
di Giuseppe Faso
Su “La verità” del 19.04.2023 finalmente ci viene detta la verità sul razzismo. L’impresa, morale prima ancora che intellettuale, si deve a Marcello Veneziani: un vero Titano. E, semmai qualcuno non leggesse le sue raffinatissime argomentazioni, occhiello e titolo ne riassumono il senso.
“Il solo razzismo che c’è in Italia è quello dei progressisti”, è il titolo, e sopra, in maiuscolo caricato di rosso: “Odio ideologico”. Come slogan potrebbe bastare: anzi, per la verità è già a disposizione di chi non ha tempo da perdere a discutere, e Veneziani non fa che riprodurre l’astio di un senso comune deteriorato. Ma ci vogliono anche gli intellettuali di riferimento, altrimenti poi magari un ministro Lollobrigida, frastornato dai fischi per avere ripetuto quello che la sua cognata e leader ha smesso di dire da pochi mesi, sarà costretto a giustificarsi invocando la santa ignoranza.
E invece ora Lollobrigida potrà fare riferimento al filosofo Veneziani, per dire: “Forse è vero, difendere dalla sostituzione etnica è come dire Difesa della razza, ma non facevo riferimento alla nota rivista del 1938-1943, di cui non ho nessuna nostalgia, come garantisce Meloni: non lo sapevo, della rivista chiusa 80 anni fa, non ero nato e non mi era nota. Mi riferivo alla difesa della razza attaccata dai progressisti, dei rurali discriminati dagli inurbati, degli arcaici disprezzati dai tecnologici, di noi ignoranti insultati da tanti smidollati intellettuali; fortuna che c’è ora Veneziani, che fa dire queste cose a Pasolini”.
E difatti: siamo a un passo da una congiunzione inedita Kalergy-Pasolini, grazie a Veneziani: ci sarebbe una cricca internazionale di progressisti (tra cui naturalmente Soros) che vuol sostituire una razza, quella bianca, o forse italiana, o forse l’ethnos italico, con quelle nere (o dei negretti, come graziosamente scrive Veneziani, avvertendo che ogni volta gli tocca di correggere il correttore “politically correct” che gli suggerisce “negletti”, ndr.); a ciò si aggiunge l’attacco ai poveri di spirito, e viventi come tali in regime di verità, attaccati sempre di più dal complotto del suprematismo progressista, come mostra Veneziani.
In poche righe, Veneziani riesce infatti a risolvere un’infinità di problemi, ripropone temi ardui con una novità di impostazione che per partito preso sta dalla parte delle vittime, e perciò riprende e richiama ragionamenti propri del senso comune più indenne da una minima riflessione, ridefinisce termini, segna delle rotture epistemologiche, ridà il giusto peso all’evidenza empirica e deprime le sofisticherie dello snobismo progressista.
Quello che in altri momenti storici è costato discussioni arzigogolate e infinite, così inutilmente complicate, qui è esposto con la stringatezza di un: 2+2 fa tre. Altro che la tradizione dei dibattiti teologico-filosofici! Si raccontava che dai corridoi dell’Università di Parigi gli allievi tremando sentissero le voci alte di Alberto Magno e Tommaso d’Aquino, mentre concedevano all’avversario un argomento secondario per poi obiettargli: “Quanquam…” (quantunque); e parlando però in un latino un po’ francese, perché altrimenti non si capivano, uno germanico e l’altro sud-italiota, e quindi pronunciando “cancàn…cancàn”, donde a tempo debito il chiassoso ballo da bella époque –. Basta cancàn, ché poi a parenti e ministri di Meloni viene il mal di testa: torniamo a un più maschio ricorso alla prima vista.
Proviamo a enucleare i corollari della nuova scienza della razza:
- è inutile cercare di riflettere se le razze esistano o no. La scienza in questo campo è subissata dall’ideologia, avverte il Veneziani Marcello. Certo, la scienza “ha attestato per secoli che esistono le razze, anche a vista d’occhio. Scienza positivista, innanzitutto, non legata a canoni reazionari o a dogmi religiosi, ma solitamente evoluzionista, laicista, spesso politicamente radicale e progressista”. Ma quei progressisti là, di cui a Veneziani scappa un elogio, non si preoccupavano, come quelli di oggi, di razzizzare i suburbani e gli arcaici, a loro bastava gettare un’occhiata per sapere che c’erano i neri, i bianchi i buoni e i delinquenti. Tutte le autocritiche decennali di biologi, evoluzionisti etc. sulle responsabilità criminali di una scienza-barzelletta, digiuna peraltro di genetica, sono buttate nel cestino, viziate come sono da una domanda impertinente che a tempo suo si fecero: “vuoi vedere che le corbellerie che abbiamo studiato e ripetuto hanno dato una mano alla Shoah? Che la nozione di razza caucasica e razza negroide sono boiate solenni, come mostra da decenni un Guido Barbujani?” Ora che possiamo attingere a La Verità, potremo notare che nessuno si è accorto finora che ‘sto Barbujani è uno che dice che le razze sono state inventate per poter esercitare il proprio razzismo verso quelli che hanno studiato un millesimo di quanto ha fatto lui, il progressista. E con una -j- sospetta nel cognome, una lettera estranea all’alfabeto nazionale.
