
E’ la mattina di mercoledì 13 Marzo, quando a Modena Idrissa Diallo, 23enne aiuto chef di origine guineana, in attesa delle 2 per recarsi sul posto di lavoro, viene fermato dai carabinieri. che gli chiedono i documenti. Il giovane non ne è in possesso e viene invitato a salire nella loro auto di servizio: vogliono portarlo in caserma. Diallo si oppone e la situazione è degenera velocemente: un carabiniere inizia a prenderlo a pugni, mentre l’altro tiene fermo il ragazzo nel tentativo di farlo salire.
Il tutto viene ripreso da un cellulare ed in seguito diventa virale il video di quello che sembra l’ennesimo episodio di violenza da parte delle forze dell’ordine nei confronti di una persona di origine straniera.
I fatti
Sono ancora in corso le indagini per ricostruire l’accaduto. Inizialmente il giovane viene arrestato per resistenza a pubblico ufficiale e danneggiamento. Al momento della convalida dell’arresto, il ragazzo – come riferisce Fanpage – viene rimesso in libertà perché incensurato. Idrissa Diallo dichiara – tramite la sua avvocata – di non aver fatto nulla, di aver detto alle forze dell’ordine di essere disposto a chiamare un amico per farsi portare i documenti e procedere al controllo e di non aver danneggiato l’autovettura dei carabinieri. Sempre l’avvocata dichiara che i carabinieri hanno fermato il giovane perché sembrava “sospetto” e dopo aver verificato l’effettiva assenza di documenti e, dunque, l’impossibilità di identificarlo, si sono accaniti nei suoi confronti con una violenza non necessaria.
Razzismo istituzionale sistemico
Di certo non sarebbe la prima volta che le forze dell’ordine in Italia abusano del proprio potere con i cittadini e le cittadine di origine straniera, specialmente se razzializzati. Le dinamiche sono sempre le medesime: si parte da un controllo e poi si scatena la violenza nel momento in cui la persona si rifiuta di consegnare i documenti, di farsi controllare o di seguire le forze dell’ordine in questura. Va evidenziato, che i pochi studi disponibili ad oggi mostrano che il controllo dei documenti viene effettuato più frequentemente sui cittadini razzializzati. E’ la ben nota prassi definita a livello internazionale come “racial profiling”.
Poco più di un anno fa, a seguito della morte tragica di Oussama Ben Rebha, annegato mentre tentava di fuggire dalle forze dell’ordine, riflettevamo già sui vari casi di violenza compiuti dalle forze dell’ordine nei confronti delle persone con background migratorio. Dopo che i fatti di Pisa hanno riacceso i riflettori su quello che gli attivisti statunitensi chiamano police brutality – in un’analisi che cerca di creare un raccordo fra la violenza nei confronti dei manifestanti, nei confronti delle persone nere (e non solo), e quella che avviene nei luoghi di detenzione -, è importante ricordare che la violenza che colpisce le persone migranti o razzializzate spesso ha un movente razzista.
Considerando le dichiarazioni di Idrissa Diallo e dell’avvocata Barbara Bettelli, questo caso rischia purtroppo di inserirsi nella lunga storia di controlli arbitrari effettuati dalle forze dell’ordine in cui i tratti somatici sono sufficienti per far presumere un reato è la violenza fisica a risolvere un tentativo di resistenza a pubblico ufficiale, nonostante l’evidente asimmetria di potere che li caratterizza.
Una storia di razzismo istituzionale che rivela come le politiche del controllo passino sistematicamente attraverso il controllo dei corpi delle persone razzializzate. Le persone di origine straniera e razzializzate in un modo o nell’altro si interfacciano costantemente con polizia e carabinieri, partendo dalla richiesta del permesso di soggiorno da svolgere in questura, passando fino ai suddetti controlli che spesso sfociano in casi di profilazione etnica in cui, anche quando si mostra la carta d’identità (che da sola dovrebbe bastare come documento d’identificazione nei quotidiani fermi) viene richiesto in aggiunta il permesso di soggiorno.
E’ importante riflettere sul carattere sistemico del razzismo istituzionale per cogliere le connessioni tra queste storie così simili tra loro e il funzionamento di un sistema che continua a far percepire i corpi di origine migrante e razzializzati solo con la lente della criminalità.
Questa riflessione ci serve per ricostruire la sistematicità di questi episodi assai simili tra loro, denunciare il mancato controllo del comportamento delle forze dell’ordine creare consapevolezza da parte delle vittime di aver diritto a denunciare.
Fortunatamente Idrissa Diallo è consapevole di non essere il primo a vivere una situazione del genere, per questo ha dichiarato senza esitazioni di voler procedere per vie legali. Ad oggi la procura di Modena ha acquisito le immagini per procedere per gli accertamenti, i due militi sono stati riassegnati ad altri incarichi e la prossima udienza è prevista per il 18 Aprile.
In attesa che si faccia chiarezza, ci mostriamo solidali nei confronti di Idrissa Diallo.
Immagine di copertina presa dall’archivio di Canva Pro.