Lo sport non può essere considerato un’isola separata dal contesto sociale. Questa è stata la premessa da cui sono partiti tutti gli interventi durante la conferenza “Fermiamo il razzismo, non il gioco”, tenutasi lo scorso venerdì 11 ottobre nell’ambito del Festival Sabir.
Durante i due panel si sono avvicendate numerose voci: non solo rappresentanti delle associazioni coinvolte nel progetto Monitora, ma anche personalità come Omar Daffe della Lega Serie A, Matteo Tracchi dell’ECRI, Mattia Peradotto direttore dell’UNAR, il pallavolista Luca Vettori e la giornalista di Altreconomia Arianna Scarnecchia, quest’ultimi autori del podcast “Fuori dai giochi”.
La varietà di prospettive ha arricchito un dibattito che, ormai da tempo, si sviluppa sia all’interno del mondo sportivo che nell’attivismo antirazzista. Tra le domande ricorrenti, ritornate più volte durante le due ore di discussione, spiccano: “Come possiamo cambiare la cultura dello sport affinché sia libera dal razzismo?” e “Le sanzioni sono davvero uno strumento efficace?”.
Cambiare la cultura dello sport
Il primo panel ha posto l’accento proprio sulla cultura sportiva e su quanto sia stato fatto finora per contrastare il razzismo in questo ambito. Molti degli interventi hanno evidenziato come l’approccio sanzionatorio, pur avendo un’utilità immediata, non sia sufficiente. In questo contesto, il monitoraggio si è rivelato uno strumento fondamentale, sia per documentare storicamente il fenomeno, sia per evidenziare le buone pratiche di risposta al razzismo. Tra queste, emerge l’atto di abbandonare il campo da parte dei giocatori vittime di discriminazione, una prassi riscontrata anche nel monitoraggio svolto dall’ECRI tra il 2019 e il 2024.
Fondamentale, poi, è la formazione, utilizzando ogni metodo possibile, inclusa l’educazione non formale, rivolta a tutto l’ecosistema sportivo. Questa non solo consente di implementare le attività di monitoraggio, ma soprattutto mira a prevenire episodi di discriminazione all’interno del mondo sportivo.
Tuttavia, quando si parla di cambiamento culturale nel mondo dello sport, è necessario andare oltre ciò che avviene sul campo di gioco. Anche la narrazione offerta dai media, tradizionali e non, ha un impatto significativo. Non di rado, infatti, il giornalismo veicola rappresentazioni stereotipate e discriminatorie nei confronti degli atleti. In Italia, ad esempio, accade spesso che sportivi di origine straniera vengano trattati con scetticismo rispetto alla loro “italianità”, mettendo in dubbio la loro legittimità a competere a livello nazionale o internazionale.
Monitorare, prevenire, agire
L’analisi del ruolo dei media evidenzia un concetto cruciale, che lega il primo panel al secondo e ci riporta alla premessa della conferenza stessa: lo sport è uno specchio della società, non un mondo a parte. A confermarlo è il lavoro svolto dai partner del progetto Monitora, che nel secondo panel hanno illustrato come lo sport, pur essendo parte della vita quotidiana di molte persone, spesso venga rappresentato solo attraverso l’ottica dell’élite. Allo stesso tempo, è necessario riconoscere la presenza del razzismo nel contesto sportivo.
I risultati del progetto, illustrati attraverso report nazionali ed europei, eventi locali, workshop, campagne e il lancio di una piattaforma di formazione online, mettono in luce la necessità di una maggiore consapevolezza e formazione. Spesso, infatti, i temi legati al razzismo vengono affrontati con campagne di durata limitata nel tempo che non riescono a produrre cambiamenti concreti nella vita delle persone.
Azioni di monitoraggio, svolte da una rete che coinvolga associazioni sportive, federazioni, istituzioni, famiglie e organizzazioni del terzo settore, risultano essenziali per prevenire il razzismo nello sport. Proprio per questo motivo, il progetto Monitora ha sviluppato il training online “Monitoring racism in grassroots sport” accessibile gratuitamente e in ogni momento, oltre a una proposta di protocollo modificabile, che può essere adattata alle esigenze di ogni contesto.
La partita non è finita
Al termine di questi due anni di progetto, è importante ricordare che ogni azione intrapresa ha un obiettivo preciso: rendere lo sport uno spazio sicuro per un numero sempre maggiore di persone. Quando diciamo “Fermiamo il razzismo, non il gioco”, non ci riferiamo solo alla prassi, ormai sempre più diffusa, di abbandonare il campo in risposta a episodi di razzismo. Significa, piuttosto, creare un ambiente in cui nessuno sia costretto a interrompere il proprio percorso sportivo a causa di discriminazioni razziste.
Per raggiungere questo obiettivo, è essenziale fornire una formazione adeguata, creare una rete di supporto che garantisca la sicurezza delle persone e faciliti la denuncia di episodi di razzismo, e promuovere il monitoraggio e la prevenzione.
C’è ancora molto da fare, e Monitora rappresenta solo la tappa di un percorso verso l’eguaglianza e le pari opportunità nelle pratiche sportive difficile e pieno di ostacoli, ma percorribile.
“Per un monitoraggio del razzismo efficace e proattivo nello sport”. Scarica il documento: