Fuoco, fiamme, una rivolta, polizia in tenuta antisommossa. Arriva così, nell’afosa serata di Lunedì 5 Agosto, la notizia di quello che stava accadendo all’interno del CPR di Palazzo San Gervasio. Subito dopo un ulteriore aggiornamento, di quelli che purtroppo siamo abituati a sentire, ma che comunque non volevamo ricevere: Osama Belmaan, soli 19 anni, è morto nel CPR di Palazzo San Gervasio. Le cause del decesso ad oggi sono ancora motivo d’indagine: alcuni detenuti sostengono di aver visto un pestaggio, ma il Procuratore Francesco Curcio, afferma che non è stata ritrovata traccia di violenza sul corpo del giovane, tuttavia, come dichiara all’ANSA, non si esclude “l’omicidio doloso, colposo e un atto autolesionistico”.
Il ragazzo era detenuto nel Centro di Permanenza per il Rimpatrio dal 24 Maggio, qualche settimana fa aveva tentato il suicidio ingerendo dei pezzi di vetro, dopo il ricovero all’ospedale San Carlo di Potenza, doveva esserci una supervisione da parte dei medici nei suoi confronti, ma nel giorno del decesso, era presente solo un infermiere per 104 persone detenute.
Una morte che ha scatenato la rivolta di 100 detenuti, sedata solo tre ore dopo nel cuore della notte. Una morte che ancora una volta ci fa interrogare sulle condizioni che vivono i detenuti all’interno dei Centri di Permanenza per il Rimpatrio, in particolare sul diritto alla salute.
In questi lager di Stato i detenuti, come già abbiamo ribadito, sono privati di ogni diritto, spesso costretti ad atti di autolesionismo, ingerendo dei corpi estranei – batterie o pezzi di vetro -, o per riuscire ad ottenere una visita da parte di medici oppure per semplice disperazione, non potendo più sopportare la condizione di una detenzione senza reato. Il diritto alla salute, l’impossibilità di avere una visita da un medico afferente al circuito del Servizio Sanitario Nazionale, è ciò che più viene a mancare all’interno di questo luoghi, soprattutto da quando la Direttiva Lamorgese ha affidato l’assistenza sanitaria dall’SSN agli Enti Gestori. La sanità all’interno dei CPR è stata quasi completamente privatizzata, non mantenendo adeguati servizi di assistenza o una sorveglianza efficace che possono permettere un intervento tempestivo in caso di malore. Proprio la privatizzazione dell’assistenza sanitaria è una delle cause degli abusi di psicofarmaci all’interno di questi buchi neri, abusi che hanno portato ad aprire l’inchiesta da parte della Procura di Potenza sulla passata gestione del CPR di Palazzo San Gervasio, le cui indagini preliminari si sono concluse il mese scorso.
E’ importante ribadire per l’ennesima volta, che la puntualizzazione di queste storture non si articola in un orizzonte riformista. Non si giustifica l’esistenza di luoghi patogeni e criminogeni quali sono i centri preposti alla detenzione amministrativa, ma si vuole evidenziare il carattere oramai tanatogeno della gestione della sanità all’interno di questi spazi.
Queste condizioni e questo evento hanno portato i detenuti di Palazzo San Gervasio ad appiccare dei focolai in quattro moduli della struttura, in una rivolta che chiede di far luce sulla scomparsa del diciannovenne, mentre i media lo chiamano ospite, dimenticando che gli ospiti hanno la possibilità di andarsene da una struttura quando vogliono e in salute. La rabbia di Palazzo San Gervasio si connette poi con un’altra rivolta, a Ponte Galeria.
«C’è un’altra rivolta! stanno bruciando tutto. La polizia in tenuta anti sommossa è qui. È un manicomio. Questo posto è un circo? Con questo caldo non ci danno né shampoo né carta igienica. Nemmeno il minimo indispensabile. A chi entra qui non gli danno niente. Niente mutande, niente asciugamano. Non parliamo poi del cibo. Sono cose vergognose davvero.», è questa la testimonianza riportata dalla pagina instagram della Rete Romana Stop CPR nella sera del 5 agosto, a distanza di due settimane da un’ulteriore sommossa sempre avvenuta nel Centro romano, teatro di un altro episodio atroce avvenuto sei mesi fa: il suicidio di Ousmane Sylla. Oggi un’altra morte riporta l’attenzione sul tema dei Centri di Permanenza per il Rimpatrio. «L’ennesima morte di stato all’interno dei CPR, anche questa totalmente oscura come molte altre dal punto di vista dei fatti avvenuti e delle cause della morte stessa. È sintomo della necessità di arrivare all’abolizione di questi strumenti di tortura che sono i CPR. Chissà cosa potrebbe accadere nei CPR in Albania visto quello che accade in Italia» dichiara Igor Zecchini di No CPR – Mai più Lager al giornale Domani. La riapertura di questo dibattito sulla detenzione amministrativa nei confronti delle persone migranti, alla vigilia della presunta apertura dei centri in Albania, ci pone di nuovo dinanzi una realtà delle politiche migratorie che non può essere ignorata, la faccia del rifiuto in nome della difesa dei confini. Un volto crudele che mentre si espande esternalizzando quegli stessi confini, chiude gli occhi anche di fronte alla morte di un diciannovenne.
Rest in Power Belmaan.
Non smetteremo di chiedere la verità