
La scorsa settimana la Commissione Europea ha presentato una serie di proposte sulle politiche migratorie volte a creare un sistema comune per i rimpatri dei cittadini di paesi terzi senza documenti a livello europeo.
Un ordine di rimpatrio europeo
La proposta di Regolamento sulle procedure di rimpatrio, all’articolo 6 (punto 7) fa esplicito riferimento ad un ordine di rimpatrio europeo valido per tutti i 27 stati dell’UE: l’intento è quello di scoraggiare la cosiddetta migrazione secondaria, ovvero lo spostamento di una persona proveniente da paesi terzi nei diversi stati dell’UE.
In continuità con quanto stabilito dal Patto Europeo, la linea è quella di coordinare a livello europeo le politiche migratorie a partire dalla messa a sistema delle procedure di rimpatrio con un maggior coinvolgimento degli stati membri nella riammissione nello stato di origine della persona; gli stati membri sono invitati a fornire supporto e informazioni necessari. Secondo quanto previsto dall’art. 42 punto 1: «Un sistema comune per i rimpatri ai sensi del presente Regolamento sarà composto da:
- una procedura comune per il rimpatrio dei cittadini di paesi terzi senza diritto di soggiorno nell’Unione, compresa una procedura comune di riammissione come parte integrante della stessa;
- un sistema di riconoscimento e di esecuzione delle decisioni di rimpatrio tra gli Stati membri;
- le risorse necessarie e un personale competente sufficiente negli Stati membri per l’attuazione del presente Regolamento, inclusa la detenzione;
- sistemi digitali per la gestione del rimpatrio, della riammissione e della reintegrazione dei cittadini di paesi terzi;
- la cooperazione tra gli Stati membri;
- organismi, uffici e agenzie dell’Unione che forniscono supporto ai sensi dell’articolo 43(4) e in linea con i rispettivi mandati.»
Nella sezione 3 si propone di affiancare all’ordine di rimpatrio europeo, anche un divieto d’ingresso in UE. L’articolo 10 punto 1 specifica che «Le decisioni di rimpatrio devono essere accompagnate da un divieto di ingresso quando:
- il cittadino di un paese terzo è soggetto a un allontanamento forzato in conformità con l’Articolo 12;
- l’obbligo di rimpatrio non è stato rispettato entro i termini stabiliti in conformità con l’Articolo 13;
- il cittadino di un paese terzo rappresenta un rischio per la sicurezza in conformità con l’Articolo 16.»
La durata del divieto d’ingresso, come specificato nei punti 6 e 7 del medesimo articolo, va da un massimo di 10 anni con la possibilità di proroga per un massimo di altri 5 anni e si attiva nel momento in cui viene effettivamente eseguito il rimpatrio – sia che esso sia volontario che forzato.
L’art. 20 introduce la possibilità di rimpatrio per le persone minorenni – attualmente non previsto nell’ordinamento Italiano – pur vincolandola alla tutela dei diritti e degli interessi del minore e alla certezza – nel caso specifico dei minori non accompagnati – della presa in carico da parte di un membro della famiglia o di un tutore legale nel paese di origine.
Rafforzamento del sistema di detenzione amministrativa
Il capitolo V del Regolamento è dedicato invece alla detenzione amministrativa, il cui sistema, in continuità con quanto stabilito dal Patto Europeo Migrazioni e Asilo adottato nel 2024 che entrerà in vigore nel 2026, viene ulteriormente rafforzato.
L’art.32 prevede l’estensione del periodo massimo di detenzione dai 18 mesi attuali a 24 mesi. L’art.35 prevede la detenzione, seppur come ultima opzione, per le persone minorenni e le famiglie con minorenni, alle quali dovrebbe essere dedicato uno spazio separato all’interno della struttura detentiva. Il regolamento prevede nell’articolo 31 la possibilità di evitare la detenzione in centri specifici e in accordo con le autorità nazionali presentando una garanzia finanziaria – come già previsto in moltissimi paesi europei – oppure introducendo la detenzione domiciliare con possibilità di sistema di monitoraggio elettronico (e.g. il braccialetto elettronico). Queste misure sarebbero applicabili anche qualora, una volta terminato il periodo di detenzione, non si riuscisse a rimpatriare la persona, come spesso accade per assenza di effettivi accordi di riammissione con molti paesi terzi dai quali buona parte delle persone in movimento provengono.
