
L’8 Dicembre è caduto il regime di Bashar Al-Assad, una fine improvvisa per noi che osserviamo da dieci anni la situazione siriana da questa parte del mondo. È caduto un regime, lasciandosi dietro una distesa di macerie: un paese da ricostruire, ancora immerso nell’incertezza politica. E le persone? Nessuno, intrinsecamente, desidera lo status di rifugiato o rifugiata: il diritto alla mobilità è ben diverso dall’essere costretti a muoversi per necessità. I video girati sui social che mostravano le tante persone sfollate che, nella notte dell’8 dicembre, si muovevano verso Damasco, o i tweet di molti giovani siriani e siriane felici di potersi definire semplicemente siriani e non «sostenitori dell’opposizione siriana» oppure «profughi siriani», ci parlano di questo: della voglia di ritornare nel proprio posto d’origine e del legittimo desiderio che questo sia più giusto e sicuro per tutti e tutte.
Ma le speranze individuali non sono le sole ad orientare la realtà. Se da un lato è presente un legittimo e libero desiderio di ritorno, altra cosa è invece stabilire dall’alto il ritorno per le persone richiedenti asilo in Europa provenienti dalla Siria. Infatti, nei giorni immediatamente successivi alla caduta di Bashar Al-Assad molti governi degli stati europei hanno sospeso l’analisi delle richieste d’asilo delle persone migranti siriane, una scelta di certo non giustificata dal desiderio di ritorno di quest’ultime.
Richieste d’asilo sospese
Secondo il Ministero dell’Interno le persone siriane “sbarcate” in Italia nel 2024 (dati al 15 dicembre) sono circa 12mila. Sono invece circa 183mila i cittadini siriani che hanno chiesto protezione internazionale nell’Unione Europea nel 2023 (fonte Eurostat).
Nel contesto europeo, dove prevale un approccio di chiusura delle frontiere e contenimento delle migrazioni, la caduta di Assad è stata interpretata da molti governi come un’opportunità per ridurre i flussi migratori.
Dal governo austriaco si parla già di un piano di «deportazione ordinata», da parte di quello greco di «ritorno dei siriani nelle proprie case». Intanto, governi come quello tedesco, austriaco, belga, greco, danese, norvegese, finlandese e olandese hanno iniziato a sospendere le richieste di asilo per i rifugiati siriani. Anche l’Italia non è rimasta estranea a questa tendenza. La decisione è stata presa ad un vertice a Palazzo Chigi tenutosi il 9 dicembre: la Commissione nazionale per il diritto d’asilo invia alle Commissioni territoriali che valutano di volta in volta le domande, la circolare in cui si indica di sospendere «con effetto immediato» le procedure per riconoscere le domande d’asilo per chi proviene dalla Siria affinché si verifichi «l’andamento della situazione geopolitica del suddetto Paese», come riportato da Giansandro Merli per il Manifesto. Una circolare scritta in fretta e furia e nella cui vaghezza, come sottolinea l’avvocato Gianfranco Schiavone per Altreconomia, è possibile cogliere dei punti in contrasto con la normativa UE, giacché non è specificato che il richiedente sia informato della sospensione, non sono specificate le tempistiche di sospensione né è garantito che venga rispettato il termine di 21 mesi per la valutazione delle domande. In più, come sottolinea sempre Schiavone, la sospensione della domanda secondo normativa europea, andrebbe adottata caso per caso, a seconda delle motivazioni addotte alla medesima domanda. Se nelle sospensioni degli altri paesi, questi profili di irregolarità sembrano in alcuni casi affievolirsi ed in altri non esserci, il messaggio che si vuole dare alle persone migranti provenienti dalla Siria è di un rifiuto generale, quasi come se la Siria, dopo tredici anni di guerre civili e un futuro ancora incerto, oggi possa essere considerata un paese sicuro.
