Ventidue anni e tutta la vita davanti, una vita fatta di sogni, speranze e aspettative. Certo, nei progetti di vita di Ousmane Sylla, originario della Guinea e partito come tanti giovani per cercare di migliorare le sue condizioni di vita, non c’era quello di finire in un Centro di Permanenza per il Rimpatrio prima a Trapani e poi a Roma, per sette mesi in stato di detenzione amministrativa, privato della propria libertà personale nonostante l’assenza di reati a suo carico.
Una storia purtroppo già sentita, una storia il cui epilogo è arrivato all’alba di domenica 4 Febbraio, accompagnato da un messaggio sul muro della cella in cui dice di non riuscire più a sopportare la situazione in cui si trova e di volere che il suo corpo ritorni in Africa.
Ousmane Sylla, è l’ennesimo ragazzo che si toglie la vita all’interno di un CPR, l’ennesima vittima di un sistema malato che rappresenta la massima espressione di una politica volta alla protezione dei confini, alla criminalizzazione e al rifiuto delle persone che migrano.
Attualmente sono in corso le indagini per comprendere le cause del gesto del ragazzo: si parla di istigazione al suicidio, si parla di un rimpatrio ritardato, un decreto di espulsione arrivato il 13 ottobre del 2023 e non eseguito sia per mancanza di un accordo di riammissione fra Italia e Guinea. Eppure, mentre il ragionamento rischia di scivolare nella pericolosa fallacia argomentativa tale per cui questa morte è stata causata dalla mancanza di efficienza da parte del governo nell’attuare ciò che promette – ovvero facili espulsioni – non dobbiamo mai dimenticare che ciò che rappresenta il reale problema è il CPR in sé.
Organizzazioni, associazioni che da sempre chiedono la chiusura dei CPR e che spesso si occupano anche di monitoraggio all’interno delle strutture, da sempre denunciano i maltrattamenti e le violazioni dei diritti umani all’interno dei Centri di Permanenza per il Rimpatrio. Le persone detenute all’interno dei centri spesso organizzano atti di protesta e vere e proprie rivolte, rivendicando il rispetto dei loro diritti che troppo spesso viene a mancare. E’ così che anche questa volta, nel CPR di Ponte Galeria, alla notizia della morte del ragazzo si sono scatenati dei disordini, con lancio di sassi, colluttazioni con le forze dell’ordine ed il tentativo di sfondare le grate che dividono i settori del centro.
Ancora una volta i detenuti all’interno del centro, in risposta all’ennesima morte, hanno rivendicato la richiesta di migliori trattamenti, in linea con altri recentissimi disordini verificatisi due settimane fa nel CPR di Milo (Trapani) e sempre nella giornata di ieri a Gradisca (Gorizia). Dopo i disordini di ieri a Ponte Galeria sono stati disposti al momento 14 arresti.
Come sottolinea la rete Mai Più Lager- No CPR in uno dei comunicati pubblicati ieri sui loro canali social, Sylla è la 40esima vittima dei Centri di Permanenza per il Rimpatrio. Sono luoghi in cui è troppo facile entrare per chi viene messo da parte dello Stato in una costante condizione di irregolarità, luoghi in cui è difficile entrare se si vuole verificare il rispetto dei diritti dei detenuti, luoghi che, non ci stancheremo mai di ribadire, vanno chiusi.
Molte realtà romane si stanno muovendo per richiamare un momento di mobilitazione in solidarietà a Ousmane Sylla, ai detenuti del centro in rivolta e per ribadire soprattutto la necessità di chiudere il CPR di Ponte Galeria. Quanto successo a Ousmane Sylla non è un caso; per questo, sottolineiamo ancora una volta, non solo il CPR di Ponte Galeria, ma tutti i CPR dovrebbero chiudere.
Non vogliamo aspettare che un’altra persona perda la vita in un Cpr. Non possiamo più restare in silenzio.
Mentre ci prepariamo a manifestare a Roma mercoledì prossimo, ricordiamo con rabbia Ousmane Sylla e ci stringiamo ai familiari, a chi l’ha conosciuto, a chi gli ha voluto bene.
REST IN POWER.
Image by wirestock on Freepik