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Cronache di ordinario razzismo

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Discorso d’odio e social network, l’Europa (forse) cambia passo

25 Luglio 2019

Il discorso d’odio e la propaganda politica fuorviante diffusi attraverso i social network sono un pericolo per la democrazia. Chiedere agli americani, ai britannici (e anche agli italiani) per conferma. Scrivere regole e individuare strumenti per limitarne la portata sembra essere divenuta una priorità delle istituzioni europee. Per questo, la Commissione ha iniziato a lavorare su un nuovo set di regole per le Big Tech e i social network e per dotarsi di poteri legali per regolare i discorsi di odio, la propaganda politica e altri contenuti illegali.

La vicenda dei dati forniti a Cambridge Analytica per la quale Facebook si prepara a pagare una multa da 5 miliardi di dollari, alcuni casi nazionali di discorso d’odio diffusi da account anonimi o anche da politici e poi propagati da bot e professionisti del rilancio, hanno preoccupato le istituzioni europee che vedono in questa modalità di diffusione delle notizie e di violenza verbale un rischio serio per la democrazia.

Siamo ancora all’inizio di un lavoro che sarà faticoso e molto difficile: i social network cambiano rapidamente e capire dove e come intervenire è complicato. La grande novità rispetto al passato è la dichiarazione della volontà di regolare la pubblicazione di certi contenuti rendendo responsabili le piattaforme dove questi vengono postati. Oggi siamo ancora alla pressione e agli accordi con le Big Tech affinché queste si impegnino a controllare e rimuovere. Una volta scritte le regole, le compagnie che guadagnano miliardi grazie ai contenuti che altri elaborano e pubblicano, risponderanno dei materiali che ospitano.

Tradotto: se domani con le regole io pubblicassi un discorso razzista, io verrei punito secondo le leggi del codice civile e penale del nostro Paese ma anche la compagnia responsabile di ospitarmi, verrebbe punita o multata. L’idea di Bruxelles è infatti quella di creare un’autorità che implementi le nuove regole a livello sovranazionale – oggi l’eventuale multa o altro spetta ai singoli Stati. Questo non significa che la compagnia è responsabile del mio discorso razzista, naturalmente, ma del fatto di non averlo rimosso – in Gran Bretagna si discute un testo che invece porterebbe a ritenere le piattaforme responsabili anche del contenuto (qui il libro bianco che contiene le proposte).

Nelle ipotesi di cui si sta parlando, i cambiamenti relativi alla propaganda politica sono chiari: creare regole comuni per tutti gli Stati membri, mentre non è chiaro se e come il discorso d’odio verrà punito a livello europeo e non solo nazionale – solo la Germania ha una legge chiara in materia di social media e hate speech.

L’Europa sta naturalmente lavorando con le Big Tech per approntare le regole. Normale e giusto ma con dei limiti. Facebook, Google, Twitter e compagni si dicono sempre disponibili a cooperare, ma in fondo non vogliono regole stringenti perché queste colpirebbero il nucleo del loro business: se una cosa funziona, genera traffico e scambi, genera profitti. Che si tratti di un gattino che gioca con un gomitolo, un attentato terroristico o di propaganda razzista. L’Europa pensa dunque a nuove regole di trasparenza sulla propaganda politica e vuole imporre alle grandi piattaforme di sottoporre i loro algoritmi al controllo normativo.

Una mossa questa che probabilmente non piacerà a Zuckerberg&Co.: i grandi gruppi hanno talmente tante risorse finanziarie a disposizione che preferiscono sempre pagare multe salate per aver violato norme, piuttosto che fornire informazioni sul loro modo di funzionare. E come scrive Jonathan Taplin nel suo “Move Fast And Brake Things” le Big Tech sono sempre un passo avanti proprio per evitare che venga messa la museruola al modo in cui hanno costruito la loro fortuna – un racconto dall’interno di questa consapevolezza di usare strumenti discutibili e di farlo in fretta in maniera da non essere limitati è anche in Zucked di Roger McNamee.

Quel che è certo è che le regole servono, in questo ambito come in altri. E che scriverle è complicato. La prima ragione è il rischio di intervenire troppo sulla libertà di espressione – un tema però abusato spesso dagli hate speechers che pure non vogliono regole. La seconda ragione è che gestire regole per piattaforme da centinaia di milioni di utenti è un bel problema.

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Filed Under: News, Primo piano Tagged With: discorso d'odio, Europa, Facebook, google, hate speech, propaganda discriminatoria, propaganda politica, social networks, twitter, unione europea

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