Il mese scorso era stato il Cpr di Milano. Oggi ad essere al centro delle cronache è il Cpr di Palazzo San Gervasio (PZ). Il centro di detenzione del potentino è al centro di un’inchiesta portata avanti dalla Procura della Repubblica di Potenza che coinvolge 10 persone, accusate di violenza pluriaggravata nei confronti delle persone detenute nel centro, calunnia, truffa e falso ideologico. Un ispettore della polizia di Stato è stato posto agli arresti domiciliari, un medico ha ricevuto il divieto per un anno di esercitare la professione all’interno dei Centri di permanenza per il Rimpatrio.
Accusati anche i gestori del Centro, ai quali è stato disposto il divieto di impresa per un anno in relazione alla Pubblica Amministrazione.
Il fatto
Circa un anno fa veniva trasmesso un video nel corso di una trasmissione televisiva che mostrava un agente costringere una persona detenuta nel centro ad assumere psicofarmaci. Questo, secondo quanto riportato dal Corriere della Sera, sembra aver fatto scattare le indagini da parte della Procura. Sempre secondo le testate che hanno poi ripreso la notizia, stando ai verbali redatti all’epoca dei fatti, verbali di cui si sta indagando l’effettiva veridicità, l’assunzione dello psicofarmaco era conseguente ad un tentativo di aggressione da parte del detenuto ai danni di un’infermiera e di un agente di polizia.
Nel corso delle indagini sono stati accertati circa 35 casi di maltrattamenti ai danni dei migranti detenuti a Palazzo San Gervasio alle quali è stato somministrato in più occasioni e senza effettive ragioni il Ritrovil, psicofarmaco antiepilettico considerato spesso anche come droga per i poveri.
Gare al ribasso, diritti al ribasso
Il richiamo all’inchiesta in corso sul CPR di Via Corelli ai danni della società Martinia srl, non è solo il frutto di una suggestione: la società che gestiva Palazzo San Gervasio, la Engel Italia srl, è la stessa che poi ha cambiato nome in Martinina srl, l’ente gestore del CPR di via Corelli e su cui hanno indagato tanto sia Irpimedia che Altreconomia. Non si tratta dunque di una coincidenza, ma ciò non deve indurci a circoscrivere il problema ad una sola società. Al contrario, è utile guardare al fenomeno in maniera più organica per comprendere la logica che sottende un sistema di gare d’appalto che giocano al ribasso.
Come denunciano da sempre tante realtà che chiedono la chiusura definitiva dei Centri di Permanenza per il Rimpatrio, e come sottolinea CILD nel suo ultimo rapporto, è presente un vero e proprio business dietro la gestione dei CPR. Vi è una logica nella scelta di dare in mano la gestione delle strutture a enti privati che, in assenza di monitoraggio e controllo, espone i migranti detenuti nei centri a continue violazioni dei loro diritti. Questa logica, infatti, conferma la visione d’insieme che ispira da tempo le politiche migratorie, secondo la quale le persone migranti sono meri corpi da espellere dalla nostra società, deresponsabilizza la pubblica amministrazione rispetto alle condizioni di detenzione, disumanizza i migranti detenuti nei centri, privandoli dei propri diritti, come quelli all’informazione, alla tutela legale e, soprattutto, al diritto alla salute.
L’uso degli psicofarmaci nei CPR
Non stupisce, dunque, quanto sta facendo scalpore in questi giorni, ovvero la somministrazione inappropriata degli psicofarmaci nei confronti dei migranti detenuti a Palazzo San Gervasio. Il tema è già stato più volte al centro di dibattito e di indagine attraverso molte inchieste. Ultima quella di Altreconomia presente nel numero 258 pubblicato in Aprile 2023 sui CPR di Roma e Milano. In particolare, Altraeconomia ha evidenziato come, prendendo come termine di paragone l’utilizzo che viene fatto di antidepressivi, antiepilettici e antipsicotici su un numero simile di popolazione al di fuori dei CPR, nelle strutture di detenzione amministrativa le spese sanitarie in riferimento a questi farmaci sono estremamente maggiori: «nella struttura di via Corelli a Milano è di 160 volte più alta, al CPR di via Brunelleschi a Torino 110, a Roma 127,5, a Caltanissetta 30 e a Macomer 25».
Vale la pena ricordare un caso su cui quest’estate è stato aperto un procedimento da parte della Procura di Roma, ovvero quello di Mustafà Fannane. L’uomo di 38 anni è morto nel dicembre 2022, a poche settimane dal suo rilascio dal CPR: lo stato di salute precario dell’uomo già prima della detenzione, sembra essere considerevolmente peggiorato sia all’interno della struttura che una volta uscito. L’Osservatorio repressione ha parlato di «qualcosa di simile a un imbottimento di medicinali, apatia, pallore».
Le terribili condizioni di detenzione hanno indotto, purtroppo, molti migranti ad atti di autolesionismo fino anche al suicidio stesso, come nel caso di Moussa Balde, trattenuto nel CPR di Torino che si è tolto la vita nel 2021, ma anche a forme di protesta come lo sciopero della fame nel 2013 a Ponte Galeria, o le rivolte di febbraio 2023 nel CPR di Torino, fra i fattori che ne hanno determinato la successiva chiusura.
Un sistema malato da chiudere
Nel 2023 si è parlato molto di Centri di Permanenza per il Rimpatrio e in generale delle strutture di detenzione amministrativa per i migranti: il prolungamento a 18 mesi del tempo massimo di “trattenimento”, la richiesta di una garanzia finanziaria per evitare il “trattenimento” in strutture atte ad estinguere le procedure accelerate di frontiera di esame delle domande di protezione internazionale, il recente accordo con l’Albania che, in linea con una strategia di esternalizzazione delle frontiere, prevede la costruzione in territorio albanese di un CPR e due hotspot a giurisdizione italiana. Tutto questo, unito alle due inchieste sopracitate, supportate da un forte lavoro delle Reti territoriali sul tema – come l’associazione NAGA e la Rete NO CPR di cui segnaliamo nuovamente l’ultimo rapporto sul CPR di Milano, ha riportato al centro del dibattito le numerose violazioni dei diritti umani che avvengono nei Centri di Permanenza per il Rimpatrio. Ciò potrebbe aprire ad una nuova fase di riflessione – e si spera mobilitazione – rispetto ad una fase politica in cui si stanno intensificando gli attacchi tanto alle persone migranti, quanto allo stesso sistema di accoglienza, sacrificato – non ci stancheremo mai di ripeterlo – sull’altare della politica del rifiuto e della difesa dei confini.
E’ necessario dunque guardare a questa nuova fase cogliendo la continuità con una storia politica di oppressione delle persone migranti, ma anche rivendicare una continuità storica con il lavoro fatto in passato dalle realtà che si sono poste in contrasto a questo fenomeno con azioni di denuncia, monitoraggio e protesta in piazza.
Non possiamo più sorprenderci quando si svelano le storture, le ombre e gli illeciti che avvengono nei CPR; forse, in questa fase, è tornata la forte necessità di agire.
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