
Secondo i dati del Ministero dell’interno, in Italia sono sbarcati dal 1° gennaio al 15 Ottobre 2023 140.006 migranti, quasi il doppio rispetto ai 75.471 dell’anno precedente e quasi il triplo rispetto ai 49.295 del 2021. Nel sistema di accoglienza, invece, nello stesso periodo sono stati registrati 141.106 migranti, di cui 828 presenti negli hotspot, 105.911 nei centri di accoglienza e, fino al 30 Settembre 2023, 34.367 nei progetti SAI.
Se molto si è parlato, anche in vista delle europee, della gestione delle politiche migratorie, è essenziale, invece, distinguere questo argomento da quello che effettivamente è il sistema di accoglienza, che in questo momento, come denunciato da mesi anche dalle amministrazioni comunali, è andato in cortocircuito. Le difficoltà che si stanno incontrando non dipendono solamente dalla crescita degli arrivi registrata quest’anno, ma sono conseguenza della gestione emergenziale di un fenomeno che è strutturale.
Le fasi dell’accoglienza
Vediamo come è strutturato il sistema di accoglienza italiano seguendone le fasi, come stabilito dal Dlgs 142/2015.
La prima fase è quella della cosiddetta prima accoglienza, questa avviene al momento dell’arrivo delle persone migranti negli hotspot. In queste strutture si effettua la prima assistenza sanitaria e si procede con l’identificazione e il fotosegnalamento: attraverso uno scambio di informazioni, si iniziano ad effettuare i primi distinguo fra i richiedenti asilo e i cosiddetti migranti economici.
Per chi manifesta la volontà di chiedere asilo, richiesta che secondo il trattato di Dublino va fatta nel paese di primo arrivo, lo stato mette a disposizione i cosiddetti Centri Governativi, delle strutture coordinate dal Ministero dell’Interno, atte a valutare le condizioni di salute delle persone migranti e a prendere in esame le domande dei richiedenti asilo. Fra i centri governativi rientrano anche i Centri d’Accoglienza Straordinaria (CAS), coordinati dalle Prefetture e dati in gestione a enti privati secondo la procedura di affidamento dei contratti pubblici prevista dal decreto legislativo 142/2015.
Questi servizi hanno visto un grande indebolimento tra il 2018 e il 2021: come sottolinea Gianfranco Schiavone in un articolo per Il Riformista la finalità demolitoria dietro i Decreti Salvini ha ridotto di molto i costi per garantire tutti i servizi alle persone ospitate nei CAS. «Le strutture di accoglienza per i richiedenti asilo, quando le gare non sono andate deserte, sono divenute sempre più strutture dismesse come vecchie caserme e capannoni in disuso), luoghi di parcheggio, degrado e segregazione sociale. Nei CAS, salvo qualche rara eccezione, le persone sono lasciate in balia di se stesse con una vita vissuta nella più totale inattività; in queste strutture è previsto un operatore sociale ogni 50 ospiti (di fatto non un operatore ma un semplice guardiano), il tempo medio per la mediazione linguistica è precipitata a 1,7 minuti al giorno per ospite, l’assistenza legale, servizio indispensabile per persone che affrontano una procedura complessa di esame della loro domanda di asilo, è ancora più rarefatta; quasi assenti i corsi di italiano, mentre totalmente assenti i percorsi di formazione e riqualificazione professionale.»
Il DL 20/2023, il cosiddetto decreto Cutro, ha depotenziato ulteriormente il sistema decretando il taglio definitivo nei CAS di servizi importanti come l’assistenza psicologica o l’orientamento sociale e al territorio oltre che ai corsi di lingua.
Lo stesso decreto ha previsto anche la presenza, al di fuori dal sistema di accoglienza, delle strutture di Trattenimento per le procedure accelerate di frontiera. In queste strutture, secondo quanto dichiarato inizialmente dal ministro dell’Interno, le richieste d’asilo dovrebbero essere valutate nell’arco di un mese. Questo tipo di centro attualmente è presente solo a Pozzallo ed è questa la struttura a cui si fa riferimento con il decreto 14 settembre 2023, con la possibilità per i migranti provenienti da paesi cosiddetti sicuri di pagare una cauzione di 4.938 euro, di cui abbiamo approfonditamente parlato in un precedente articolo, per evitare la detenzione in questo centro.
