Due gravi violenze hanno macchiato il 25 aprile.
Le notizie sono circolate in rete e su alcuni quotidiani, senza fare troppo rumore.
Il primo episodio è accaduto a Padova, domenica 25 aprile, in pieno giorno, quando quattro vigili urbani hanno fermato un giovane nero in una delle vie principali del centro storico. Il ragazzo, un ventenne del quale non conosciamo il nome, percorreva in bicicletta in senso vietato via Umberto I, area pedonale, ed era senza mascherina. I vigili hanno intimato l’alt, lui non ha fatto in tempo a frenare (secondo la Polizia locale ha tentato di proseguire), ma i vigili l’hanno fermato. Nelle immagini amatoriali, girate da un passante, e poi circolate in rete e diventate virali, si vedono tre vigili impegnati in una lotta con il giovane, che cerca di divincolarsi, urla e chiede di essere lasciato andare (perché, dice non ha fatto niente, ndr), fino a che non va a terra. Poi uno dei tre gli blocca la schiena, e con un braccio lo stringe al collo con molta aggressività. Il ragazzo non urla più. In quel momento un passante si avvicina con il telefonino e dice agli agenti: «Volete ammazzarne un altro? Volete farlo respirare?». I vigili infine lo ammanettano, tenendolo sempre per terra. Secondo quanto si è appreso successivamente, il giovane fermato non avrebbe riportato ferite o altre conseguenze, mentre l’assessore alla sicurezza del comune di Padova, Diego Bonavina, avrebbe minimizzato sull’accaduto. Il video sta suscitando scalpore e indignazione a livello nazionale, come del resto è accaduto l’anno scorso a Vicenza, quando un poliziotto prese per il collo un altro ragazzo nero in piazza De Gasperi.
Il tutto, paradossalmente, a pochi giorni dalla storica sentenza di Minneapolis.
L’altra violenza si è consumata, sempre la stessa domenica 25 aprile, nella notte, tra le campagne di San Severo e Rignano Garganico, in provincia di Foggia. Una violenza diversa, non meno grave, che nessuno ha potuto filmare. Un cittadino maliano di 30 anni è stato ferito al volto da un colpo di fucile caricato a pallini.
Secondo una prima ricostruzione dei fatti, Sinayogo Boubakar, bracciante iscritto alla Flai-CGIL, era in auto con altri due cittadini di origine africana e stava rientrando al Ghetto di Rignano, quando è stato affiancato da un fuoristrada a bordo dal quale alcune persone hanno sparato con un fucile infrangendo il finestrino posteriore del mezzo. A quel punto, i cittadini stranieri hanno abbandonato il mezzo e sono fuggiti a piedi per le campagne, mentre il Suv si è dileguato.
L’uomo, ferito all’occhio, è stato accompagnato all’ospedale, dove è ancora ricoverato in codice rosso ma, fortunatamente, non è in pericolo di vita. Le indagini sono affidate ai carabinieri che stanno cercando di identificare gli autori e il possibile movente, non si esclude il movente razzista.
Anche in questo caso, non siamo difronte al cosiddetto “caso isolato”. Daniel Nyarko, 51 anni del Ghana, il 28 marzo 2019, venne ucciso nella zona di Borgo Mezzanone con due colpi di pistola mentre era in bicicletta. Nove immigrati, a fine luglio 2019 a Foggia, all’alba, sono state vittime di aggressioni a sassate mentre si stavano recando in bicicletta al lavoro. Uno di loro, Kemo Fatty, 22 anni cittadino del Gambia, colpito in pieno volto da una grossa pietra, ha riportato seri danni a un occhio e alla mandibola. Per questi episodi, sono stati poi arrestati due giovani foggiani con le accuse di “lesioni personali pluriaggravate, propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa”.
Aboubakar Soumahoro, il sindacalista leader della Lega Braccianti, ha denunciato che si tratta del secondo raid in 48 ore, ed ha convocato un’assemblea delle lavoratrici e dei lavoratori del “Gran ghetto”. Due giorni fa, infatti, la polizia aveva arrestato un cittadino italiano di 35 anni per rapina aggravata, accusato di essere una delle quattro persone che, armate di pistola, erano entrate nel ghetto cercando di rubare il gasolio necessario per far funzionare l’impianto di illuminazione dell’area in cui sono collocati i container.
Due violenze diverse e lontane che ci ricordano bruscamente quanto la strada da fare per la garanzia dei diritti sia ancora tutta in salita.