «Mai più», 10 anni in cui si è passati dal «Salviamo più vite possibile» come priorità al ritorno in auge del controllo delle frontiere e del respingimento delle persone migranti definite «clandestini», passando per una crescente criminalizzazione di chi attraversa il mare e di chi salva vite. Questo è ciò che ci portiamo dietro da quella strage avvenuta a Lampedusa il 3 Ottobre del 2013.
Dopo il 3 Ottobre 2013
Quando dieci anni fa furono rinvenuti i corpi di 368 persone, molte delle quali di origine Eritrea, dal Mar Mediterraneo, al largo delle coste dell’Isola di Lampedusa, sembrava che davanti a quell’avvenimento saremmo stati in grado di capovolgere la nostra visione del fenomeno migratorio, che stava coinvolgendo sempre di più il nostro paese e l’Europa. Era all’epoca la strage più grave mai avvenuta in quella rotta e ancora oggi rimane uno degli eventi più drammatici che ha coinvolto le persone migranti che hanno attraversato il Mediterraneo. Fu un evento che mise di fronte agli occhi di molte persone come le migrazioni non dovessero essere più trattate come un’emergenza, ma dovessero essere considerate come un fenomeno strutturale.
Dopo quel 3 ottobre nacque la missione pubblica italiana Mare Nostrum, un’operazione militare che riuscì a portare in salvo 100.250 persone secondo quanto dichiarato dall’allora Ministro dell’Interno Angelino Alfano. Ciononostante, in quegli anni il dibattito politico sulla migrazione continuò ad inasprirsi e mentre la commozione generale iniziò a scemare, lasciando il posto al ritorno della strategia della paura nei confronti delle persone migranti, dall’operazione Mare Nostrum si passò col governo Renzi a Triton, un’operazione europea di controllo dei confini in collaborazione con la neonata Frontex.
La fine della commozione
Il ritorno a politiche migratorie in chiave securitaria e respingente è stato caratterizzato da una campagna mediatica in cui si ripete la sovrapposizione fra i termini «criminale» e « straniero», in cui si sono confermati accordi con la Libia affinché si impedisse alle persone di partire, in cui le ONG, in particolare nel biennio 2018-2019, venivano costantemente criminalizzate, spesso impedendo loro di sbarcare in porti sicuri traendo in salvo le persone migranti soccorse. Il 3 Ottobre del 2013 abbiamo avuto una strage davanti agli occhi e dopo aver urlato «Vergogna!» troppe persone hanno scelto di smettere di guardare mentre il numero di migranti morti in mare ha continuato e continua a crescere.
Ce lo hanno ricordato quest’anno la strage di Cutro avvenuta a Febbraio in cui sono morte 94 persone e, tre mesi dopo, la strage avvenuta a Pylos nell’Egeo in cui hanno perso la vita più di 600 persone. Eppure, anche davanti a queste stragi su cui si sta ancora indagando, il governo italiano ha proseguito con la sua politica del rifiuto, continuando ad assegnare porti lontani alle Ong che operano nel Mediterraneo, colpendo il sistema di d’accoglienza e potenziando le strutture di detenzione. Un attacco che (incredibilmente) ha preso il nome di quella città che è stata teatro della più grande strage nel Mediterraneo avvenuta in acque Italiane quest’anno. Così i corpi migranti sono ignorati e criminalizzati, sia in mare che in terra, deumanizzat,i sia da morti che da vivi.
Non solo numeri
Si ripete «più 28.000 persone morte in 10 anni»: i numeri sono lo strumento principale con cui si narra la migrazione da venti anni a questa parte, alimentando spesso il tono di allarme, deumanizzando chi è rappresentato dai freddi numeri, costruendo un lessico bellico che sovrappone i concetti di invasione «invasione» e di «difesa dei confini». I numeri sono ancora quelli che ricordiamo mentre si registrano arrivi record a Lampedusa.
Essi ci possono dare un’idea parziale delle dimensioni e dell’evoluzione del fenomeno migratorio, ma in questi dieci anni non sono mai serviti ad una reale responsabilizzazione collettiva nella tutela di chi migra. Sono stati, invece, strumentalizzati per dipingere una massa informe di pericolose persone in arrivo in Italia, per suscitare compassione quando quell’arrivo non giunge mai, capovolgendo poi quel sentimento in un’altra forma di rifiuto: «Non devono partire».
Si omette sempre la storia dietro le persone, storia che non è sempre solo individuale: dietro la vicenda che porta una persona a migrare si possono vedere tanto i sogni di un futuro migliore di tanti giovani che lasciano il proprio paese, quanto situazioni politiche drammatiche. Lo ricorda Annalisa Camilli su Internazionale, quando cita Torpekai Amarkhel, la giornalista e attivista per i diritti umani afghana che ha perso la vita proprio nel naufragio di Steccato Cutro.
Spesso questa storia rimane sospesa a tal punto che ancora non si riesce a regolamentare il riconoscimento e l’identificazione di chi perde la vita in mare che non lascia semplicemente i famigliari in un limbo emotivo, ma, come sottolinea Tareke Brhane presidente del Comitato 3 Ottobre su Il Fatto Quotidiano, può causare difficoltà anche dal punto amministrativo, ad esempio, impedendo a «un orfano di fruire della possibilità di essere ricongiunto con i familiari ancora in vita.».
Queste sono alcune delle questioni che risuonano da quel 3 Ottobre del 2013, quando abbiamo visto l’umanità e i diritti umani naufragare insieme a quelle persone, mentre da un lato per alcuni la commozione non ha perso tempo a scemare, per altri la rabbia continua ancora a bruciare. Il 3 Ottobre, infatti non deve essere una semplice giornata di commemorazione, ma un punto di caduta in cui continuare a guardare il presente, per plasmare un futuro in cui chi migra non sia più dipinto come un criminale, in cui il Mediterraneo non sia più un cimitero grazie allo Stato, in cui nessuna perdita di vita possa essere strumentalizzata facendo emergere – non possiamo dimenticarlo – le peggiori ideologie razziste.
Chiudiamo gli occhi e contiamo fino a 28.000: non è un imperativo o un invito, è ciò che silenziosamente stiamo facendo collettivamente da 10 anni. Ancora non sono passate quelle sette ore per finire il conteggio prima che salga, che forse sta già salendo.
Questo 3 Ottobre, giornata della memoria per le vittime della migrazione e dell’accoglienza deve ricordarci qualcosa di fondamentale: siamo ancora in tempo per aprire gli occhi e smettere di contare.