Resident Hub, la possibilità di costruire i CPR nei Paesi Terzi
La proposta di Regolamento interviene anche a definire il ruolo dei Paesi Terzi con i quali esistono accordi o intese sui rimpatri. Se i cosiddetti “Return Hub”, sono citati solo nell’introduzione, l’art. 17 della proposta di Regolamento prevede la possibilità di rimpatriare le persone migranti che ricevono un ordine di espulsione in paesi terzi diversi da quelli di origine, a patto che vi sia un accordo con lo stato membro che emette l’ordine di rimpatrio e che il paese terzo in causa rispetti gli standard di tutela dei diritti umani e il principio di non respingimento. Da queste modalità di rimpatrio sono esclusi i minori non accompagnati e le famiglie con minori. Non si fa esplicito riferimento all’apertura di centri di detenzione, ma alla necessità di definire negli accordi eventualmente stipulati “le modalità del trasferimento, nonché le condizioni per il periodo di permanenza nel Paese, che può essere a breve o a lungo termine.” Di fatto, se letto nella sua interezza, la proposta di Regolamento apre alla possibilità di istituire dei Return Hub – i.e. dei Centri di detenzione – in paesi terzi con cui gli Stati Membri hanno degli accordi. Il richiamo al protocollo Italia-Albania può sembrare quasi automatico, ma in questo caso non si tratterebbe di centri a giurisdizione dello stato membro che emette l’ordine di rimpatrio in cui eseguire le cosiddette procedure accelerate di frontiera nel territorio di un paese terzo, ma di rimpatriare la persona migrante che riceve l’ordine di espulsione in un paese terzo diverso dal proprio o – nel caso dei return hub – di veri e propri centri di permanenza per il rimpatrio in un paese terzo.
In continuità con il nuovo Patto Europeo su Migrazioni e Asilo
La proposta di Regolamento su un sistema europeo comune per i rimpatri di cittadini terzi senza documenti si pone dunque in continuità con il Patto Europeo su Migrazioni e Asilo adottato dal Consiglio il 14 Maggio 2024 e che entrerà in vigore nel 2026. La Commissione Europea considera prioritario unificare le politiche migratorie per affrontare la cosiddetta emergenza migratoria, come se non fosse da decenni un fenomeno strutturale. L’accento è posto ancora una volta sulla cosiddetta migrazione irregolare, sulle modalità di esecuzione dei rimpatri e di ricorso alla Detenzione Amministrativa. Il contrasto alle forme di migrazione secondaria – ovvero quella che va dal primo stato UE di arrivo (e.g. Italia) a un secondo stato UE (spesso Germania o Francia), l’esternalizzazione sistemica delle frontiere, la detenzione amministrativa, i sistemi di screening e di sorveglianza, sono i pilastri di una generale politica del rifiuto alla base tanto del Nuovo Patto Europeo su Migrazioni e Asilo che delle proposte della Commissione Europea. Dispositivi normativi che non fanno che inserirsi tra i mattoni che costruiscono quei muri invalicabili dentro cui l’Unione Europea persiste a chiudersi.
A farne le spese saranno le persone in movimento – non bisogna dimenticarlo – che al contrario di quanto proclamato dalla stessa presidente della Commissione Europea, non verranno tutelate da queste disposizioni, ma al contrario saranno spinte a cadere in condizioni di irregolarità. Un esempio riguarda soprattutto la situazione dei minori non accompagnati e la possibilità che siano colpiti da provvedimenti di espulsione. Come sottolinea bene Gianfranco Schiavone su l’Unità «nel caso la legislazione interna dello Stato UE non tuteli dall’allontanamento i minori non accompagnati (l’Italia manterrà il divieto di espulsione attuale?) essi si sottrarranno ai controlli e fuggiranno dalle comunità di accoglienza popolando le strade delle città europee. »Mentre la crisi sociale va sempre più avanti intrecciandosi alle crisi umanitarie che ci circondano, mentre riparte la folle corsa agli armamenti, chi ci difenderà dal baratro in cui stiamo cadendo in cui lo Stato di diritto sembra non essere più la priorità? Forse non questa Unione Europea, dimentica dei principi di pace e di accoglienza e troppo impegnata a fare la forte con i deboli.