Una volta concluse le procedure di richiesta d’asilo in caso di esito positivo si accede al Sistema d’Accoglienza e Integrazione (SAI) (ex SPRAR-SIPROIMI). L’accesso ai progetti SAI, a seguito delle disposizioni entrate in vigore con il Dl Cutro, è riservato a precise categorie di migranti: titolari di protezione internazionale, minori stranieri non accompagnati (MSNA), persone che si trovano in condizioni di vulnerabilità – verificate nei Centri Governativi – e chi sia giunto in Italia attraverso corridoi umanitari. In alcuni casi l’accesso è previsto anche per persone richiedenti protezione ucraine e afghane, sono esclusi invece tutti gli altri richiedenti asilo. Il SAI prevede due livelli. Nel primo, riservato ai richiedenti asilo sopracitati, è prevista assistenza materiale, legale, sanitaria e linguistica, nel secondo livello, riservato ai titolari di protezione, ai precedenti servizi si aggiunge anche la possibilità di orientamento lavorativo. Il SAI è coordinato dal Servizio centrale, gestito dall’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani (Anci). I progetti di accoglienza all’interno del SAI sono promossi e gestiti su base volontaria dagli enti locali, in collaborazione con il terzo settore. Il modello di accoglienza avviato con lo Sprar (oggi SAI), profondamente snaturato a seguito delle ultime riforme normative, è nato con la finalità di fornire ai richiedenti asilo tutti gli strumenti necessari per inserirsi nel tessuto sociale del contesto di riferimento, attraverso un dialogo con le realtà del territorio e gli enti del terzo settore. Accoglienza, inclusione sociale e diffusione sul territorio, ne erano gli elementi costitutivi.
Purtroppo, tutto ciò è stato stravolto dai Decreti Salvini e ulteriormente indebolito dal Decreto Cutro: I Cas continuano a ospitare la grandissima parte dei richiedenti asilo, i servizi sono depotenziati, l’accoglienza è ridotta alla sua dimensione materiale, l’inclusione sociale resta privilegio di pochi.
Le criticità del sistema di accoglienza
Già dal 2021 Gianfranco Schiavone, dell’Associazione di Studi Giuridici per l’Immigrazione, nel numero 32 della rivista Altreconomia, notava come il DL 130/2020, cosiddetto Decreto lamorgese, pur superando i Decreti Salvini con il ripristino di un sistema di accoglienza diffusa, avesse delle lacune non da poco. Il SAI rappresenta solo il 10-15% dell’insieme dei posti di accoglienza, uno squilibrio esistente sin da quando sono stati istituiti i CAS. Una delle problematiche che spiegano questo squilibrio sta nella volontarietà da parte dei Comuni di aderire ai progetti SAI.
Le criticità, tuttavia, non sono presenti solo considerando le ultime fasi dell’accoglienza, ma anche nell’accesso stesso al sistema. Un altro fattore, infatti, che sta contribuendo al cortocircuito del sistema va rintracciato proprio nel DL. 20/2023.
La nuova crescita degli arrivi, con un aumento conseguente di richieste di asilo, ha comportato un aumento del carico di lavoro delle commissioni territoriali di esame delle richieste d’asilo. In primo luogo, il numero di funzionari non è sufficiente a coprire le numerose richieste di asilo. Secondo quanto riportato da Alessandra Ziniti, in un recente articolo pubblicato il 17 Ottobre scorso su La Repubblica, i funzionari che operano nelle commissioni territoriali di asilo sono 200, la metà rispetto al 2017. Di questi funzionari, non tutti poi, sottolinea la giornalista intervistando una commissaria di una commissione d’asilo di Roma, hanno le reali competenze necessarie. Il Dl Cutro, infatti, prevede che qualsiasi funzionario della Prefettura possa svolgere questo ruolo, previo un corso di formazione sottovalutando come le competenze richieste siano molto specifiche, comprendendo nozioni di geopolitica, diritto internazionale e normativa sui rifugiati. A ulteriore prova della mancata stabilità dell’organico dei funzionari per le commissioni d’asilo, è stato previsto un aumento di organico con l’ammissione di 178 amministrativi esperti in tema migrazioni – dalla gestione dei fondi fino appunto ai commissari delle commissioni d’asilo – mediante bando InPa, tuttavia il contratto, oltre a prevedere un numero insufficiente di assunzioni, copre solo la durata di due anni, senza assicurare una continuità reale nel settore.
A dare il colpo di grazia, poi, ci sono le procedure accelerate di frontiera: le commissioni, già sottorganico, si ritrovano a risolvere pratiche aperte anche tre anni prima e molte realtà e soggetti stanno denunciando come anche gli appuntamenti per presentare la richiesta di asilo in questi giorni sono fissati per Novembre 2024 e oltre.
