
Un singolo messaggio su whatsapp, una storia, dei post con delle foto.
I social hanno ampliato il margine di espressione dei singoli, talvolta con la voce della pancia, talvolta con la voce della ragione, con tutte le conseguenze, non sempre giuste, che ne derivano.
In questo scenario si inserisce la storia di Seif Bensouibat, educatore trentottenne.
A inizio 2024, Bensouibat, in una chat privata con dei colleghi, aveva commentato la situazione in Palestina, condannando le azioni di Israele e mostrando solidarietà ai gruppi di resistenza palestinesi. Questo post gli è costato caro: è stato sospeso dal servizio nel liceo in cui lavorava, la sua protezione internazionale è stata revocata e, dopo una perquisizione domiciliare, è stato trasferito nel Centro di Permanenza per il Rimpatrio di Ponte Galeria, a Roma. Dopo 4 giorni di detenzione, è stato rilasciato, ma rischia ancora l’espulsione.
I fatti
Le prime informazioni legate a questa complessa vicenda risalgono a inizio febbraio quando viene riportata da L’Indipendente la notizia di un uomo algerino che per un messaggio pro Palestina in un gruppo whatsapp viene prima sospeso dalla scuola in cui lavora e poi perquisito.
A gennaio infatti i poliziotti della Divisione Investigazioni Generali Operazioni Speciali della sezione Terrorismo irrompono nell’abitazione di Bensouibat, su segnalazione del preside della scuola, informato dello scambio di messaggi sopracitato. Dalla perquisizione non risulta nulla se non, dopo aver controllato anche il telefono, le esternazioni sui social: una foto dei bambini morti a Gaza, la foto del leader di Hamas ed una foto di Ursula Von Der Leyen.
Dopo pochi mesi le forze dell’ordine tornano a bussare alle porte di Seif Bensouibat: viene notificata la revoca della protezione internazionale, comunicato il provvedimento di espulsione perché – come riporta il Post – pericoloso per la sicurezza dello Stato ed infine detenuto nel Centro di Permanenza per il Rimpatrio di Ponte Galeria. Dopo quattro giorni di detenzione il giudice di pace decide di non convalidare il trattenimento e Seif Bensouibat, viene rilasciato. La vicenda, che sorprende per la rapidità d’intervento da parte dei funzionari, non termina qui, infatti l’educatore rischia ancora l’espulsione.
La precarietà della regolarità
Come sottolinea l’avvocato Arturo Salerni in una dichiarazione riportata dal Manifesto è tutto «sproporzionato rispetto a un momento di sconforto su quello che stava e sta succedendo a Gaza, ma su questo argomento ci sono nervi scoperti» e aggiunge «La revoca della protezione internazionale dovrebbe essere un fatto straordinario, si espongono a pericoli persone che dovrebbero essere protette dal nostro ordinamento».
La tempestività di intervento che le esternazioni di Seif Bensouibat su una chat privata hanno causato, destano una certa preoccupazione. Sono tanti, infatti, i piani che si mischiano: da un lato il tipo di censura che da tempo si sta facendo sulla Questione Palestinese e il genocidio attualmente in corso a Gaza, dall’altro come per molte persone di origine straniera sussista una continua precarietà del proprio status giuridico, che può essere messa in discussione anche da un messaggio in una chat. Su quest’ultimo punto, vale la pena porre l’attenzione in questa sede.
Un’opinione può far perdere il diritto a permanere in questo Paese?
In tempi in cui gli spazi di confronto stanno diminuendo, quello di Bensouibat rappresenta un precedente estremamente pericoloso. Non sempre le persone razzializzate hanno la possibilità o il desiderio di manifestare un qualsivoglia posizionamento politico, spesso proprio perché vi è la sottile consapevolezza di una sorta di precarietà della regolarità. Un documento che ora può dare sicurezza, potrebbe scomparire improvvisamente. Oppure, avendo partecipato a manifestazioni, una richiesta di cittadinanza può essere respinta anche solo perché la persona che la richiede è stata segnalata per aver manifestato forme di dissenso. Il caso di Bensouibat mostra come per lo Stato le persone di origine straniera, in particolare senza cittadinanza, siano su un piano diverso da chi ha la cittadinanza dalla nascita.
Attualmente i legali sembrano fiduciosi nella possibilità di ottenere un annullamento del provvedimento di espulsione. Intanto, dopo il rilascio di Bensouibat, anche grazie alla sua stessa testimonianza, si è intensificata la denuncia delle condizioni all’interno dei CPR.
Nel frattempo, la comunità che ha conosciuto Bensouibat attraverso il lavoro che per dieci anni ha svolto a scuola si stringe a lui, tra alunni e genitori, attendendo un passo indietro rispetto a questa decisione e, forse, di rivedere presto tra i banchi di scuola l’educatore che ha imparato a conoscere e stimare.