
Sta facendo discutere la sentenza del giudice sportivo sul caso Acerbi – Juan Jesus. Il calciatore dell’Inter Francesco Acerbi non riceverà alcuna sanzione in merito ai presunti epiteti razzisti rivolti al difensore del Napoli Juan Jesus. Non ci sarebbero, secondo il giudice, prove sufficienti a confermare che l’interista abbia effettivamente compiuto discriminazione razzista.
Subito sono arrivate le reazioni sia di Juan Jesus, che ha postato nel suo profilo instagram l’immagine di un pugno chiuso in segno di protesta, che della sua società calcistica, la quale pubblica un comunicato in cui afferma:
«Restiamo ancor più basiti. Il Napoli non aderirà più a iniziative di mera facciata delle istituzioni calcistiche contro il razzismo e le discriminazioni, continueremo a farle da soli, come abbiamo sempre fatto, con rinnovata convinzione e determinazione”.
#iostoconjj».
Non è la prima volta che nel mondo del calcio ricorrono episodi di razzismo o presunti tali, né è la prima volta che una sentenza del genere lascia l’amaro in bocca. Sicuramente la crescente sensibilità su questi temi sta facendo sì che stiano aumentando le denunce anche pubbliche nell’ambito dello sport mainstream, eppure manca ancora una coscienza degli strumenti a disposizione per reagire e per contrastare e prevenire episodi di questo tipo.
Lo spiega molto bene Max Mauro in un articolo per Il Manifesto che segnaliamo mettendo in evidenza le aporie di un mondo – quello del calcio – che nonostante abbia a disposizione tutti gli strumenti per riuscire ad affrontare i casi di razzismo che si presentano quotidianamente, ancora si arena nel solo ambito giudiziario, sottovalutando l’importanza del lavoro culturale per prevenire il razzismo, lavoro che si può fare a partire dallo sport stesso.
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