C’è poco da fare. Oramai siamo in piena campagna elettorale, e i toni sono già andati ben oltre la soglia della normalità e della “civiltà”. Soltanto qualche giorno fa, le dichiarazioni di Attilio Fontana sulla “razza bianca” sollevavano dichiarazioni indignate da parte degli avversari politici. Ma non sono solo le parole ed i discorsi ad istigare al razzismo. Dai “manifesti” virtuali sulla “razza” e sull’”orgoglio etnico”, si passa ai manifesti reali. E la campagna elettorale condotta sui temi dell’immigrazione assume ancor di più un ruolo centrale e d’impatto, quando alla “parola” si associa un’immagine. L’efficacia del messaggio diventa pervasiva.
Il 12 gennaio compaiono a Sesto Fiorentino grandi manifesti 6×3 di Fratelli d’Italia, affissi vicino ai terreni dove sorgerà la futura moschea, nella zona del Polo scientifico dell’Università, con lo slogan “No alla moschea”, abbinato a quello “Prima gli Italiani”.
Lo stesso giorno a Noto, all’ingresso della città, compare un altro 6×3, questa volta di CasaPound Italia, con l’immagine di un barcone con alcune persone a bordo ed una grande freccia rossa che ne indica una direzione, e recita: “Immigrazione: obiettivo rimpatrio. Chi non ha titolo per stare in Italia deve tornare immediatamente da dove è venuto”.
Mentre ieri, alcuni manifesti della neonata lista Liberi e Uguali, il movimento di sinistra guidato da Pietro Grasso, affissi accanto allo stadio Braglia di Modena, vengono coperti da un’altra affissione abusiva ad opera del gruppo di destra Azione Identitaria, dai contenuti razzisti e fascisti.
Sempre di ieri è la notizia di un manifesto apparso in corso Siccardi, all’angolo con via Cernaia, a Torino, dove sul celebre scatto del viso di Sharbat Gula (“Ragazza afgana” di Steve McCurry), fotografata nel 1984 nel campo profughi di Peshawar, è stata aggiunta una targhetta con lo slogan «No zingari». Il manifesto reca in basso il simbolo di CasaPound. Dal canto suo, Casapound Torino nega ogni tipo di responsabilità e accusa il cosiddetto “Bansky” di Torino, l’artista piemontese che mette alla berlina i politici con le sue opere, di esserne l’artefice. E smentisce attraverso un post su Facebook: “Dopo Appendino, Le Pen, Salvini e Obama questa volta il ‘Banksy torinese’ cita CasaPound. Essendo d’altronde l’unica realtà politica realmente attiva su Torino, c’era da aspettarselo. Da anni ci battiamo con i residenti delle periferie per chiedere la chiusura dei campi rom e qualcuno pare essersene accorto!“.
Questo esordio di campagna elettorale non ci sorprende. Sin troppa agibilità politica e mediatica è stata lasciata agli imprenditori del razzismo in questi anni e d’altra parte le scelte del Governo degli ultimi mesi, dai decreti Minniti-Orlando, alla campagna di delegittimazione della solidarietà, alle missioni militari che hanno il fine precipuo di fermare gli arrivi dei migranti nel nostro paese, non hanno fatto altro che legittimare discorsi e comportamenti discriminatori e razzisti. Non resta che rimboccarsi le maniche e continuare a denunciarli. Dateci una mano!