Una donna con addosso il niqab, un velo nero che copre capelli, viso, spalle, ma non gli occhi. Sotto campeggia una scritta sia in arabo, che in italiano, che, come se parlasse direttamente alla persona ritratta in foto, afferma: «In Europa hai gli stessi diritti (goduti da) di tuo marito».
E’ questo il cartello che si può incontrare attraversando le principali strade romane come via Nomentana o via Prenestina.
Si tratta di un’iniziativa dell’europarlamentare leghista Ceccardi, la quale, con più di cento cartelloni in tutta la capitale, in occasione dell’8 Marzo con la scusa di lanciare un messaggio di supporto alle cosiddette «donne islamiche» pianta la bandiera retorica del razzismo e dell’islamofobia.
Ancora una volta assistiamo alla strumentalizzazione del corpo delle donne e ad un tentativo di appropriazione e delegittimazione del discorso femminista.
In un periodo storico in cui finalmente il termine patriarcato è entrato nel lessico per così dire mainstream a seguito del terribile femminicidio di Giulia Cecchettin, ritornare a parlare del cosiddetto «patriarcato islamico» – come riportato da alcune testate con un plauso all’iniziativa dell’europarlamentare – conferma come la rivendicazione dei diritti delle donne sia spesso tematizzata assumendo come punto di partenza una visione coloniale.
Non è la prima volta che ci troviamo davanti a messaggi del genere: da troppo tempo la retorica dello scontro tra la “cultura” occidentale e orientale si gioca sul corpo femminile e femminilizzato per dichiarare una presunta superiorità della prima. Per citare l’ultimo caso, qualche mese fa la denuncia per maltrattamenti di una donna di origine bengalese nei confronti del marito, non veniva accolta perché, secondo il pm, i comportamenti dell’ex consorte sarebbero stati giustificati dalla cultura di appartenenza di quest’ultimo.
Le modalità con cui il patriarcato si esplica sono molteplici ed attraversano, purtroppo, ogni contesto sociale e culturale. Continuare ad alimentare l’idea che sia solo un problema che esiste al di fuori dell’Europa significa non voler vedere l’impatto del maschilismo nella nostra società – con una legge sull’aborto sempre più a rischio, l’impossibilità di un’educazione sessuo affettiva nelle scuole, i numeri dei femminicidi in costante salita.
Significa, poi, non vedere come il patriarcato, in realtà, influenzi la vita di tante donne razzializzate, che spesso si trovano impossibilitate a denunciare situazioni di violenza domestica a causa di un permesso di soggiorno ottenuto per motivi familiari e legato allo status giuridico del marito. Questo di certo non avviene a causa del cosiddetto “patriarcato islamico”, ma a causa dell’articolo 30 del Testo Unico sull’Immigrazione ed a causa dell’assenza di una normativa che vada a tutelare le donne anche in questi specifici casi: è la conseguenza di una società che anche qui in occidente è ancora profondamente patriarcale e contro cui da tempo i movimenti italiani femministi – composti da donne razzializzate e non – lottano.
Il messaggio che l’europarlamentare ha voluto lanciare alle «donne islamiche» non è di «amore e libertà», ma l’ennesima propaganda che rischia di legittimare atteggiamenti razzisti e, in particolare, islamofobici, senza andare a tutelare in alcun modo le donne e tutte le libere soggettività che per identità di genere o orientamento sessuale sono oppresse non da uno solo, ma da molteplici forme del patriarcato.
Con l’8 Marzo alle porte è importante ricordare come la lotta per la parità di genere – tra tutti i generi – è e sarà sempre anche lotta contro ogni forma di razzismo e visione coloniale.
[immagine di copertina di Canva]