Sarebbe facile tentazione replicare alla recente sortita di Beppe Grillo sulle “migliaia di Kabobo d’Italia” sciorinando il repertorio di aggressioni, omicidi e stragi compiuti da cittadini italiani ai danni di cittadini stranieri, soprattutto immigrati e rom. Ma è un catalogo talmente lungo che per contenerlo ci vorrebbe una miriade di pagine. E se pure volessimo indicare al meta-comico, alla sua corte di ammiratori e a certi raffinati commentatori del suo blog gli innumerevoli rapporti sulla violenza razzista che ne danno conto, faremmo un buco nell’acqua. Dubitiamo, infatti, che Grillo e i suoi adepti abbiano una particolare propensione per la conoscenza e il confronto.
V’è una ragione più basilare a suggerirci che non è il caso: se lo facessimo, adotteremmo il suo stesso stile di pensiero e la sua rozzezza argomentativa. Ci metteremmo al suo livello, come si dice, senza mostrare come e perché il suo sia un discorso coerentemente razzista, quantunque non strutturato, grossolano, echeggiante la chiacchiera ordinaria. Un discorso che scaturisce dal profondo di una mentalità fascistoide -o criptofascista, come i Wu Ming la hanno più precisamente definita-, coerente con la personalità autoritaria di cui Grillo dà prova ogni giorno, governando il suo “movimento”, del quale è di fatto proprietario, con pugno di ferro, intimidazioni, ricatti, espulsioni.
In realtà, l’affermazione progressiva di Grillo e del grillismo sulla scena politica è stata costantemente accompagnata dalle sue esternazioni pararazziste. Ad agosto del 2006 polemizzava contro il ministro Ferrero con un’accozzaglia di cliché da proverbiale bar dello sport: l’Italia non può accogliere tutta la miseria del mondo; non è vero che gli immigrati svolgono lavori rifiutati dagli italiani; se emigrassero verso l’Italia tutti “i ragazzi” in cerca di lavoro, “quanti Cpt sarebbero necessari per ospitarli? La casa del ministro è abbastanza capiente?”. A ottobre del 2007 gridava contro la “bomba a tempo” dei rom romeni, dei quali proponeva d’interdire la libera circolazione nell’UE onde arginare la violazione dei “sacri confini della Patria”. A marzo del 2011, se la prendeva con Giorgio Napolitano, sproloquiava d’invasione e di nuovo parafrasava il tipico “se ti piacciono tanto gli immigrati, portateli a casa tua”, scrivendo: “Li ospiterà D’Alema sul suo Ikarus?”.
Insomma, un cumulo di sciocchezze che denotano anzitutto un’ignoranza avvilente, ben rivelata, fra l’altro, dalla credenza delirante che i Cpt-Cie siano non strutture detentive per migranti irregolari, ma dimore confortevoli, comparabili con l’appartamento di Ferrero o con l’imbarcazione di D’Alema. Il resto sono topoi così tipici del discorso razzista ordinario, per meglio dire così caricaturali, che, come scrissi a suo tempo, meriterebbero d’essere prestati a qualche vero comico perché ne faccia una satira.
Più recentemente, e per ben due volte, Grillo ha utilizzato i medesimi cliché per dichiarare ostilità a qualsiasi prospettiva di riforma della legge sulla cittadinanza, perfino alla proposta di conferire la nazionalità italiana ai minori figli di stranieri nati e socializzati in Italia. L’ultima esternazione sulle “migliaia di Kabobo” contiene, in più, una torsione del discorso che, sfiorando quello alla Forza Nuova, si caratterizza in senso giustizialista e repressivo. Il vecchio “in galera!”, che sulla bocca di un vero comico, il grande Giorgio Bracardi, faceva ridere, su quella del meta-comico suona a dir poco inquietante. Anche perché mal si concilia con la pretesa d’essere il più legittimo rappresentante del movimento “No Tav”, il quale è costretto talvolta a modalità di lotta e di protesta decisamente illegali.
Ed è questo elemento a confermare come dietro un ragionamento in apparenza buonsensaio, che titilla costantemente il ventre, la paura, l’intolleranza, il rancore della “gente comune”, più che mai esasperata dalla crisi, si nascondano un pensiero e uno stile squisitamente reazionari. E’ troppo facile gridare “in galera!” invece di chiedersi quale abisso di solitudine, abbandono, indigenza, disperazione abbiano fatto scivolare verso la follia omicida Mada Kabobo, partito un giorno in cerca di fortuna da una delle zone più depresse al mondo. Non già per giustificarlo, bensì per comprendere; e comprendendo domandarsi se non siano il disprezzo e l’apartheid legalizzati a favorire e incrementare la devianza e le esplosioni di violenza. Altro che repressione, sorveglianza speciale ed espulsioni facili!
Cercare di comprendere le ragioni della follia di Kabobo e di altri non è “buonismo”: altra parola-chiave del discorso grillista che lo apparenta a quello leghista. Può invece servire a capire anche la depressione, la disperazione, la follia di massa che serpeggiano nella società italiana. Quelle che sempre più spesso spingono cittadini italiani, perlopiù oppressi dagli effetti della crisi economica e delle politiche di austerità, e abbandonati alla solitudine e all’emarginazione, a compiere gesti estremi come omicidi e suicidi di protesta.
Il meta-comico si rifiuta di fare questo sforzo e perciò non può dirsi più neanche populista in senso proprio: ormai va scivolando verso un discorso e uno stile che somigliano piuttosto al leghismo. Sarà un caso che il pezzo sulle “migliaia di Kabobo d’Italia” sia stato postato nell’imminenza del tour elettorale per le Amministrative in una terra un tempo a maggioranza leghista? Oltre tutto, rincorrere l’avversario sul proprio terreno, per quanto putrido, per trarne vantaggi elettorali, non è forse strategia consueta della tanto deprecata “Casta”?