Troppo spesso le parole, gli stili retorici e i registri linguistici utilizzati dagli operatori dell’informazione contribuiscono a produrre una rappresentazione poco equilibrata, stereotipata, qualche volta distorta, delle migrazioni e delle condizioni di vita dei migranti nel nostro paese.
Denunciare il problema non significa, almeno per quanto ci riguarda, demonizzare l’intera categoria dei giornalisti né denigrare il loro lavoro. Al contrario, proprio perché riconosciamo che la comunicazione di massa svolge un ruolo determinante, pensiamo che sia utile osservarla e, quando necessario, sollevare un dibattito pubblico.
Ogniqualvolta ci imbattiamo in un’agenzia, in un articolo, in un servizio radiofonico o televisivo che per un titolo urlato, per eventuali semplificazioni, per la riproposizione di stereotipi e luoghi comuni, tendono a compiere una generalizzazione impropria e a stigmatizzare le donne e gli uomini stranieri, cerchiamo di segnalarli pensando di fare cosa utile.
L’obiettivo, probabilmente ingenuo e illusorio, è quello di tentare di sollevare quanto meno il beneficio del dubbio in coloro che si trovano ad operare nel mondo dell’informazione, oggi, lo sappiamo, più che mai sollecitato a lavorare in tempi strettissimi, in modo competitivo e frettoloso e per questo più esposto a omissioni e semplificazioni.
Ci domandiamo: è possibile fare informazione prestando maggiore attenzione alle conseguenze che un titolo, una parola, una strategia narrativa, una tesi aprioristica non sufficientemente supportata dai fatti, possono avere sull’orientamento dell’opinione pubblica con riferimento a un fenomeno come quello dell’immigrazione, così facilmente strumentalizzabile e strumentalizzato a livello politico e culturale?
Noi pensiamo di sì e ci piacerebbe trovare il modo migliore per riflettere insieme ai giornalisti più sensibili su questo tema. Con la consapevolezza che ciascuno fa il suo mestiere e che tutti possiamo sbagliare, ma con la convinzione che la contaminazione tra punti di vista diversi potrebbe essere molto utile e contribuire a migliorare la qualità dell’informazione e il dibattito pubblico in questo paese così avvilito, rancoroso e ripiegato su sé stesso.
E’ in questo contesto che un gruppo di amici e attivisti antirazzisti che si occupano di questo tema da tempo ha deciso di scrivere al direttore del quotidiano la Repubblica, a seguito di un’inchiesta pubblicata il 25 gennaio dal titolo “Il BelPaese dei Fratelli musulmani”. Pubblichiamo a parte il testo della lettera e la risposta dell’autore dell’inchiesta in questione e un’analisi proposta dall’associazione Straniamenti.
Invitiamo i giornalisti amici e non a darci una mano in questa riflessione. Qual è il modo migliore per aprire un confronto serio, rispettoso ma puntuale e approfondito tra lettori, attivisti antirazzisti e giornalisti sul tema della corretta informazione che riguarda le condizioni di vita dei migranti, dei richiedenti asilo e dei rifugiati nel nostro paese? Se l’invio di una lettera cortese non fosse il metodo giusto, l’unica alternativa sarebbe il silenzio?