Il 6 Novembre scorso è stato siglato un Protocollo d’Intesa in materia di gestione dei flussi migratori tra la premier Giorgia Meloni e il premier albanese Edi Rama. In base al Protocollo, l’Albania offre all’Italia la possibilità di costruire sul proprio territorio due strutture a giurisdizione italiana, in cui potranno essere traferiti i migranti soccorsi dalle navi militari italiane.
Sono state tante le reazioni alla notizia che hanno espresso un giusto sdegno e una profonda preoccupazione rispetto a quella che sembra essere l’ennesima operazione propagandistica compiuta dal Governo italiano in materia di migrazione.
Il contenuto del Protocollo
Il protocollo prevede la messa a disposizione da parte dell’Albania dell’area corrispondente al porto di Shengjin in cui costruire un hotspot per gestire gli sbarchi, l’identificazione e il primo soccorso. Nell’area di Gjader, a 20 chilometri dal porto, verrà invece costruita una struttura di trattenimento per eseguire le procedure accelerate di frontiera, sul modello dell’attuale struttura presente a Pozzallo e non, come si pensava inizialmente, un Centro di Permanenza per il Rimpatrio. Secondo l’accordo sarà possibile ospitare un massimo di 3.000 migranti alla volta sul territorio albanese, ad esclusione di donne, minori e persone ritenute vulnerabili che verranno invece accolti nel territorio italiano. I migranti “trattenuti” in Albania, qualora dovessero venire meno le condizioni affinché sia necessaria la permanenza all’interno della struttura, saranno trasferiti dalle autorità italiane al di fuori del territorio Albanese. Sempre le autorità italiane, hanno il compito di occuparsi anche degli spostamenti tra una struttura e l’altra.
L’accordo dura 5 anni e si rinnova tacitamente per altri 5 anni se nessuna delle due parti comunica espressamente l’intenzione di non voler procedere al rinnovo.
Un accordo opaco e secondo molti illegale
Come anticipato, sono tante le reazioni che si sono succedute in merito a questo accordo che presenta ancora moltissime zone d’ombra. Le attenzioni di molti commentatori si sono concentrate sia sui costi che l’Italia dovrà affrontare per allestire e gestire le strutture in territorio albanese, per il trasferimento dei migranti da e per l’Italia e per garantire l’esecuzione dei rimpatri, sia sulla fattibilità reale di quanto scritto nel testo, prospettando possibili profili di incostituzionalità e disposizioni non conformi al diritto internazionale. L’accordo infatti, come molte scelte compiute negli ultimi anni riguardo alla gestione dei flussi migratori, esplicita la volontà di non accogliere le persone migranti evitando di far toccare il suolo italiano a chi verrà soccorso dalle navi militari. Si teme quindi, come sottolinea Fulvio Vassallo Paleologo in un articolo per Vita, l’ipotesi di respingimento collettivo, pratica condannata dalla Corte Europea nel 2012. Si aggiungono poi ulteriori perplessità su come è possibile mantenere la tutela dei diritti dei richiedenti asilo in un territorio al di fuori dell’Unione Europea e che non risponde al Trattato di Dublino. Come afferma in un’intervista per il Manifesto il giurista Maurizio Veglio, socio ASGI, il diritto d’asilo è messo gravemente a rischio proprio per la difficoltà d’applicazione della normativa italiana in un contesto extraterritoriale.
Davanti alla «materialità del non ingresso», utilizzando le parole di Veglio, è infatti chiara la deumanizzazione dei migranti, narrati fin da subito come “illegali” – quando, si ricorda che dal punto di vista legislativo, questo può essere valutato solo in seguito all’esito della richiesta d’asilo – e trattati a conti fatti come quel “carico residuale” a cui aveva alluso il Ministro dell’Interno poco meno di un anno fa.
I costi umani ed economici dell’accordo
Resta aperto il dibattito sui costi che l’Italia dovrà affrontare, a seguito dell’ennesima scelta di trattare il fenomeno migratorio con un approccio emergenziale e con politiche criminogene e votate al rifiuto di chi migra. Secondo quanto indicato nella versione albanese dell’allegato 1 dell’accordo saranno depositati, come riportato da Francesco Grignetti per la Stampa, 100 milioni di euro in un fondo di garanzia presso un istituto bancario terzo. 16,5 milioni di euro l’anno dovrebbero essere versati all’Albania come rimborso delle spese sostenute e il pagamento per il primo anno dovrebbe avvenire entro tre mesi. Saranno infatti a carico dell’Italia le spese di allestimento e di gestione delle strutture, di trasferimento dei migranti, le spese mediche nonché per la garanzia della sicurezza all’interno delle strutture.
Molti commenti si sono soffermati sulle difficoltà gestionali che l’Italia potrebbe dover affrontare. La struttura che sarà costruita a Gjader sarà un centro di trattenimento in cui i richiedenti asilo entro un mese dovrebbero ricevere i risultati della richiesta d’asilo. Già si è detto come si stiano riscontrando delle enormi difficoltà amministrative nel rispondere al grande numero richieste di asilo a causa di un personale ridotto. Le procedure relative alla domanda d’asilo possono durare molti mesi. Come sarà possibile valutare in un mese oltre tremila richieste d’asilo presentate al di fuori del territorio Italiano, assicurando, secondo le dichiarazioni della Presidente del Consiglio italiana, l’esame di trentaseimila domande in un anno? Come sarà possibile garantire il diritto al ricorso contro eventuali provvedimenti di diniego dell’asilo? E soprattutto, come e chi potrà vigilare sulle eventuali violazioni dei diritti umani fondamentali compiute in strutture chiuse collocate in un paese straniero?
Sono tutte domande a cui è difficile rispondere.
Foto in copertina di Sandor Csudai