Siria, un quadro incerto
Sono tanti i fattori che possono aver contribuito alla caduta del regime di Bashar Al-Assad. Tra questi il calo del supporto da parte di potenze come l’Iran, impegnato contro Israele, e la Russia, coinvolta nella guerra contro l’Ucraina. Questo ha favorito l’ascesa di una delle fazioni più forti, Hay’at Tahrir al-Sham (HTS), un’organizzazione armata con un passato legato ad Al-Qaeda e all’ISIS, attualmente classificata come gruppo terroristico. L’HTS è attualmente la forza politica che si sta apprestando al governo della Siria.
A ciò si aggiunge anche il complesso rapporto tra il leader dell’HTS Al-Jawlani e il presidente della Turchia Erdogan che potrebbe mettere a rischio anche l’esistenza del Rojava, l’enclave indipendente di “etnia curda” presente in Siria, la cui esperienza viene presa a modello anche da altre comunità curde, come quelle in Turchia che sono attaccate costantemente dallo stesso governo Erdogan. Se teniamo in considerazione la già citata difficile situazione in Medio Oriente, la Siria più che uno stato che si appresta alla pace, sembra respirare un’ora d’aria di libertà, rimanendo una polveriera pronta ad esplodere.
Ancora propaganda sul corpo delle persone
In questo contesto, la decisione di molti Stati europei di sospendere le richieste d’asilo per i cittadini siriani è stata duramente criticata da organizzazioni come Amnesty International e UNHCR. In particolare Amnesty nel suo appello, afferma: «In questo momento di cambiamenti e incertezze, gli stati europei devono evitare di far precipitare le persone rifugiate e richiedenti asilo in situazioni di ulteriore precarietà. Al contrario, la sicurezza e la dignità delle persone in cerca di asilo devono essere poste al centro delle decisioni politiche, e non sacrificate alle politiche anti-migratorie sempre più diffuse in Europa. In conformità con il diritto internazionale e gli standard sulla protezione delle persone rifugiate, le richieste di asilo devono essere trattate in modo rapido ed efficace. I paesi europei devono continuare a considerare le circostanze individuali di ciascun richiedente asilo caso per caso. Devono immediatamente revocare le decisioni di sospendere le domande di asilo dei siriani e respingere ogni proposta di rimpatrio o di restrizione al ricongiungimento familiare.»
Il rischio che queste scelte adottate anche dal nostro governo siano principalmente propagandistiche è evidente: le politiche di criminalizzazione delle migrazioni e di chiusura delle frontiere dei governi nazionali europei – che da Aprile chiedono una nuova strategia nei confronti della Siria che metta al centro i rimpatri volontari dei rifugiati e delle persone in arrivo -, il Patto Europeo su Migrazioni e Asilo e le discussioni sulla lista dei paesi cosiddetti sicuri, seguono una logica contenitiva che ancora una volta ha conseguenze nella vita delle persone che migrano. Queste ultime sono i soggetti assenti dal discorso politico, se non come percentuali che le descrivono come una massa uguale di persone in arrivo, alimentando una propaganda razzista, costruita per instillare paura verso chi migra, e che si guarda bene dal nominare le cause profonde delle migrazioni: guerre, instabilità e crisi umanitarie.
Ora l’UE continua a mantenere un posizionamento cauto, ma ambiguo: se il Consiglio d’Europa ammonisce gli stati membri nel procedere con un «precipitoso rimpatrio dei rifugiati», dal Consiglio europeo degli Affari Esteri presieduto dall’ex presidente del Consiglio estone Kallas si informa come si stia procedendo a prendere i contatti con il nuovo leader a Damasco, ribadendo anche l’impegno UE nello stanziamento di fondi per aiuti umanitari. Queste prime interlocuzioni, ad ogni modo, rispondono comunque ad una precisa priorità dell’Unione Europea, come sostenuto dalla stessa Kallas la scorsa settimana: evitare ulteriori «ondate di rifugiati». Un posizionamento cauto, appunto, ma che non tradisce il silenzio sulla sospensione delle domande d’asilo.
In questa incertezza, rimane solo un timore: l’Europa che un decennio fa si mostrava aperta nel rispondere alla crisi siriana sembra non esserci più. Al posto dello spirito di allora, oggi si aggiunge un’ulteriore linea di mattoni al muro che il Vecchio continente si sta costruendo attorno.