
Alle ore 12.00 di un lunedì di agosto, una donna di 71 anni, Cecilia De Santis, è stata investita da un’auto in corsa e rubata. Alla guida 4 bambini rom, tra gli 11 e i 13 anni. Di questa morte tremenda si sta parlando ovunque. Immediatamente dopo l’individuazione dei responsabili, è divampato un dibattito politico e mediatico distorto che rischia di inaugurare l’ennesima campagna di odio contro le persone rom, sinti e camminanti.
I fatti
Stando alle ricostruzioni riportate dal Corriere e dall’edizione cartacea della Stampa del 13 Agosto 2025, i quattro bambini avrebbero rubato l’automobile a dei turisti francesi, prima svuotando il bagagliaio; in seguito, dopo aver trovato una copia delle chiavi, si sono messi alla guida. L’auto si è mossa a gran velocità sbandando e investendo Cecilia De Santis, che ha perso la vita poco tempo dopo. Mentre i testimoni dell’incidente erano intenti a chiamare i soccorsi, rivelatisi vani, i ragazzi hanno continuato la folle corsa, per poi abbandonare l’auto e ritornare la sera tardi nell’accampamento in cui vivono, di proprietà di una delle famiglie, situato nella periferia sud di Milano. La mattina dopo, martedì, i ragazzi sono stati individuati dalle forze dell’ordine e identificati.
Un caso facilmente strumentalizzabile
In un clima politico in cui non si fa che alimentare i peggiori rigurgiti razzisti, tra manifesti che riproducono stereotipi antiziganisti e continui proclami sulla necessità di aumentare la sicurezza nelle città, questo caso di cronaca, purtroppo, si presta facilmente a essere strumentalizzato, soprattutto se contestualizzato nella delicata fase politica che sta attraversando la città di Milano a seguito delle inchieste sull’urbanistica. La strumentalizzazione si produce innanzitutto alimentando un sentimento di indignazione e rabbia. E gli elementi ci sono tutti: la morte di una persona procura una forte reazione emotiva; l’età e il background dei responsabili, membri di una comunità tra le più colpite da pregiudizi e stereotipi, la non punibilità sul piano penale, prevista nel nostro ordinamento per tutte le persone minori di età inferiore ai 14 anni. Con premesse di questo tipo, sia i media che i politici hanno iniziato per l’ennesima volta una campagna che rischia di stigmatizzare ancora più le comunità rom, sinti e camminanti.
Le interviste ai familiari della vittima e dei bambini, la descrizione macchiettistica dell’accampamento – sempre definito come Campo Rom per quanto si tratti di un insediamento collocato su un terreno di proprietà privata – e delle reazioni dei suoi abitanti alla vista dei giornalisti, le riflessioni sull’infanzia negata che tendono a ricondurre la responsabilità dell’accaduto alle sole famiglie, evitando di analizzare le caratteristiche strutturali delle condizioni di esclusione sociale, culturale ed economica di molte (ma non tutte) famiglie rom che vivono nelle nostre città, problemi strutturali risolvibili solo attraverso una stretta securitaria. I maggiori quotidiani, nelle molte pagine dedicate a quanto accaduto a Milano, hanno scelto di riproporre in maniera più o meno esplicita una visione ancora una volta stereotipata di quello che è la realtà vissuta dalle persone Rom, ascrivendola al “degrado” urbano, alla diffusione della criminalità, a una loro presunta generale pericolosità sociale. Dallo stigma non riescono a sfuggire nemmeno i bambini.
Un dibattito politico uguale a sé stesso
Se i media definiscono la postura della narrazione, in realtà è la politica a innescare le polemiche. La strategia di comunicazione è sempre la stessa: ribadire la propria ideologia, in questo caso antiziganista, impostando l’agenda discorsiva al fine di attaccare l’avversario politico.
Così in un tweet l’attuale Ministro Delle Infrastrutture torna ad invocare un leitmotiv del suo partito – La Lega – parlando di ruspe, sgomberi e distruzione del “campo rom” da cui provengono i quattro bambini, subito dopo interroga la controparte politica, in questo contesto il Sindaco di Milano, sull’incapacità di intervenire. La risposta arriva in fretta, con il sindaco che denuncia uno sciacallaggio politico da parte del ministro e ricorda l’impegno di Palazzo Marino nel “superamento degli insediamenti nomadi”. Così si innesca un nuovo valzer di opinioni, accuse e rivendicazioni che ha un andamento già conosciuto in passato. La morte della signora scompare dalla notizia o viene ricordata per parlare di altro. L’agenda del dibattito mette in primo piano il tema della sicurezza, degli “sgomberi dei campi rom”, della criminalità, ed è sostanzialmente dettata dalle forze più reazionarie e razziste. L’effetto è quello di alimentare reazioni di rabbia e di cieca indignazione, la cosiddetta percezione di insicurezza e di frammentare, grazie alla polarizzazione delle posizioni, l’opinione pubblica.
E’ il modo più facile per favorire la legittimazione sociale di interventi violenti come gli sgomberi degli insediamenti, senza dover pensare a un reale piano di politiche abitative alternative che consenta la chiusura dei campi. Ma può anche indurre i cittadini stessi a compiere aggressioni nei confronti di altre persone, come ci ricordano altri fatti precedenti: dalle manifestazioni violente organizzate a Roma dopo la violenza della Caffarella (2009), all’incendio della Continassa a Torino (2011), all’incendio di un campo rom avvenuto nel 2014 a Napoli.
Da anni denunciamo i drammatici effetti della ghettizzazione subita dalle comunità rom, sinti e camminanti criticando il “sistema dei campi”, ma sottolineando anche come ogni iniziativa di suo superamento debba essere pensata proprio insieme alle persone direttamente interessate. Tuttavia di fronte ad un problema strutturale creato in buona parte dalle scelte istituzionali, si preferisce evidenziare solo la punta dell’iceberg, che sia tramite la penna giornalistica o tramite il dito alzato di un politico. Questa storia non fa eccezione, mettendosi proprio su quella punta e nascondendo il sommerso di discriminazioni sistemiche sul piano economico, sociale, abitativo e politico.
Non conosciamo il tipo di provvedimenti che verranno presi nei confronti dei quattro bambini e delle loro madri, né quanto dureranno il dibattito pubblico al limite della polemica o l’attenzione dei media. Sappiamo invece che in tutto questo gran frastuono mediatico ci vorrebbe un po’ di silenzio, in primo luogo per rispetto della vittima, Cecilia De Santis, e forse anche di quella madre che piange per quel figlio di 11 anni dal quale potrebbe essere bruscamente separata.