Pubblichiamo una lettera inviata da alcuni attivisti al direttore del quotidiano La Repubblica, relativa a un articolo pubblicato il 25 gennaio, e la risposta personale del giornalista inviata agli autori della lettera.
Egregio direttore,
è con una certa sorpresa che apprendiamo, dalle colonne di “Repubblica”, che il “Belpaese” – grazie a un’ “offensiva dell’Islam radicale”, rischierebbe di finire in mano ai “fratelli musulmani”. Ci riferiamo all’articolo pubblicato venerdì 25 gennaio nelle pagine 22 e 23 del Suo giornale, con un richiamo di taglio basso in prima pagina. La sorpresa è anche maggiore se confrontiamo questa inchiesta con molte fra quelle abitualmente offerte ai lettori da “Repubblica”. Questa, infatti, al contrario di quelle, ha un titolo “urlato” che fa leva sui timori e le apprensioni del lettore all’interno di un “framework” ormai consolidato (Islam = invasione), rinforzato anche dall’insistente uso di metafore belliche, fa seguire un’argomentazione zoppicante, lacunosa, non priva di fallacie retoriche, il cui unico fine – ci pare – non è quello di cercare una verità, ma di sostenere a tutti i costi una discutibile tesi. Questa tesi, che non pare esagerato definire complottistica, ha tutti gli ingredienti di simili argomentazioni: mette insieme fatti reali e sensazioni, testimonianze autorevoli e altre di valore dubbio, collega in modo indebito fenomeni di natura e cause diverse, presenta interpretazioni possibili come dati di fatto.
Un approccio più congruente all’articolazione degli argomenti toccati nell’articolo (le reti di sostegno economico tra migranti, l’imprenditorialità “straniera” in Italia, l’appartenenza religiosa all’interno della comunità egiziana, la complessità – e pluralità – di voci all’interno del cosiddetto “Islam italiano”) avrebbe – noi crediamo – richiesto supplementi d’indagine, maggiore coerenza (tra le dichiarazioni degli intervistati e le conclusioni a cui giunge l’opinionista di “Repubblica”), e una formulazione – anche sul piano linguistico e stilistico – meno assertiva. Come suggerisce la Carta di Roma, e come da anni provano a suggerire i tanti operatori culturali che lavorano su temi quali le migrazioni, la rappresentazione mediatica dei migranti, i diritti di cittadinanza, sarebbe opportuno costruire e proporre un’informazione più equilibrata e meno “urlata”, soprattutto in periodi – quale quello pre-elettorale che stiamo vivendo – di tentazioni populistiche e semplificazioni dialettiche (queste sì estremiste). Ciò, crediamo, non solo non andrebbe a detrimento della libertà di espressione di giornalisti e mezzi d’informazione, o della curiosità dei lettori, ma anzi aumenterebbe la serietà e l’autorevolezza delle inchieste e delle testate che le ospitano, e quindi la consapevolezza dell’opinione pubblica. Come “Repubblica” d’altronde ben sa e come – su altri argomenti e con ben altri risultati – ha più volte saputo e voluto dimostrare.
Sergio Bontempelli
Federico Faloppa
Giuseppe Faso
Udo Enwereuzor
Marcello Maneri
Anna Meli
Karim Metref
Grazia Naletto
Di seguito, la risposta personale di Vladimiro Polchi, autore dell’articolo pubblicato su La Repubblica
Gentili
Sergio Bontempelli
Federico Faloppa
Giuseppe Faso
Udo Enwereuzor
Marcello Maneri
Anna Meli
Karim Metref
Grazia Naletto
Rispondo alla vostra e-mail.
Come si evince leggendo con attenzione l’inchiesta sui Fratelli musulmani in Italia, ho provato a fotografare un processo che si ritiene in corso, con la conferma di una pluralità di fonti, senza sottovalutarne la portata né le conseguenze, ma senza per questo criminalizzare l’islam italiano e neppure la Fratellanza islamica. Non per niente a parlare nell’articolo sono anche gli stessi imam e responsabili di comunità, come Yahya Pallavicini, che dall’interno del mondo musulmano confermano e mettono in guardia dall’espansione dei Fratelli. Non solo. Come chiarisce bene nell’articolo Massimo Campanini, docente di Storia dei paesi islamici a Trento, la Fratellanza “non implica un elemento intrinseco di estremismo e la loro espansione non ha nulla a che vedere con rischi terroristici”. Insomma il contrario dell’informazione urlata di cui voi parlate.
Chiamare in causa la Carta di Roma, che conosco molto bene e i cui valori ho rispettato nei miei pezzi ben prima che venisse approvata (mi occupo da più di dieci anni del mondo migrante e da anni non uso parole come per esempio “clandestino”, avendo aderito all’appello dei “Giornalisti contro il razzismo”) lo ritengo strumentale e fuori luogo nella critica all’inchiesta in questione.
Quanto a quello che scrivete, accusando il mio lavoro di “un’argomentazione zoppicante, lacunosa, non priva di fallacie retoriche”, è un vostro giudizio, non avvalorato da fatti, ma che lascio comunque alla vostra libertà di opinione.
Un’ultima notazione: non sono un “opinionista” come voi scrivete, ma solo un cronista, come si desume dall’inchiesta.
Cordialmente
Vladimiro Polchi