Un fenomeno complesso e diffuso come quello della violenza razzista online non può essere contrastato in modo efficace con il mero ricorso agli strumenti giuridici (per altro, di non facile applicazione) o con il semplice richiamo all’utilizzo critico della rete.
Parte da questa consapevolezza il libro di Stefano Pasta Razzismi 2.0 Analisi socio-educativa dell’odio online, 2018, pubblicato di recente da Scholé. Un contributo originale che analizza la diffusione dell’odio in rete, con uno sguardo rivolto al mondo educativo.
Ognuno di noi è ormai potenzialmente e al tempo stesso fruitore e produttore di informazioni e la capacità di lettura critica deve essere accompagnata dalla responsabilità personale di comunicare/informare in modo corretto. Responsabilità che deve essere sviluppata in particolare tra i giovani, intrecciando l’educazione interculturale e la media education. E, quest’ultima, secondo Pasta, deve soffermarsi più sulle logiche che sottendono i discorsi violenti che sulla tecnologia utilizzata per diffonderli.
Il tema non è quello di evidenziare i rischi e gli aspetti problematici della rete, semmai si tratta di promuoverne l’utilizzo per costruire una società aperta e inclusiva, online e offline. L’articolazione del libro persegue dunque questo obiettivo ideale.
Dopo un primo capitolo che offre una sommaria ricognizione del pensiero razzista nel Novecento, la parte centrale del testo presenta i risultati di una ricerca svolta dall’autore sull’odio online, seguita da due capitoli che tentano di individuare le possibili azioni di contrasto che possono essere promosse a livello istituzionale e in ambito educativo.
Stefano Pasta, Razzismi 2.0 Analisi socio-educativa dell’odio online, 2018, Scholé, Brescia
La violenza online: due filoni principali
La rete rende molto più labile rispetto al passato la separazione tra razzismi espliciti e impliciti. L’autore ricorda due tendenze principali degli ultimi anni: il ritorno di discorsi esplicitamente razzisti che ripropongono l’impianto del razzismo classico, biologico e culturale, e le retoriche che muovono dall’asserzione di una competizione tra i gruppi bersaglio e i cittadini autoctoni in ambito economico e sociale. “Nella costruzione del discorso pubblico, il fatto che le razze non esistano non ha molta importanza: se la differenza razziale viene usata per costruire un confine, essa produce conseguenze come se esistesse veramente. Il discorso razzista non ha dunque bisogno che le razze esistano sul serio, è sufficiente credere o far credere che sia così.” Le logiche che sottendono i nuovi razzismi culturali sono sempre le stesse: gerarchizzazione e differenzializzazione, ma nell’era 2.0 il razzismo è più esplicito ed è ostentato. E chi scrive in rete un insulto razzista non ha bisogno di credere alle teorie cui questo rinvia. E’ sufficiente che le abbia interiorizzate.
L’ambiente digitale
Lo spazio digitale non deve essere guardato in contrapposizione a quello reale perché la rete è divenuto parte della rete sociale, sottolinea l’autore, ma deve essere analizzato nelle sue specificità, tenendo conto degli elementi di continuità che legano l’offline e l’online: i social network supportano l’organizzazione e l’estensione della rete sociale reale, l’espressione della propria identità sociale e l’analisi dell’identità sociale degli altri. Fruiamo di contenuti, ma al tempo stesso ne produciamo. E gli adolescenti tendono sempre più a un’informazione personalizzata. Tende così ad affermarsi una cultura sempre più soggettiva, costituita dalle interpretazioni che ne danno i singoli utenti della rete. E le interpretazioni si confondono con la realtà. Ecco perché, (osserviamo noi) ad esempio, le false notizie hanno buon gioco a diffondersi nella rete. E molte false notizie sono state usate proprio per criminalizzare non solo i migranti e le minoranze, ma anche il mondo della solidarietà.
Rapidità, banalizzazione dei contenuti, deresponsabilizzazione, nuovi canoni di autorialità (“l’ho visto su Facebook”), reiterazione e possibilità di ricorrere all’anonimato, utilizzo di immagini e meme dal forte connotato simbolico, tendenza alla conformità e desiderio di popolarità, analfabetismo emotivo, flaming e bolle di filtraggio, parificazione tra legami forti e legami deboli: Pasta analizza gli elementi e i meccanismi principali che caratterizzano la comunicazione in rete e facilitano la diffusione di retoriche razziste.
“Scrivere parole d’odio è molto diverso dal dire la stessa frase guardando negli occhi l’interlocutore: nel secondo caso osservare la risposta emotiva potrebbe costringere a condividere la sofferenza, spingendo a moderare parole e gesti, mentre nel primo caso le emozioni non sono immediatamente visibili e non hanno un impatto diretto sulle decisioni.” L’autore individua dunque nella capacità di conciliare l’approccio cognitivo con la capacità di creare empatia, la sfida da affrontare nella comunicazione online che voglia contrastare il razzismo in modo efficace.
Le retoriche violente
Sulla base dell’analisi di 130 retoriche razziste online (40 casi trattati da Unar negli anni 2012-2013 e 90 casi individuati in ambienti digitali a rischio, dallo stesso autore), il quarto capitolo del libro avanza un’ipotesi di classificazione elaborata sulla base di un’analisi lessicografica, integrata con un’analisi qualitativa effettuata in profondità. Sulla base dell’analisi del lessico, l’autore individua cinque tipologie di razzismi: tribale (insulto rivolto contro un gruppo considerato inferiore, ma interno al proprio ambiente), mirato (insulto del razzismo classico che rivendica l’esclusione), dei fatti (il razzismo pacato e “argomentato”), di necessità (tollerante e rassegnato all’accettazione considerata inevitabile) e estremo (di rifiuto totale). Dall’analisi qualitativa desume un’altra classificazione. Il razzismo di circostanza, innalza il conflitto per degradare l’interlocutore. L’attenzione dell’aggressore è rivolta alla parte avversaria più che al bersaglio dell’insulto. Il razzismo ideologico rimanda alle teorie strutturate del razzismo classico e ha un forte richiamo al fascismo e al nazismo. Il razzismo di provocazione si presta all’affermazione di sé e crea identità di gruppo, grazie alla trasgressione rivendicata del politicamente corretto e del moralmente accettabile. Il razzismo di opposizione non è argomentato ed è fondato su un’attitudine etnocentrico-autoritaria.
Gli strumenti di contrasto e il ruolo dell’educazione
La rete è un “mezzo anarchico per natura in quanto transnazionale, delocalizzato, perennemente in evoluzione, aperto all’accesso e pluralista”. Difficile contrastare il razzismo online solo con mezzi repressivi di livello nazionale, così come immaginare una governance globale di sistemi culturali e giuridici caratterizzati da una diversa interpretazione e tutela della libertà di espressione. Benché in Italia la legge Mancino offra una base giuridica per sanzionare chi incita a commettere atti di discriminazione, la disciplina del Web è ancora fragile e la giurisprudenza in materia resta limitata, né è pensabile che possa da sola fermare il razzismo online.
Da qui l’importanza di una forte azione educativa contro i razzismi online, rivolta in particolare ai giovani.
La chiave, secondo l’autore, è educare a una comunicazione creativa, riflessiva, responsabile e empatica adottando metodologie collaborative e orizzontali (peer to peer), capaci di favorire un impegno attivo diretto e personale nel contrasto e nella prevenzione del razzismo online, soprattutto grazie alla produzione di narrazioni alternative.