- Se è inutile cercare di capire se le razze esistono, incalza il Marcello Veneziani, allora chi ne nega l’esistenza lo fa “in via pregiudiziale” (cioè in base a scienze malsane, come la genetica dopo che, ahimè, ha perso il leggiadro dittongo iniziale -eu) “perché è trasparente il messaggio ideologico e politico che vuole veicolare”. In pratica, si distoglie l’attenzione dalle differenze che Veneziani vede a prima vista per capovolgere il razzismo “nel senso dell’egemonia ideologica del suprematismo progressista”. Qui Veneziani mi sembra troppo timido col suo ragionamento. Non rileva, per esempio, come si sarebbe potuto fare, che il suprematista progressista è di gran lunga inferiore a quello bianco. Il suprematista bianco compra delle armi da guerra, e si copre di gloria scaricandole sui negri (francamente parlando a prima vista) e altre inferiorità, non prima di aver inciso sulle armi la sua genealogia di pensiero-azione: ed è così che fin nella Nuova Zelanda risplende il nome di Macerata, per il raid del 2018; e invece il suprematista progressista non ha il coraggio di passare agli atti e non sa far altro che tentare di costruire campagne di odio (per fortuna, percepibili a prima vista da Veneziani e perciò comunicabili in tempo alle vittime del razzismo progressista).
- “In ogni caso”, prosegue trionfalmente Veneziani, contraddicendo la sua volontà di poche righe più su di rimanere agnostico sull’esistenza delle razze, “se le razze sono una verità scientifica, un’evidenza e non un’impostura e una forzatura – significa riconoscere le differenze naturali e culturali tra popoli ed etnie e non la superiorità o l’inferiorità di alcune razze rispetto ad altre. Diventa razzismo quando si impone il primato di una razza, la discriminazione e la persecuzione di un’altra, fino all’aberrazione estrema dello sterminio”. Come diceva Le Pen a suo tempo: non ti stermino perché sei nero, ti caccio via perché appartieni a un’altra cultura. E se poi qualcuno venendomi dietro ti pesta a sangue o ti butta nel fiume, è un’aberrazione, riguarda solo lui.
- Ma l’unico paese che ha inserito una clausola “razziale” (le virgolette non audaci e approssimative sono di Veneziani) nel suo ordinamento è Israele, prosegue il portatore di Verità. In tutti gli altri stati, non essendoci un “franco riconoscimento” del proprio razzismo, come Veneziani dimentica abbia affermato il fascismo italiano pochi decenni fa, non c’è razzismo verso le “razze vere”, quelle che esistono a vista d’occhio. Resta lo spazio al razzismo dei progressisti contro la razza inventata della destra analfabeta.
- “L’Italia di oggi può dirsi preda del razzismo”? Certamente no, dice Veneziani, ma aggiunge: no, se pensiamo a un razzismo contro i negri (oddio, il correttore non lo corregge: e perché si ostina a scrivere “negretti”?): ce ne sono proprio tanti, milioni “di giovani sradicati che vengono qui senza un lavoro, senza una donna”: come in una canzone del primo Celentano! Qui Veneziani evita con eleganza i dati statistici inventati da vari soggetti: che dicono che senza contratto di lavoro non si entra, che le donne non italiane sono più del 50% del totale, etc.: quisquilie, diceva Totò. “Arrivo a dire”, conclude questa parte Veneziani, “che rispetto a queste premesse esplosive sono relativamente pochi i reati compiuti dai migranti in termini di violenza, stupri, furti, appropriazioni, disordini”. Come dire: nonostante ci sia chi dà fiato alle trombe della “propensione allo stupro” dei romeni e simili idiozie, il peggio può ancora venire, e quindi inevitabilmente verrà.
- “Esigui” sono secondo Veneziani “gli episodi di intolleranza contro di loro o di razzismo che si possono ricondurre al rifiuto dell’accoglienza di migranti, soprattutto neri”. Si vede che quanto da anni documentato non dai media, come vorrebbe Veneziani, ma dall’attivismo antirazzista, non conta, anzi. Veneziani giunge a una vetta di sublime invenzione quando scrive che “la fabbrica dei media monta solo quelli che hanno come vittima i neri in modo da avvalorare la tesi del razzismo”; a Macerata e altrove non è accaduto nulla di rilevante e “la motivazione razziale, in questi conflitti,” come Veneziani chiama il tiro a segno ai neri, “non c’entra affatto o solo in minima parte”. Del resto, la vera tradizione razzista viene ricondotta al positivismo ottocentesco, su cui Veneziani pronuncia un’altra delle sue Verità: “Se l’umanità ha origine zoologica, come vuole l’evoluzionismo, il razzismo ne è la conseguenza rigorosa”. E così anche quel rompiscatole di Darwin è servito, e si apre lo spazio a una campagna per ristabilire la fissità della specie e il suo insegnamento nelle scuole.
