E’ stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 10 marzo 2023 il Decreto-Legge n.20 “Disposizioni urgenti in materia di flussi di ingresso legale dei lavoratori stranieri e di prevenzione e contrasto all’immigrazione irregolare”. Entrato in vigore l’11 marzo, dovrà essere convertito in legge dal Parlamento entro 60 giorni e si trova attualmente all’esame della Commissione Affari Costituzionali del Senato.
Il testo del Decreto è stato approvato nel corso del Consiglio dei Ministri convocato a Cutro il 9 marzo scorso, dopo la terribile strage di migranti del 26 febbraio avvenuta a 150 metri dalla costa calabrese, le cui vittime accertate sono ad oggi 88, tra le quali molti minori.
Annunciato con grande clamore come un passo in avanti storico nella lotta contro “l’immigrazione illegale”, il decreto ha innanzitutto una valenza simbolica volta a ostentare la linea di “tolleranza zero” del Governo nei confronti dell’immigrazione definita “illegale”.
I 12 articoli del decreto lasciano sostanzialmente inalterato il sistema di programmazione degli ingressi per motivi di lavoro, inaspriscono alcune sanzioni penali già previste per il reato di favoreggiamento dell’immigrazione “clandestina”, introducono un’aggravante nel caso siano provocati il ferimento o la morte di una o più persone. Infine non abrogano, ma restringono la disciplina della protezione speciale.
Gli art. 1-3 contengono alcune norme inerenti alla programmazione dei flussi di ingresso per motivi di lavoro. La programmazione triennale, già prevista dall’art. 3 TU. 286/98 nella forma di un documento programmatico triennale, viene confermata, ma è previsto che per il triennio 2023-2025 il Presidente del Consiglio emani un decreto contenente l’indicazione delle quote massime di ingresso di lavoratori stranieri per ciascuno degli anni di riferimento. In sostanza, dovremmo aspettarci un decreto flussi su base triennale anziché su base annuale; resta invariato il sistema esistente (che non funziona) di incontro a distanza tra domanda e offerta di lavoro. Si prevede inoltre di assegnare, in via preferenziale, quote riservate ai lavoratori di Stati che, anche in collaborazione con lo Stato italiano, “promuovono per i propri cittadini campagne mediatiche sui rischi per l’incolumità personale derivanti dall’inserimento in traffici migratori irregolari”. Una declinazione propagandistica di quel “premio” che le norme esistenti riconoscevano già ai paesi terzi più collaborativi nel cosiddetto “contrasto dell’immigrazione illegale”.
L’art. 4 prolunga a tre anni la durata del permesso di soggiorno per motivi di lavoro a tempo indeterminato, per lavoro autonomo e per ricongiungimento familiare. Una modifica che contribuirà ad alleggerire il carico di lavoro delle Questure e, speriamo, anche ad accelerare le pratiche di rilascio del permesso di soggiorno a vantaggio dei richiedenti.
L’art. 5 prevede che i datori di lavoro agricoli che abbiano fatto domanda di assunzione di lavoratori nell’ambito del decreto flussi emanato il 29 dicembre 2022 e non siano rientrati nelle quote previste, siano considerati con priorità nell’ambito dei decreti flussi successivi nei limiti della quota assegnata al lavoro agricolo.
L’art. 6 prevede che in caso si verifichino gravi adempimenti nell’esecuzione dei contratti di gestione dei Cpr, il Prefetto possa nominare un commissario straordinario per la gestione temporanea dei centri, per portare a termine l’esecuzione del contratto di appalto e che il relativo utile di impresa sia accantonato in un apposito fondo. Sempre in materia di Cpr, l’art.10 prevede che la realizzazione dei centri possa essere effettuata “in deroga ad ogni disposizione penale,” salvo il rispetto del codice antimafia e dei vincoli derivanti da norme comunitarie. Per il resto, il Governo conferma l’intento di aprire un centro di detenzione in ogni regione perseguito da quasi tutti i governi che si sono succeduti dal 2008 in poi.
L’art. 7 interviene sull’istituto della protezione speciale, di fatto limitandone l’applicazione grazie all’abrogazione degli ultimi due paragrafi dell’art. 19 c.1.1. del T.U.286/98 che consentivano di valutare, ai fini del riconoscimento di tale forma di protezione, il rischio che l’allontanamento dal territorio nazionale comporti una violazione della vita privata e familiare o del diritto alla salute del richiedente tenendo conto “della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato, del suo effettivo inserimento sociale in Italia, della durata del suo soggiorno nel territorio nazionale nonché dell’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d’origine”. Si tratta di una modifica che impedirà a molte persone di ottenere protezione e un titolo di soggiorno.
L’art. 8 innalza di un anno le sanzioni minime e massime già previste contro il “favoreggiamento dell’immigrazione illegale”, mentre le innalza in modo significativo nel caso in cui la promozione, la direzione, l’organizzazione, il finanziamento o l’effettuazione del trasporto di stranieri comportino lesioni gravi o gravissime o la morte di una o più persone (la pena potrà variare tra i 20 e i 30 anni di detenzione).
E’ questo l’articolo bandiera su cui il Governo, messo in difficoltà dalla disastrosa e disumana gestione del naufragio di Steccato di Cutro, ha posto l’attenzione per tentare di rassicurare l’opinione pubblica, dichiarando una guerra addirittura globale agli scafisti identificati come nuovo capro espiatorio (dopo le Ong impegnate nelle operazioni Sar). A tal punto da prevedere che “se la condotta è diretta a procurare l’ingresso illegale nel territorio dello Stato, il reato è punito secondo la legge italiana anche quando la morte o le lesioni si verificano al di fuori di tale territorio.” Una norma la cui legittimità e applicabilità è stata già messa in dubbio da alcuni giuristi, si veda ad esempio qui.
Nel complesso il Dl. 20/2023 si presenta come un’esibizione muscolare dunque, come l’ha definita Gianfranco Schiavone, che non contribuirà a fermare le partenze di chi non ha alternative, semmai moltiplicherà i contenziosi in tribunale come ha spiegato bene l’avvocato Livio Neri in un’intervista qui.