
“Verità per Ramy”. Una frase che da mesi continua a risuonare, da quel 24 novembre in cui Ramy Elgaml, diciannovenne di origine egiziana, rimane ucciso a Milano a seguito di un incidente in scooter avvenuto nel corso di un inseguimento effettuato dai Carabinieri. Nei giorni successivi alla morte di Ramy sono stati tanti i giovani che hanno protestato in piazza nel quartiere Corvetto spesso in maniera violenta, anche con contenuti politici. Sono quei giovani che come Ramy sono raccontati come delinquenti che abitano le periferie delle città, che non trovano spazio né nel sistema scolastico né nel mercato del lavoro. Sono quei giovani i cui volti rassomigliano all’immagine che viene in mente mentre si leggono espressioni come Baby Gang, sono quei giovani che rispecchiandosi in Elgaml chiedono verità e giustizia per Ramy e Fares, il ragazzo che era con lui quella notte del 24 novembre. Ora questa verità che Ramy, i famigliari e la comunità di Corvetto rivendicano, potrebbe essere più vicina. Il 7 Gennaio, sono stati resi pubblici nell’edizione serale del TG3 i filmati che riprendono l’inseguimento delle tre volanti dei Carabinieri nei confronti dello scooter con a bordo Fares Bouzidi alla guida e Ramy Elgaml, l’impatto tra la volante e il mezzo dei giovani e gli istanti successivi all’incidente. Questo potrebbe dare una svolta alle indagini.
I fatti della notte del 24 novembre
Il tutto inizia da un posto di blocco, uno dei tanti presenti nelle notti che fanno da ponte ai momenti di socialità del sabato e il tentativo di riposo domenicale, nei pressi di corso Como. Ramy e Fares, stavano tornando a casa nel quartiere Corvetto dopo una serata passata con i coetanei. I due giovani, stando alle ricostruzioni fornite dalla stampa, hanno notato il posto di blocco. Inizialmente si sono nascosti, a detta dello stesso Fares quella sera non aveva la patente, ma una volta notati dalle forze dell’ordine, che li hanno invitati a fermarsi, i giovani a bordo dello scooter hanno ignorato l’alt e sono andati avanti. Da lì l’inseguimento per otto chilometri per tutta Milano. Sempre Bouzidi ha dichiarato che più di una volta è stato tamponato dai veicoli delle forze dell’ordine e che nel frattempo Elgaml aveva perso il casco lungo il percorso. Un nuovo tentativo di speronamento da parte dei Carabinieri viene registrato in via Ripamonti e infine l’incidente: all’incrocio tra via Quaranta e via Ripamonti lo scooter si schianta su un cartello stradale, poche ore dopo Ramy Elgaml all’età di 19 anni perde la vita, mentre Fares Bouzidi viene arrestato.
Le dinamiche dell’incidente
Ricostruire le dinamiche dell’accaduto non è semplice. Secondo le prime ricostruzioni lo schianto dello scooter all’incrocio in via Quaranta non sarebbe stato provocato dall’urto con una delle volanti, ma dalla perdita di controllo del veicolo da parte di Bouzidi che guidava ad altissima velocità. Nel verbale redatto dai Carabinieri non si è fatto riferimento a nessuno scontro tra i veicoli, ma un ragazzo presente sul luogo ha dichiarato di aver ripreso con il cellulare la volante mentre andava addosso allo scooter, le forze dell’ordine gli avrebbero però intimato di cancellare il video.
In un primo momento, dunque, le responsabilità non risultavano chiare. Le immagini pubblicate dal TG3 e dal TGLa7 forniscono maggiori elementi sulle dinamiche di quella notte. I video sono una serie di riprese sia dalle telecamere sulle volanti – in cui è presente l’audio delle comunicazioni tra gli agenti dove manifestano l’intenzione di farli cadere dallo scooter -, che da due telecamere situate presso il luogo dell’incidente. In una di queste si vede l’auto dei Carabinieri scontrarsi con lo scooter, entrambi i veicoli finiscono sul marciapiede. Infine un’altra immagine, questa volta ripresa da una volante, riprende due agenti mentre si avvicinano ad un ragazzo presente sul luogo dell’incidente e quest’ultimo alza le mani: quel ragazzo è Omar, il testimone dell’accaduto che ha dichiarato di aver ripreso tutto e poi cancellato il video su intimazione dei carabinieri.
Una doppia criminalizzazione
Le indagini sono ancora in corso. Due agenti sono indagati per falso in atto pubblico, non avendo dichiarato nessun tentativo di tamponamento o speronamento, e per depistaggio perché avrebbero chiesto al testimone di cancellare il video. Indagati sono anche l’agente alla guida della volante coinvolta nell’impatto con il mezzo dei ragazzi e Fares Bouzidi per concorso ad omicidio stradale. Quest’ultimo è accusato anche di resistenza a pubblico ufficiale.
Spetta alle autorità inquirenti fare chiarezza sull’accaduto. Ciò che è ad oggi sappiamo è che un giovane di soli diciannove anni è morto e che la sua vita è obliata da una retorica criminalizzante, diffusa a Milano e in tutto il paese, nei confronti dei giovani con background migratorio.
Nell’iniziale zona grigia creata dall’incertezza delle responsabilità, il dibattito pubblico ha iniziato ad accendersi nuovamente sul tema del mantenimento della sicurezza da parte delle forze dell’ordine. Da un lato le realtà antirazziste chiedevano giustizia e verità per i due ragazzi, tematizzando la questione della cosiddetta profilazione etnica; dall’altro partiva la macchina della propaganda che sovrapponeva il discorso sulla microcriminalità giovanile delle cosiddette baby gang – spesso ragazzi di origine straniera in condizioni di disagio economico – a una visione razzista, alimentando una visione securitaria delle città.
Oggi, dopo aver visto quelle immagini, si evince come questa criminalizzazione non si manifesti solamente nelle dichiarazioni apertamente razziste cariche e stereotipate che dipingono i giovani di origine straniera come ladri e spacciatori o nelle operazioni di polizia mirate su base nazionale o “etnica”.
La criminalizzazione traspare anche dal tono freddo di quel “Bene” pronunciato dall’agente alla notizia della “caduta” dei ragazzi, una caduta violenta e probabilmente indotta, nonostante si sapesse che uno dei due – Ramy appunto – fosse privo del casco. Un “bene” che stride con la fine della vicenda e che purtroppo si accorda con il commento di chi, come il capo del sindacato dei Carabinieri intervistato da Libero Quotidiano, afferma cinicamente che Ramy non sarebbe morto se i giovani si fossero fermati all’Alt.
Se forse i familiari di Elgaml possono sperare in una svolta delle indagini a favore del figlio, resta la rabbia per la morte di un giovane che poteva essere evitata e che ci ricorda ancora una volta quanto sia stretto e radicato il nesso tra la criminalizzazione diffusa delle persone giovani e il razzismo sistemico, un nesso che può avere, come in questo caso, conseguenze fatali.