Già da prima, guardando al caso di Milano, si sono riscontrati fra l’inizio dell’anno e il mese di aprile delle tensioni sulla richieste di asilo, come ben documentato dall’associazione Naga in un dossier pubblicato ad Aprile scorso. Già allora, l’associazione aveva denunciato l’inefficienza della Questura di via Cagni, nel rispondere alle numerose richieste di formulazione delle domande di asilo, con code lunghissime fuori dagli uffici e situazioni di tensione che spesso hanno comportato l’intervento delle forze dell’ordine. Come ha sottolineato la presidente dell’associazione «abbiamo assistito ad una sistematica violazione del diritto umano fondamentale a chiedere asilo e abbiamo assistito a pratiche violente e discriminatorie nei confronti delle persone in cerca di protezione.».
Il primato della politica del rifiuto
Questi sono alcuni esempi di precise scelte politiche che non si limitano a percorrere un approccio emergenziale per una semplice incapacità gestionale. E’ una scelta che, nascondendosi dietro la bandiera dell’accelerazione delle procedure di espulsione e di rimpatri – una comunicazione totalmente in antitesi con il concetto di accoglienza – produce semplicemente un aumento di persone senza documenti che per lo più non saranno rimpatriate a causa degli elevati costi che l’esecuzione di un provvedimento di espulsione comporta.
Quando si parla di rimpatri ed espulsioni in relazione alle politiche legate all’accoglienza, la mente corre subito ai CPR, ma torniamo a ricordare che i Centri di Permanenza per il Rimpatrio non sono centri di accoglienza. E’ indispensabile e importante ribadirlo perché le scelte attuate dai tanti governi che si sono succeduti nel corso degli anni hanno contribuito a inserire il tema della detenzione amministrativa nel dibattito sulla gestione dell’accoglienza. Un ossimoro che è, tuttavia, coerente con una narrazione incentrata sui migranti e richiedenti asilo che è focalizzata sui rimpatri e sulle espulsioni, due termini che ricorrono continuamente sulle bocche dei ministri.. Un esempio tra tutti è la previsione di un’ulteriore struttura di trattenimento in cui i richiedenti asilo in stato di detenzione amministrativa possono attendere che venga formalizzata la loro domanda. Il funzionamento e la giustificazione di questa tipologia di struttura non nasce semplicemente per accelerare la formalizzazione della richiesta di asilo, ma come lo stesso Ministro dell’Interno ha dichiarato per accelerare anche le procedure di espulsione.
Una dichiarazione che arriva la settimana successiva l’annuncio dell’attuale premier del prolungamento del tempo massimo all’interno dei CPR a 18 mesi; anche in questo caso le ragioni sono le stesse: avere «tutto il tempo necessario, non solo per fare gli accertamenti dovuti, ma anche per procedere con il rimpatrio di chi non ha diritto alla protezione internazionale».
Questo focus narrativo sul rifiuto delle persone migranti che arrivano nel nostro paese, indipendentemente dal fatto che abbiano diritto a rimanere, è la reale antitesi all’accoglienza. Un’antitesi di pensiero che continua a descrivere le persone di origine straniera come una presenza straordinaria nella nostra quotidianità, delle presenze eccezionali di cui bisogna dubitare l’effettiva legittimità. Questo è il pensiero che governa le politiche sull’accoglienza da sempre: il rifiuto di queste presenze. Rifiuto sistematico che si traduce in strutture di trattenimento e detenzione amministrativa, assenza di servizi di supporto e orientamento alle persone che arrivano, carenza dell’organico di tutti quei funzionari che si occupano di seguire le procedure di esame delle domande di asilo e di rilascio dei permessi di soggiorno ad altro titolo. Il rifiuto si articola in una propaganda che promette maggiori rimpatri e che nella realtà crea una folla di persone bloccate in un limbo, in attesa o che venga formalizzata la richiesta d’asilo o di finire in un Cpr in quanto “irregolari”, mentre sono descritte come criminali, “clandestine”, pericolose, causa di “degrado”.
Tutto questo è frutto di una scelta ben precisa e mentre si alternano decreti su decreti che stanno progressivamente svuotando di senso la parola accoglienza, l’unico vero successo è proprio in questa politica del rifiuto. Torniamo a parlare di accoglienza, allora, quella vera, pretendendo un sistema strutturato che smetta di condannare le persone a un costante stato d’eccezionalità ed emergenzialità, restituendo dignità alle persone migranti.
Foto: fonte Croce Rossa Italiana Milano