
Ha dodici anni. E’ curda. E’ una delle 11 persone sopravvissute al naufragio di una barca a vela partita dalla Turchia alcuni giorni fa e affondata ieri al largo delle coste calabre. Almeno altre 66 persone sarebbero disperse. Tra loro ci sono i genitori della bambina che ora è in cura presso l’ospedale di Locri. Non sa ancora di averli persi. Insieme a lei si sono salvati la zia e il cugino. Almeno non si troverà completamente sola a scalare le mura sempre più alte della Fortezza Europa che anche grazie all’approvazione del Nuovo Patto europeo su Migrazioni e Asilo tra due anni sarà ancora più disumana e crudele di quanto non lo sia già oggi.
Ugualmente scioccante è quanto è accaduto ieri al largo della Sicilia, dove un barchino con 60 persone a bordo è stato soccorso dalla ong tedesca Resqship. Nel corso delle operazioni di soccorso, sottocoperta sono stati trovati i corpi di dieci persone. Per recuperarli è stato necessario rompere la nave. Sono sopravvissute 51 persone.
Un conteggio gelido e straziante.
“Un fallimento collettivo”
Hanno ragione Unhcr, Unicef, e OIM. I naufragi di ieri, avvenuti 16 mesi dopo quello che al largo di Curtro provocò la morte di almeno 96 persone, testimoniano un fallimento collettivo.
Della politica, della società, di noi tutt@ che nonostante dichiarazioni solenni, appelli, manifestazioni, commemorazioni, giornate della memoria, raccolte di firme su leggi di iniziativa popolare, proposte per cambiare verso alle politiche migratorie, non siamo riusciti a fermare le stragi che senza soluzione continuità si ripetono dalla metà degli anni 90 ad oggi. Fermare le stragi! almeno dal 3 ottobre 2013, quando a Lampedusa morirono 366 persone, lo abbiamo gridato più e più volte.
Ma nessuno, tra coloro che hanno il potere di decidere, ha voluto e vuole ascoltare. Né ieri, né oggi. Oggi molto meno di ieri.
Non si è voluto varare una missione pubblica europea di ricerca e di soccorso in mare. Nessuno intende davvero fermare le politiche di spoliazione e depredazione che da secoli impoveriscono la gran parte dei paesi da cui partono le persone dirette in Europa. La cooperazione allo sviluppo è piegata al ricatto di accordi di collaborazione con i paesi terzi che al primo punto hanno il blocco delle “migrazioni illegali”.
Del resto, la politica si è trasformata da gestione pubblica del benessere comune a gestione del potere sempre più privata, volta a guadagnare consenso nel più breve tempo possibile, costi quello che costi. Uno slogan (ricordate “cercare gli scafisti lungo tutto il globo terraqueo”?) val bene migliaia di vite perdute in mare. Vite di scarto di cui si può fare a meno. O al massimo, si può tentare di tenerle il più lontano possibile dai nostri occhi.
Così ci sono i miliardi di dollari e di euro destinati a foraggiare le guerre, la produzione e l’invio di armi e a destabilizzare il pianeta. Ci sono anche per siglare accordi vergognosi, inattuabili e per giunta incredibilmente onerosi, come con quello con l’Albania. Ma le “risorse” scompaiono quando si tratta di garantire diritti fondamentali come quello all’asilo o più semplicemente il diritto di spostarsi per vivere meglio rispetto a dove si è nati.
E il dove si è nati è per lo più un posto dove le politiche coloniali di ieri e di oggi continuano a impoverire le popolazioni locali, a depredare le ricchezze e le materie prime del territorio, ad aizzare ed alimentare conflitti interni e guerre civili.
Sino a qualche tempo fa c’era la forza di commuoversi, di indignarsi, di mostrare empatia e solidarietà alle persone sopravvissute e alle famiglie delle persone disperse.
Non possiamo assuefarci
Oggi la dignità, il rispetto dei diritti umani, la solidarietà, la forza di opporsi a questa guerra inconsulta, perché di guerra si tratta, contro persone inermi, sembrano per lo più affogare nell’assuefazione.
Vorrebbero azzittirci e farci abituare a tutto.
Quella bambina scampata miracolosamente alla morte, insieme a tutte le altre vittime della Fortezza Europa, ci ricordano che non ne abbiamo il diritto.
Grazia Naletto