
di Stefania N’Kombo José Teresa
A distanza di poco più di tre mesi da quanto avvenuto a Cutro, il Mediterraneo diventa scenario di una nuova strage: nella notte fra il 13 giugno e il 14 giugno un peschereccio con a bordo 750 migranti si ribalta in mare. 108 persone vengono salvate, 79 i corpi recuperati ad oggi, centinaia sono i dispersi.
I fatti
Il 10 Giugno, da Tobruk, in Cirenaica, un peschereccio lungo circa 30 metri parte in direzione dell’Italia, a bordo, stando alle testimonianze dei superstiti, erano presenti 750 persone fra cui donne e minori. Dopo quattro giorni di viaggio, la mattina del 13 giugno l’attivista di Alarm Phone Nawal Soufi lancia su twitter l’allarme della presenza di un’imbarcazione nel Mar Ionio a qualche miglia nautica da Pylos, in acque internazionali. Lungo il corso della giornata rimane al telefono con i naviganti: in un approfondito comunicato l’ONG che si occupa di segnalare alle autorità competenti le imbarcazioni in pericolo, non solo denuncia l’accaduto ma riporta una precisa timeline delle comunicazioni inviate.
Si legge come i migranti a bordo cercassero disperatamente aiuto a causa dell’assenza di acqua, di sei persone decedute nell’imbarcazione, del capitano della nave che fugge, delle difficoltà a mandare la loro posizione, di due navi mercantili sotto l’autorità della guardia costiera greca che hanno lanciato bottigliette d’acqua all’imbarcazione mettendo in pericolo le persone a bordo, come puntualizza Nawal in un articolo su La Repubblica.
Le comunicazioni si fanno sempre più difficoltose la sera del 13 giugno: la guardia costiera greca raggiunge il peschereccio solo nella notte, ancora senza intervenire. Alle 2.45 del 14 giugno si spegne il motore del peschereccio che inizia a perdere sempre più stabilità. L’imbarcazione si ribalta, il tutto sotto gli occhi delle autorità elleniche.
I mancati soccorsi
Un’altra strage, un altro giro di valzer in cui le autorità si scaricano le responsabilità sul mancato soccorso. Alarm Phone dichiara di aver allertato Frontex, la guardia costiera maltese, italiana e greca e l’UNHCR; la guardia costiera dichiara di essere intervenuta con un’imbarcazione, ma che i migranti hanno rifiutato l’aiuto, decidendo di proseguire per l’Italia. Eppure, stando alle testimonianze della ONG e dei superstiti, i 750 a bordo per tutto il giorno hanno chiesto disperatamente soccorso: «Qui siamo troppi, non riusciremo a superare la notte» sono le parole che vengono riportate in tutte le testate giornalistiche. I 108 superstiti si trovano ora Kalamata, in Grecia, 27 persone ricoverate in ospedale, le altre ospitate in un magazzino.
Attualmente sono in corso le indagini relative alle cause del mancato soccorso.
Ciò che è certo è che ancora una volta, davanti a una strage annunciata, le autorità competenti hanno scelto di non intervenire, in un’inerzia che si allinea con i respingimenti che avvengono nelle frontiere, i maltrattamenti che i migranti subiscono in Grecia da parte delle forze dell’ordine, le politiche criminalizzanti nei confronti di chi migra e chi salva come avviene in Italia. L’Europa, mentre si accinge a siglare accordi di cooperazione con la Tunisia in tema di politiche migratorie, ostacola gli accessi legali costringendo chi decide di lasciare il proprio paese a utilizzare quei canali migratori irregolari, che, va ribadito, sono sempre più pericolosi.
Risuonano le voci delle richieste di aiuto, continua a rimanere viva la speranza di un aumento del numero dei superstiti, seppur rimane la certezza che il numero destinato a crescere è quello delle persone che non sono riuscite a sopravvivere a questo viaggio.E’ viva e sincera la nostra vicinanza alle famiglie superstiti e rinnovata la rabbia davanti a questa ennesima strage nel Mediterraneo che poteva essere evitata se solo le istituzioni nazionali ed europee lo volessero davvero.