E si ritorna a parlare nuovamente e con insistenza di (una ennesima) “sanatoria”. Noi ne parliamo già da tanto tempo, e da tempo immemorabile (forse dal 2008?) abbiamo proposto delle “soluzioni” alternative. Negli ultimi giorni, gli appelli per una “sanatoria” si sono moltiplicati proprio e in virtù della emergenza sanitaria in corso.
Il problema è che bisognerebbe evitare di limitare una eventuale “sanatoria” (termine improprio ma diffuso nel linguaggio giornalistico) soltanto ad alcune “categorie” di migranti, magari perché “necessarie”, “utili” e funzionali alla macchina economica italiana in ginocchio. Né si dovrebbe usare l’emergenza Covid-19 come l’ennesima occasione per mettere una “pezza” momentanea al problema della presenza in Italia di cittadini stranieri senza documenti. Il rischio è che, sotto pressione, si faccia un altro gran pasticcio e si riproducano vecchie logiche escludenti. Il ricorso periodico a “sanatorie una tantum” è diventato quasi fisiologico: deriva innanzitutto dal rigido ed anacronistico sistema dei decreti flussi, insufficienti per l’entità delle quote messe a disposizione e che soprattutto pretendono l’incontro “a distanza” per pochi “eletti” tra il datore di lavoro ed il lavoratore straniero.
I numeri
Le richieste, avanzate da varie parti, di un nuovo provvedimento di regolarizzazione partono da alcune stime. I cittadini stranieri senza documenti presenti nel nostro Paese, secondo la Fondazione Ismu (si veda qui) sarebbero, a fine 2018, 562mila persone. Una previsione di forte aumento nel 2020 e nel 2021 è proposta da Amnesty International e Action Aid. Secondo il rapporto “La sicurezza dell’esclusione – Centri d’Italia 2019” il numero dei cittadini stranieri senza documenti potrebbe arrivare a 680mila nel 2020 e superare i 750mila a gennaio del 2021. Anche l’ultimo Dossier Statistico Immigrazione IDOS giunge a conclusioni analoghe considerando la stretta sulle richieste di asilo impressa dal primo decreto “sicurezza” (diventato poi legge 132/2018), che ha cancellato il permesso di soggiorno per motivi umanitari. La Fondazione Leone Moressa, nei suoi studi, ipotizza, ad oggi, una possibile platea di circa 600mila cittadini stranieri non regolarmente soggiornanti. Si tratta di persone, occorre ricordarlo, non solo prive di un permesso di soggiorno, ma anche destinate allo sfruttamento, al lavoro nero e alla precarietà.
Emerge, allora, improcrastinabile la necessità di superare definitivamente l’attuale normativa in materia di immigrazione, estremamente inefficace, e tornare a ribadire la necessità di una riforma complessiva. Ma come?
Il dibattito sull’eventualità di nuova “sanatoria” si era riacceso, ben prima dello scoppio della pandemia, dopo un timido segnale di apertura manifestato dalla ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, il 15 gennaio scorso, in risposta a un’interrogazione del deputato Riccardo Magi (+Europa). La ministra aveva annunciato che “è intenzione del Governo valutare un provvedimento straordinario di regolarizzazione degli irregolari già presenti in Italia a fronte dell’immediata disponibilità di un contratto di lavoro, nel quadro della più generale revisione delle disposizioni che incidono sulle politiche migratorie e sulla condizione dello straniero». Magi l’aveva definita “una vera e propria ‘operazione legalità”. La ministra aveva anche ricordato l’ordine del giorno accolto il 23 dicembre scorso, in sede di approvazione della legge di bilancio, con il quale il Governo «si è impegnato a valutare l’opportunità di varare un provvedimento che, a fronte dell’immediata disponibilità di un contratto di lavoro, consenta la regolarizzazione di cittadini stranieri irregolari già presenti in Italia, prevedendo, all’atto della stipula del contratto, il pagamento di un contributo forfettario da parte del datore di lavoro e il rilascio del permesso di soggiorno per il lavoratore». Se ciò avvenisse, sarebbe un dejà vu.
Il ciclo infinito delle “sanatorie”
A partire dagli anni Ottanta, cioè quando l’Italia ha iniziato a divenire anche un paese di immigrazione, i provvedimenti di “sanatoria” sono serviti a governare in maniera temporanea un fenomeno nuovo. Ma successivamente sono diventate – insieme ai decreti flussi per l’ingresso di nuovi lavoratori stranieri (qui uno storico dei decreti emanati dai vari governi) – il tratto distintivo della politica migratoria italiana, indipendentemente dall’indirizzo politico dei governi che si sono susseguiti nel tempo.
In generale, si è trattato di provvedimenti “spot” che non hanno fatto altre che far “emergere” dall’invisibilità soltanto una minima parte dei migranti già presenti sul territorio italiano.
La “sanatoria” più consistente è stata senza dubbio quella varata con la cosiddetta legge Bossi-Fini del 2002, con due canali distinti, uno per colf e assistenti familiari (legge 189/2002) e uno per gli altri lavoratori (legge 222/2002). Dopo questo provvedimento, ne vanno ricordati altri due: il primo emanato nel 2006 dal III Governo Berlusconi (per l’ingresso di 170 mila lavoratori stranieri) e il secondo dal II Governo Prodi (per assorbire le eccedenti 350 mila domande). L’allargamento a est dell’Unione europea, avvenuto nel 2007, ha permesso poi di convertire “lo stato di irregolarità” di tanti cittadini romeni e bulgari in quello di “cittadini comunitari”, andando ad alleggerire il carico dei numeri.
