Una foto in bianco e nero di spalle, il numero 16 del Milan che si rivolge alla sua curva. Questa è la foto che accompagna il post di Mike Maignan, portiere del Milan, in cui denuncia sul suo account Instagram quanto accaduto durante la partita contro l’Udinese in cui ha ricevuto cori razzisti da parte della tifoseria della squadra avversaria.
Il fatto
Monkey chanting, l’imitazione del verso della scimmia: questo è stato il gesto razzista, accompagnato da altri epiteti gravi rispettal suo colore della pelle attraverso cui alcuni tifosi dell’Udinese, durante la partita Udinese – Milan di sabato 20 Gennaio, si sono presi gioco del portiere milanista, il quale ha lasciato il campo andando verso gli spogliatoi, seguito dai compagni di squadra e subito dopo, in solidarietà, anche da alcuni giocatori dell’Udinese. La partita viene sospesa per 5 minuti al 34esimo del primo tempo.
Una pausa breve, ma significativa, che svela, come denuncerà lo stesso portiere il giorno dopo sui suoi profili social, quanto ancora nello sport sia necessario fare i conti con il razzismo.
La responsabilità di un sistema
Il caso di Maignan ha avuto come risposta il classico intervento punitivo: daspo per i tifosi identificati come autori dei versi razzisti, una partita a porte chiuse per l’Udinese. Tuttavia, mentre continua da un lato una caccia all’uomo per rintracciare tutti i tifosi che hanno rivolto a Maignan gli epiteti e i versi razzisti, e dall’altro la tendenza generale a sottovalutare la presenza di un razzismo che attraversa anche lo sport, è necessario focalizzare l’attenzione sulla strutturalità del problema e questa volta l’input viene dallo stesso portiere.
«Oggi un intero sistema deve assumersi la responsabilità:
– Gli autori, perché è facile agire in gruppo nell’anonimato di una tribuna.
– Gli spettatori che erano in tribuna, che hanno visto e sentito tutto ma hanno scelto di tacere, siete complici.
– La società Udinese, che ha parlato solo di interruzione della partita, come se non fosse successo nulla, siete complici.
– Le autorità e la procura, con tutto quello che sta succedendo, se non fate qualcosa, sarete anche voi complici.»
Non solo chi ha avuto un comportamento razzista, ma chiunque può testimoniare quanto accaduto, ha una parte responsabilità, seppur commisurata al potere di intervento e al ruolo in quel preciso contesto – non è un caso che venga citata la società Udinese. Ma successivamente il calciatore ringrazia i giocatori della squadra avversaria riflettendo sul diverso ruolo dei giocatori, suoi pari, rispetto a quello che dovrebbe essere proprio di una società sportiva.
Parlare di responsabilità e non di colpa dinanzi a fenomeni strutturali e sistemici, come il razzismo, suggerisce la necessità di andare oltre una soluzione meramente punitiva e di lavorare con interventi preventivi con tutti gli attori sociali che si muovono nel mondo dello sport: allenatori, giocatori, personale tecnico, la tifoseria stessa. Non semplicemente daspo e sanzioni, ma soprattutto sensibilizzazione, educazione al contrasto alle discriminazioni, azioni di monitoraggio preventive, tutte necessità emerse anche nell’esperienza di Lunaria, ogni qual volta si presentava l’occasione di lavorare sui temi di sport e razzismo, come nell’ultimo rapporto nazionale nell’ambito del Progetto Monitora e nel rapporto nell’ambito del Progetto dell’Osservatorio contro le discriminazioni nello sport.
Non un caso isolato
Il caso Maignan, certamente, sta avendo una determinata risonanza poiché riguarda un calciatore di Serie A, ma sono tanti gli episodi di razzismo nello sport che non sono riusciti a trovare spazio nel dibattito pubblico.
«Non è la prima volta che mi succede. E non sono nemmeno il primo a cui succede», sottolinea Maignan nel suo post. A Giugno 2023 il giocatore angolano M’bala Nzola, durante lo spareggio fra La Spezia e Hellas Verona veniva insultato con cori razzisti di tifosi avversari; a Maggio dello stesso anno, durante la partita di Basket Fortitudo Bologna e Tramec, un tifoso iniziava ad imitare una scimmia rivolgendosi a Derrick Marks; ancora a Maggio durante una partita di calcio under 14 tra Banti Barberino – Avane, un giocatore dell’Avane veniva insultato con epiteti razzisti da un giocatore della squadra avversaria. Pochi esempi tratti dall’anno appena trascorso, altri episodi di razzismo nell’ambito sportivo sono stati raccolti nel nostro Database, ma non sono i numeri che dimostrano la presenza del razzismo nello sport, è la realtà stessa.
Lo dimostrano purtroppo le esperienze di tanti giovani sportivi e sportive che dallo sport di base allo sport di élite continuano a denunciare ogni giorno il razzismo che subiscono. Lo dimostrano, però, anche le piccole realtà che provano costantemente ad opporsi a comportamenti stigmatizzanti cercando di introdurre dei valori diversi nello sport, indicando sì la presenza del razzismo, ma scegliendo ogni giorno di combatterlo, anche quando questo si manifesta attraverso normative ingiuste come nel caso del Tam Tam Basket.
Adesso tocca anche all’altra parte della società che non vuole riconoscere la presenza del razzismo aprire gli occhi e assumersi le proprie responsabilità. Per non essere complice.
Intanto: massima solidarietà a Mike Maignan che, andando oltre l’esperienza individuale, non ha avuto remore a denunciare il razzismo sistemico che attraversa il mondo dello sport.