
Sono trascorse poche settimane dalla diffusione di due video da parte della Rete Mai più Lager – No ai CPR in merito alle violenze avvenute al CPR di Gradisca. Nonostante la smentita della Questura di Gorizia in merito alle accuse di pestaggio, le immagini dalla pagina sono subito rimbalzate sulla maggior parte dei quotidiani nazionali fino al TG3, riaccendendo i riflettori sulle condizioni di detenzione delle persone migranti detenute all’interno dei Centri di Permanenza per il Rimpatrio.
In questi giorni arriva una nuova notizia su un’altra violenza documentata all’interno dei CPR, questa volta a Macomer: come denunciato da LasciateCIEntrare a Fanpage, nel centro in provincia di Nuoro due proteste a distanza di pochi giorni – entrambe per richiedere assistenza medica – sono state sedate violentemente dalla polizia. Nell’ultima, avvenuta il 27 Giugno, due detenuti sono stati posti in stato di isolamento e pesantemente sedati, uno di questi riuscirà a riprendersi dall’effetto dei farmaci solo il 29 Giugno.
Il tema dell’assistenza medica – assente – all’interno dei luoghi di detenzione amministrativa è più volte stato al centro dell’analisi delle condizioni di vita delle persone detenute all’interno dei Cpr. L’assistenza medica a cui le persone detenute hanno diritto è affidata ai medici privati dell’Ente Gestore, prassi – quella della privatizzazione della salute all’interno dei Cpr – criticata già nel 2007 dalla Commissione De Mistura e che dal 2022 è stata ulteriormente rafforzata con la Direttiva Lamorgese. Il diritto alla salute dei detenuti all’interno dei Centri di Permanenza per il Rimpatrio, infatti, è stato più volte violato, tra frequenti casi di assenza di assistenza medica in caso di malore e ancor più reiterati abusi di psicofarmaci. Il caso di Macomer, iniziato proprio con proteste che rivendicavano il diritto ad essere assistiti dal punto di vista medico, è un esempio, ma non è l’unico.
Come denunciano sia la rete LasciateCIEntrare che Mai più lager – No ai CPR, le proteste sono quasi giornaliere all’interno delle strutture detentive. Le persone detenute all’interno dei Cpr non smettono di rivendicare la loro dignità di esseri umani e cittadini, chiedendo che i loro diritti umani siano garantiti, battendosi per avere migliori condizioni all’interno di luoghi in cui spesso sono rinchiusi senza sapere il perché ma che sono peggiori delle carceri.
La patogenicità dei CPR è una questione che sta ritornando in questo periodo nell’analisi dei professionisti del mondo sanitario.
Il Collettivo Psicologia Anticarceraria sta chiedendo ai colleghi e alle colleghe di non “cooperare in contesti di violenza dei confini, quali i CPR, in quanto la conoscenza e le pratiche della psicologia, sebbene intese per la promozione del benessere, quando si trovano applicate in tali ambienti divengono strumenti di ingegneria sociale finalizzati al controllo e al disciplinamento della popolazione in essi trattenute».
La Società Italiana di Medicina dell’Immigrazione, dopo aver già avviato lo scorso anno una campagna insieme alla Rete No CPR per sensibilizzare i medici nel praticare obiezione di coscienza nella firma dei certificati di idoneità al trattenimento, ha recentemente mandato una lettera a Filippo Anelli, presidente della Federazione Nazionale dell’Ordine dei Medici, Chirurghi e Odontoiatri affinché l’Ordine si schieri politicamente dichiarando – come già fece l’OMS – il carattere patogeno della detenzione amministrativa. L’FNMCeO ha risposto recentemente dichiarando di aver accolto e discusso l’appello sui CPR e il diritto alla salute e per quanto non costituisca un immediato posizionamento politico è sintomo che qualcosa si sta muovendo.
Questo ovviamente non risolve la questione della salute all’interno dei CPR: questi appelli che interrogano sul ruolo sociale e politico di figure che sono poste a tutela di un diritto fondamentale – quello alla salute appunto – vanno in una chiara direzione abolizionista dei CPR. Significa ribadire quanto questi siano luoghi patogeni e che dunque nessun individuo può essere considerato idoneo ad una vita all’interno di un CPR in quanto quest’ultimo non è uno spazio idoneo alla vita come denuncia chi, a causa del razzismo istituzionale, vi si trova detenuto.
Si tratta di persone che spesso si trovano nell’impossibilità di essere assistite, sono in condizioni igieniche degradanti, in uno stato di perpetua fragilità giuridica – soprattutto con un governo che procede imperterrito con la detenzione anche in Albania, dove sono già avvenuti dei rimpatri non previsti dal protocollo e su cui il Massimario della Cassazione ha recentemente espresso in una relazione il rischio di incompatibilità con il diritto europeo.
Nonostante ciò le istituzioni continuano a dimostrarsi sorde e i CPR continuano a produrre sofferenza prima di tutto in chi vi è detenuto. Chi si cura di loro? Non di certo lo Stato che criminalizza le persone e ne calpesta i diritti fondamentali. Nessun diritto sopravvive dietro le sbarre del razzismo istituzionale, nemmeno quello alla salute.