Lentezza. Ritardi. Burocrazia. Sconforto. Flop. Sono i termini più ricorrenti che da più di un anno sono usati per descrivere lo stato d’arte relativo alle domande di emersione e regolarizzazione. Una misura “straordinaria”, la nona emanata dallo Stato italiano a partire dal 1979 (per un’approfondita disamina si veda Nazzarena Zorzella, Regolarizzazione 2020, una prevedibile occasione perduta. Alcune delle principali criticità), voluta nel maggio 2020 per contrastare il lavoro nero e l’invisibilità dei cittadini stranieri irregolari (“emersione dei rapporti di lavoro” contenuta nel cosiddetto “Decreto Rilancio”, art. 103 del Decreto Legge 19 maggio 2020, n. 34). Si è già discusso a lungo e potremmo discutere per giorni interi sull’argomento, che meriterebbe approfondimenti per ogni criticità messa in evidenza e per ciascuno dei due macro-ambiti, ovvero il lavoro domestico e di cura e quello agricolo. Ma proviamo qui a sintetizzare.
Di pochi giorni fa, il punto della situazione fatto dalla campagna nazionale Ero straniero, con degli esiti che lasciano a dir poco perplessi e, appunto, sconfortati (i dati sono stati ottenuti dal ministero dell’Interno attraverso una serie di accessi civici, nell’ambito del monitoraggio che la campagna Ero straniero sta conducendo sin dall’avvio della misura, ndr). Ai primi di agosto, risultano circa 60.000 i permessi di soggiorno rilasciati in un anno dal ministero dell’Interno a fronte delle 230.000 domande di regolarizzazione presentate. Si tratta soltanto del 26% del totale. Un quadro molto critico, malgrado qualche piccolo e flebile miglioramento.
Le principali criticità e inconsistenze di tutta la procedura sono affiorate sin da subito, dallo scorso anno. E gli sviluppi successivi non sono stati affatto lineari.
Un primo pomo della discordia è legato al numero delle presenze di cittadini stranieri senza documenti in Italia. Già nel 2018, l’ISPI stimava per il 2020 un numero pari a circa 600.000 cittadini stranieri irregolari presenti sul nostro territorio (si vedano a tale proposito gli articoli “I nuovi irregolari in Italia” ed il più recente “Migrazioni in Italia: tutti i numeri“, ma anche Regolarizzazione migranti 2020: stime e previsioni dalle analisi delle precedenti regolarizzazioni in Italia, INPS, 05/2020). Come mai, allora, un numero di domande così al di sotto delle stime relative alla platea dei possibili beneficiari? Una delle ragioni potrebbe essere probabilmente rintracciata nella mancanza di adeguati incentivi economici rispetto al solo rilascio del permesso di soggiorno e nella previsione di requisiti amministrativi stringenti (non solo in capo al datore di lavoro). Di fatto, una adesione più ampia avrebbe prodotto benefici di un certo rilievo per le finanze pubbliche (si veda: Emersione del lavoro irregolare in Italia: la sanatoria del decreto Rilancio è stata efficace?, Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani, 3/04/2021), ma va fatta un’attenta analisi anche di alcune cifre, forse troppo sovrastimate.
Un altro dato che colpisce, al di là del numero complessivo delle (poche) domande – superiore del 54% a quello della “sanatoria” del 2012 – attiene alla netta prevalenza di istanze presentate da datori di lavoro nell’ambito del lavoro domestico e di cura della persona e non, come ci si sarebbe aspettato, nell’ambito del settore agricolo, ove ne sono pervenute davvero pochissime, nonostante le macroscopiche carenze di manodopera che caratterizzavano (e caratterizzano tuttora) il settore.
Oltre ai numeri, all’inizio, è stato evidenziato da più parti il limite rappresentato dai settori occupazionali, che hanno escluso dalla possibilità di ottenere un permesso di soggiorno per motivi di lavoro molti cittadini stranieri impegnati in settori che non erano “previsti” dalla procedura. Anche la richiesta del possesso di specifici requisiti, in capo sia al datore di lavoro che al lavoratore (dalla prova di presenza, all’idoneità alloggiativa), ha rappresentato per molti potenziali “regolarizzandi” un rilevante ostacolo da superare, anche a causa dell’incertezza dei criteri di idoneità a cui era necessario attenersi. Criticità e contestazioni anche rispetto ai costi della procedura e sulla sua complessità (linguaggio burocratico e procedure informatizzate complesse, peggiorate dal susseguirsi di ripetuti chiarimenti “in corso d’opera”).
Una volta avviata la procedura, sono venute fuori altre criticità e insidie caratterizzanti i due “commi” della sanatoria: ovvero il forte legame di dipendenza dei lavoratori nei confronti dei propri datori di lavoro, con il palese rischio di innesto di forme di sfruttamento e raggiro a danno dei migranti, la controversia legata ai titolari di status “precari” (soprattutto, i richiedenti asilo) e l’emergere di numerosi “mercati paralleli” caratterizzati da elevati margini di rischio e profitto.
La procedura di regolarizzazione si è conclusa il 15 agosto 2020. Dopo aver superato faticosamente gli ostacoli in avvio e in fase di registrazione delle domande, le lavoratrici e i lavoratori “regolarizzandi” stanno facendo i conti, ancora oggi, con un’attesa che si sta rivelando assai più lunga del previsto. A più di un anno dalla scadenza del termine, infatti, la stragrande maggioranza di loro è ancora in attesa di convocazione da parte delle amministrazioni locali. I passaggi endo-procedimentali sono lentissimi, i pareri degli uffici coinvolti (soprattutto il parere richiesto agli ITL, Ispettorati territoriali del Lavoro) in enorme ritardo, se non allo stallo.
