Se la guerra torna a bussare dopo decenni alle porte dell’Europa dell’est c’è, probabilmente, chi ha più diritto di sorprendersi e chi ne ha molto meno. Difficile non includere nella seconda categoria i governi nazionali. Ad essi, d’altra parte, non si può certo rimproverare di non aver reagito con vigore al “sorprendente” colpo di mano putiniano. Con il rinnovato impegno a rinforzare il budget patriottico dell’industria delle armi, così come la fedeltà delle alleanze strategiche. Alleanze compattate dal repentino smarrimento di lungimiranza dell’amico e collega russo e condite dal rifiorire di una retorica bellica che si pensava in disuso. Quel che sorprende meno, invece, è la salda tenuta di un vero e proprio architrave della cultura politica del vecchio continente perfino di fronte alle impetuose raffiche di fenomeni di fatto impensabili come le pandemie e le occupazioni militari (a Kiev le armi avevano cominciato a cantare almeno dal 2014). Si tratta dell’inossidabile sistema-razzismo che, lo ricorda assai bene Annamaria Rivera in un suo articolo pubblicato su Comune.info, non esita a discriminare l’accoglienza di chi fugge dai missili e dai tank russi in modo selettivo. Le persone ucraine hanno diritto alla precedenza nei valichi di frontiera con la Polonia come alla protezione.