L’introduzione del cosiddetto Pacchetto Sicurezza (legge n. 94/2009), approvato dal IV Governo Berlusconi, ha introdotto una nuova “sanatoria”, che ha regolarizzato circa 300 mila migranti. Infine, il decreto legislativo n. 109/2012, approvato durante il governo Monti, ha introdotto una nuova regolarizzazione per lavoratori stranieri non comunitari, la prima operazione di emersione dal lavoro nero dopo dieci anni (dopo quella del 1995 e del 1998, l’ultimo provvedimento generale è quello del 2002). Di fatto, dopo quest’ultima “sanatoria” del 2012 (la quarta consecutiva dal 1998, senza calcolare le altre), il numero dei cittadini stranieri privi di un qualsiasi permesso di soggiorno è cresciuto progressivamente, complice l’interruzione pressoché totale della programmazione degli ingressi per motivi di lavoro.
Sono stati di fatto azzerati gli ingressi per lavoro subordinato, ad eccezione di quello stagionale, e si sono drasticamente ridotti gli ingressi per lavoro autonomo. Inoltre, ai richiedenti asilo giunti in Italia (dei quali pochissimi poi titolari di uno status, tanti con una protezione umanitaria poi cancellata, e tantissimi “diniegati”, quindi di fatto divenuti invisibili), si sono sommati coloro che sono entrati per turismo e che sono rimasti in Italia alla scadenza del periodo consentito, e coloro che hanno fatto rientro in Italia dopo un’assenza di quattro – cinque anni con la speranza di riprendere a lavorare. Altissimo è, poi, il numero di genitori stranieri di minori, presenti in Italia e inseriti nel sistema scolastico, che hanno fatto domanda al Tribunale per i minorenni per essere autorizzati a restare in Italia nell’interesse del minore (ex art 31 co 3 D Lvo 286/98).
E ora?
Mentre si ragiona già sulla fase 2 dell’emergenza sanitaria e sulle possibili road map per le riaperture post pandemia, un appello chiaro e forte ad una possibile regolarizzazione giunge anche da parte della ministra delle Politiche agricole, Teresa Bellanova, perché c’è un urgente deficit di manodopera agricola (si veda qui). Il rischio paventato è, da un lato, la crisi del settore agricolo e di conseguenza delle forniture di generi alimentari nei negozi e supermercati. Dall’altro il ricorso a lavoro sommerso, caporalato e sfruttamento, senza nessuna garanzia a livello lavorativo e sanitario. Secondo l’allarme lanciato da Coldiretti (si veda qui), senza i lavoratori stagionali provenienti dai paesi comunitari, impossibilitati a venire in Italia a lavorare a causa del Coronavirus, si rischia nelle prossime settimane di “pregiudicare le fornitura di generi alimentari a negozi e supermercati mettendo a rischio il 25% dei raccolti”. Ma il problema è che saranno impossibilitati a entrare nel nostro Paese anche i lavoratori stagionali non comunitari. Stesso allarme su di un altro fronte, dopo quello degli stagionali, è quello lanciato nel settore del lavoro domestico, nel quale si stima che siano circa 200mila gli stranieri non comunitari senza permesso di soggiorno che lavorano nelle case degli italiani come colf, “badanti” e baby sitter (si veda qui). E ancora una volta si perviene a richieste di “regolarizzazioni selettive” (vedi privilegiare i braccianti, piuttosto che i lavoratori domestici) già sperimentate in passato.
E’ necessario, allora, sì, correre ai ripari e al più presto. Ma riflettendo bene su come agire. E questo andrebbe fatto a prescindere dall’eccezionalità del momento, che pur necessita di una regolarizzazione immediata delle persone straniere prive di documenti anche al fine di garantire la sicurezza sanitaria collettiva.
Ad esempio, potrebbe essere presa in considerazione la proposta avanzata da ASGI al Governo, nella più recente formulazione di fine di novembre 2019 (si veda qui il documento) dell’introduzione di un meccanismo di regolarizzazione ordinaria “che consenta ai cittadini stranieri già presenti in Italia di munirsi di un titolo di soggiorno, anche per ricerca di lavoro,” e contestualmente “l’immediato ripristino delle quote ordinarie di ingresso per lavoro, in decreti flussi quantitativamente adeguati e rapida introduzione di un meccanismo di ingresso sul territorio nazionale per ricerca lavoro”.
Una proposta simile è stata avanzata anche da parte della campagna “Ero straniero”, in una proposta di legge di iniziativa popolare che prevede una riforma complessiva del testo unico sull’immigrazione. Presentata alla Camera nella XVII legislatura – il 27 ottobre 2017 – è stata mantenuta all’ordine del giorno nella XVIII legislatura e assegnata alla commissione Affari costituzionali in sede referente. Obiettivo della proposta è quello di «superare l’attuale modello di gestione dell’immigrazione in Italia», promuovendo l’abrogazione del decreto flussi, con le quote di ingresso annuali e l’adozione di due nuovi canali di ingresso (noi ne avevamo parlato qui).
Ero straniero propone l’introduzione di un meccanismo di regolarizzazione su base individuale degli stranieri senza documenti allorché sia dimostrabile l’esistenza in Italia della disponibilità di un’attività lavorativa o di comprovati legami familiari o l’assenza di legami concreti con il Paese di origine.
Insomma, le proposte non mancano.
Potrebbe essere il momento giusto per una razionale ed adeguata risposta ad un problema che da anni risulta irrisolto.