I tempi di lavorazione delle pratiche sono a dir poco biblici: se a febbraio 2021 (a sei mesi dalla chiusura della finestra per l’emersione, ndr), solo il 5% delle domande era giunto nella fase finale della procedura e in decine di prefetture le pratiche erano ancora nella fase iniziale di istruttoria, a maggio scorso, delle oltre 200mila domande presentate in tutt’Italia, erano stati rilasciati per il primo canale di accesso all’emersione, meno di 30mila permessi di soggiorno per lavoro, con situazioni molto critiche nelle grandi città: assurdo il caso di Roma dove, al 20 maggio 2021, su un totale di circa 16mila domande ricevute, solo 2 pratiche erano arrivate alla fase conclusiva e non era stato ancora rilasciato alcun permesso di soggiorno.
Ai primi di agosto, secondo i dati forniti pochi giorni fa dal monitoraggio della campagna Ero straniero, la situazione in molti territori permane ancora molto grave, soprattutto nelle grandi città. Giusto per fare qualche esempio: a Milano, delle 26.000 pratiche ricevute, sono stati rilasciati solo 2.000 permessi di soggiorno (sulla situazione relativa al territorio lombardo si veda: Bonizzoni, Paola, Artero, Maurizio, & Hajer, Minke. (2021). Una sanatoria tanto (dis)attesa? Il programma di ‘emersione’ 2020 tra ostacoli e mancate opportunità). A Roma su 16.000 domande, sono 60 i permessi di soggiorno rilasciati. A Torino, su circa 5.000 domande, rilasciati 760 titoli di soggiorno. A Napoli, 641 su 17.500 domande. A Caserta, territorio storicamente interessato dai fenomeni di lavoro nero e caporalato, 285 permessi di soggiorno rilasciati su 3.700 domande.
Ad aggravare la situazione, il Covid, ma soprattutto la mancanza di personale dedicato (le circa 800 figure interinali previste dal decreto “rilancio” sono entrate effettivamente in servizio quasi un anno dopo, tra marzo e maggio 2021, per il protrarsi delle procedure di assunzione, ndr), fattori che hanno fatto sì che la maggior parte delle prefetture italiane abbiano iniziato le convocazioni dei lavoratori stranieri molto a rilento e a un ritmo di 3-4 appuntamenti al giorno (a Milano, al ritmo di 16 al giorno, si stima che saranno necessari circa trent’anni per portare a compimento le procedure per l’emersione, ndr).
Ma vi è ancora un altro dato cui prestare attenzione.
Quasi due stranieri su tre che hanno richiesto di essere regolarizzati nel settore domestico, sono uomini. Una quota altissima se si considera che, nel 2019, l’89% degli impiegati domestici in Italia erano donne (secondo le stime Istat). I dati inediti del ministero dell’Interno ottenuti da Altreconomia (resi noti a maggio 2021) confermano i limiti di un provvedimento già traballante. Infatti, dagli elementi ottenuti, come sottolinea l’avvocato Asgi, Marco Paggi, si evidenzia che su circa 177mila domande nel settore domestico, oltre 113mila, il 64%, sono state presentate da uomini. Il dato va analizzato perché è evidente che il problema sta a monte, ed ha l’effetto sciagurato di produrre un paradosso per cui l’obiettivo di diminuire il lavoro nero, di fatto lo aumenta. Ancora più chiaramente: questo dato fa dedurre che chi è in attesa di essere regolarizzato come “domestico”, nel frattempo continua a portare avanti il suo ‘vero’ lavoro senza contratto, in un altro ambito lavorativo (e senza tutele). Inoltre, molte persone che in realtà ricoprono il ruolo di “assistente a persona non autosufficiente” (ovvero le cosiddette “badanti” in senso stretto) sono state assunte come “collaboratori domestici” perché richiedono un diverso inquadramento in termini contrattuali, quindi una minor retribuzione annua. Non solo: anche diversi lavoratori impiegati in agricoltura sono stati trasformati in collaboratori domestici. Ecco forse un’altra spiegazione relativa al basso numero di domande presentate in agricoltura (il 15% delle 207mila totali).
Al di là degli aspetti tecnici, numerici e più puramente giuridici, va necessariamente sottolineato che le decine di migliaia di persone che sono ancora in attesa di una risposta, restano di fatto impossibilitate a concludere il proprio processo di inclusione socio-lavorativa e ad accedere alle tutele previste per chi lavora in regola nel nostro Paese. Per non parlare dell’impatto di tale ritardo in termini di salute, aspetto particolarmente delicato durante una pandemia. In moltissimi casi, infatti, lavoratori e lavoratrici in emersione, hanno avuto problemi a iscriversi al Servizio Sanitario Nazionale – nonostante la legge lo preveda – e di conseguenza è stato difficile, se non in alcuni casi impossibile, per loro, rientrare nella campagna vaccinale anti-COVID. Per non parlare, ancora, dei cittadini stranieri tagliati fuori dalla “sanatoria”, e quindi ancora senza documenti (anche in questo caso le stime sono altissime e variabili, ma si aggirano attorno a circa 300.000 persone invisibili).
Alla luce di quanto siamo riusciti molto sinteticamente a evidenziare, resta un dato di fatto tristemente incontrovertibile: decine migliaia di persone migranti sono costrette a vivere nell’incertezza, in un limbo che sembra non avere via di fuga, a causa di un’amministrazione evidentemente non in grado di dare attuazione a quanto previsto nelle norme e in tempi congrui. Un ritardo che non trova giustificazioni. E la strada da percorrere per concludere tutta la procedura è ancora assai lunga e irta di ostacoli.
Paola Andrisani