Dopo anni di dibattiti e discussioni – tre anni in più rispetto a quanto previsto dal Programma dell’Aia – il Parlamento Europeo ha approvato, lo scorso 12 giugno, il nuovo Sistema Europeo Comune di Asilo (Ceas), contenente le nuove regole per uniformare la gestione delle domande d’asilo nell’Ue e garantire i diritti fondamentali dei richiedenti asilo.
Entro il 20 luglio 2015 ogni Stato dovrà recepire nell’ordinamento interno le modifiche, per adeguarsi alla nuova normativa.
E’ dal 1999, dal Consiglio europeo di Tampere, che l’UE lavora alla realizzazione di un sistema europeo comune di asilo, per cercare di introdurre standard omogenei e raggiungere una cooperazione tra paesi membri.
Le nuove regole prevedono scadenze comuni per la gestione delle domande di asilo, con un termine massimo di sei mesi, oltre che regole più rigorose in materia di formazione del personale che si occupa dei richiedenti, e nuove disposizioni per le categorie vulnerabili, come i minori stranieri non accompagnati. Queste novità sono introdotte da alcune modifiche della direttiva procedure, pensate per rendere le procedure di richiesta e riconoscimento della protezione internazionale più precise, veloci ed efficienti.
Anche la direttiva sulle condizioni di accoglienza ha subito delle modifiche per quanto riguarda l’obbligo dei paesi di garantire al richiedente asilo condizioni di vita dignitose. E’ prevista una valutazione medica e psicologica tempestiva delle esigenze del richiedente asilo e viene richiesto un inserimento più rapido nel mercato del lavoro, entro nove mesi dalla presentazione della domanda d’asilo.
Le modifiche alla direttiva qualifiche (direttiva 2004/83/CE) introducono norme che mirano a garantire una legislazione più puntuale tra stati membri, introducendo una serie di diritti su protezione dal rimpatrio, permessi di soggiorno, documenti di viaggio, accesso all’istruzione, al welfare, all’assistenza sanitaria, all’alloggio.
I richiedenti asilo, inoltre, non potranno essere trasferiti verso Paesi dell’Unione europea in cui esista il rischio di trattamenti inumani o degradanti: una modifica al regolamento Dublino presa in considerazione a fronte delle varie situazioni che hanno visto i richiedenti asilo privati dei diritti fondamentali, come ad esempio in Grecia, paese in cui la situazione dei rifugiati è drammatica, o anche in Italia: l’anno scorso alcuni tribunali tedeschi hanno bloccato il regolamento Dublino, evitando di rimandare in Italia alcuni richiedenti asilo poiché non sarebbero stati assicurati loro i diritti fondamentali.
Infine, con alcune modifiche al regolamento Eurodac si persegue l’obiettivo di migliorare il funzionamento del database di impronte digitali dei richiedenti asilo, operativo già dal 2003: dovrebbe ridursi il ritardo nella trasmissione dei dati da parte degli Stati membri, e le forze di polizia avranno accesso alla banca dati Eurodac.
Non sembrano soddisfatte le associazioni impegnate nella garanzia dei diritti dei richiedenti asilo e dei rifugiati, che non vedono grossi cambiamenti rispetto alla situazione attuale. Tra queste il Cir secondo il quale l’accesso ai territori dell’UE e conseguentemente alla protezione continuerà ad essere difficile, per gran parte delle persone in cerca di protezione l’unica possibilità di entrare in Europa resterà l’accesso irregolare e non protetto, in condizioni di estremo rischio.
“Un vero sistema di asilo che garantisca la parità di diritti e standard in tutta l’UE e che preveda la possibilità di accedere alla protezione in modo sicuro resta ancora da costruire”, ha commentato il direttore del Consiglio Italiano per i Rifugiati Christopher Hein.
In effetti, i cambiamenti non sono particolarmente decisivi, anche e soprattutto perché la riforma è il frutto di una mediazione tra due tensioni contrastanti: da una parte, la volontà di rafforzare le garanzie delle persone che hanno diritto alla protezione internazionale, e dall’altra quella, che sembra prioritaria, di frenare l’ingresso massiccio di persone non legalmente autorizzate ad entrare e risiedere nei territori dell’Unione Europea. Un compromesso che secondo il direttore del Consiglio Italiano per i Rifugiati Christopher Hein è stato guidato dal “timore, esplicito o implicito di ‘invasione’”.