A questo punto, il lettore se ne sarà già avveduto, è difficile mantenere il tono iniziale del presente articolo. Si voleva mostrare, con l’artificio dell’adesione alla “verità” proclamata da Veneziani, tutto il grottesco delle sue posizioni, esercitando quelle che Leopardi chiamava “le armi del ridicolo”. Ma è difficile proseguire ridicolizzando posizioni già di suo di una ridicolaggine inarrivabile, che non riescono neppure ad avere una coerenza interna: come proiettare un po’ di luce sulla fallacia di un’argomentazione che si contraddice da sé, e su un livello argomentativo di questo tenore? L‘interfungibilità delle convinzioni espresse, pur di mantenere una posizione di sostanziale apologia del razzismo, la mobilità delle posizioni, la labilità delle argomentazioni rende difficile discuterle: basta mostrarle. Tutto l’articolo di Veneziani è gravemente squinternato, e molto di quello che si dice al paragrafo 3 contraddice quanto detto al paragrafo 2, al quinto capoverso si abbandona il ragionamento del quarto, etc. Conosciamo questa tipologia.
Per negare che ci sia razzismo (quello vero) Veneziani scrive che il sacrosanto riconoscimento di (per lui) indiscutibili differenze naturali e culturali “diventa razzismo quando si impone il primato di una razza, la discriminazione e la persecuzione di un’altra, fino all’aberrazione estrema dello sterminio”; subito dopo dice che solo lo stato di Israele ha una clausola “razziale” (sue le virgolette) nell’ordinamento costituzionale. Sembrerebbe di capire che senza clausole razziali (per esempio, le leggi razziali del 1938 in Italia, naturalmente schivate dal Veneziani Marcello), sia difficile parlare di razzismo, essendo invece proclamate immaginarie e “montate dai media” le discriminazioni che, per esempio, si registrano da un quindicennio sul presente sito. Il presunto razzismo dei “progressisti” invece non ha bisogno, per essere proclamato tale dal Veneziani, di tali istituzionalizzazioni: è esercitato da una minoranza su una maggioranza (per la verità un po’ vittimista, come da tipologia verificabile storicamente) senza la necessità di clausole istituzionali. Per essere razzisti, ai progressisti basta la parola.
Questo è l’uomo, come si diceva una volta. E rischia di essere ozioso passatempo sottolinearne altri prodigi di comicità. Restano, forse, da dire due parole su un oggetto così bassamente trattato da Veneziani da rischiare di scomparire nella melma. Lo faremo con estrema brevità, e non ci rivolgiamo a Veneziani, perché è inutile.
Esiste il razzismo? Sì! Esistono i razzisti, come vorrebbe Veneziani, rovesciando ogni responsabilità morale e criminale su chi combatte il razzismo? No, non esistono i razzisti. Veneziani deve aver frainteso i ragionamenti di quelli che chiama “progressisti”. Se il razzismo non è un virus ma un fenomeno sociale, è consolatorio cercare di individuare i portatori di un presunto virus, ed è più efficace rivolgere la propria attenzione alla decostruzione del fenomeno sociale razzismo pur in una società caratterizzata da istituti e pratiche democratiche. Risale a 15 anni fa un “Lessico del razzismo democratico”, si proponeva esplicitamente questo compito.
Il razzismo non è un virus che ha colpito più a destra che a sinistra, ma un fenomeno sociale che si è nutrito di posizioni concrete, linguaggi, sottovalutazioni della gravità di comportamenti e abitudini non naturali, ma naturalizzate da una parte della popolazione italiana: e non perché era affetta da un virus, ma perché, come mostrato da trent’anni a questa parte, agenzie mediatiche e politiche hanno tutto da guadagnare dall’uso politico di tale fenomeno sociale. E queste agenzie, come mostrano analisi rigorose e scientificamente fondate, sono spesso e prevalentemente di destra: ma è l’uso politico del razzismo, che le caratterizza. Dare a queste posizioni del “razzista” è ingenuo: può capitare ed essere capitato, ma allontana dal problema. E dalla possibilità di affrontarlo. Anche Veneziani, in questo ircocervo di pessima qualità intellettuale, non ci cade per un virus o un attacco di follia, ma per una scelta astuta. È astuto, oggi, dire che le razze si vedono a prima vista e l’evoluzione è una teoria zoologica. Certo, astuto non significa né fondato né plausibile né dignitoso.
Ma non sono qualità da chiedere a un articolo come questo.
NOTA DELL’AUTORE:
Si sarà notato che in questo pezzo è presente in due forme diverse una parola da noi non pronunciabile. Si riportano, infatti, in quanto altrui, forme denigratorie, che concorrono, insieme a tante altre tessere, alla costruzione del razzismo. Una volta, peraltro, una forma insoffribile derivata viene riportata per mostrare il livello di una spiritosaggine di Veneziani sul Politically correct del correttore. Me ne scuso con i lettori (con cui mi scuso anche del peso di altre volgarità concettuali e argomentative di cui ho dovuto parlare).