Il controvertice del Genoa Social Forum di Genova si aprì il 19 luglio 2001 con una manifestazione dei migranti. Fu una manifestazione bella, pacifica e partecipata, molto più di quanto ci attendessimo (circa 50mila persone). Ci ritrovammo in tante e in tanti, dopo tre anni di dispersione, seguita all’approvazione del T.U. 286/98 e alla chiusura delle campagne promosse dalla Rete antirazzista su riforma della cittadinanza, diritto di voto e trasferimento delle competenze sul soggiorno dalle Questure ai Comuni.
A Genova manifestammo contro il razzismo, contro le frontiere chiuse di quell’Europa Fortezza in cui non ci riconoscevamo e quel programma sicuritario che il nuovo Governo Berlusconi (insediatosi nel maggio 2001) aveva messo in agenda e, purtroppo, avrebbe rapidamente compiuto con l’approvazione della legge n.189/2002, la cosiddetta legge Bossi-Fini.
La vitalità e la grande partecipazione della manifestazione del 19 luglio furono subito dimenticate e oscurate dalla gravità di ciò che accadde nei giorni successivi: la paura; la brutalità delle violenze compiute dalle Forze dell’ordine contro tutto il movimento; l’uccisione incomprensibile e inaccettabile di Carlo Giuliani; il ritorno angosciante a casa, con la sensazione di aver vissuto in un paese in cui la democrazia era stata letteralmente sospesa per quattro lunghi giorni. Un paese che non poteva essere il tuo.
Tutto questo ha lasciato impronte individuali e collettive profonde, non cancellabili.
A Genova torneranno quest’anno una serie di iniziative (qui il programma). Oggi, a distanza di venti anni e a maggior ragione dopo i fatti di Santa Maria Capua Vetere, è giusto ricordare e tornare a chiedere che anche in Italia sia introdotto il codice identificativo individuale per gli operatori delle forze dell’ordine (qui la campagna promossa da Amnesty International).
In questa sede, ci sembra utile ricordare alcuni contenuti che caratterizzarono una fase molto partecipata del movimento antirazzista italiano a partire da Genova, tra il luglio 2001 e il novembre 2002, ripubblicando due documenti (l’appello di convocazione e il documento finale approvato dall’assemblea) che non a Genova, ma anche grazie a Genova, furono prodotti in occasione del Forum Sociale Europeo che si svolse a Firenze nel novembre 2002, dove un’assemblea coinvolse più di cinquecento attivisti europei.
La ricerca di forme di convergenza su alcune idee di fondo; il superamento di analisi e di vertenze ristrette ai soli ambiti nazionali; l’attenzione alle similitudini che accomunavano il modello sicuritario di “governo” delle migrazioni europeo con quello statunitense e di alcuni paesi dell’America Latina; il riconoscimento del carattere trasversalmente strutturale delle migrazioni nel modello neoliberista, furono infatti oggetto di accurate elaborazioni e, soprattutto, di molte mobilitazioni in tutto il paese.
I Forum sociali mondiali di Puerto Alegre del 2001 e del 2002 convocati sotto lo slogan “un altro mondo è possibile” (a cui il Genoa Social Forum si collegava) non avevano colto sino in fondo come il governo proibizionistico delle migrazioni fosse a tutti gli effetti uno degli elementi strutturali della globalizzazione neo-liberista. Il Tavolo migranti, nato dopo Genova all’interno dei social forum territoriali italiani, individuò le politiche migratorie nazionali, europee e globali come uno dei pilastri di quell’ingiustizia economica e sociale contro cui il movimento altermondialista si batteva.
Nell’ottobre 2001, all’Assemblea Nazionale dei Forum Sociali Italiani svolta a Firenze, il gruppo di lavoro sui migranti fu uno dei più numerosi, coinvolse più di 90 persone provenienti da tutte le regioni italiane in una riflessione politica, ma anche culturale, sulle condizioni di vita e di lavoro dei migranti in Italia e nel mondo. Quell’appuntamento segnò la costituzione di “gruppi immigrazione” presso molti Social Forum locali e di un coordinamento operativo che permise l’organizzazione di decine di iniziative territoriali di protesta contro le proposte del governo, senza le quali la manifestazione nazionale contro la legge Bossi-Fini del 19 Gennaio 2002 “Per il diritto al futuro” difficilmente avrebbe portato a sfilare a Roma più di 150.000 persone.
Il movimento dei Social Forum riaggregò le associazioni storiche dell’antirazzismo italiano laiche e religiose, i centri sociali, il movimento dei disobbedienti, pezzi di sindacato e di sinistra politica, ma anche molti giovani e singoli cittadini, sul tema della rivendicazione dei diritti di cittadinanza per tutti intrecciando la protesta contro la logica segregazionista del governo Berlusconi, che proponeva l’apartheid giuridico, sociale, civile e politico dei migranti, con il no ad ogni tipo di guerra; il rifiuto della riduzione dei migranti a merce-lavoro con la difesa dei diritti dei lavoratori italiani e stranieri facendo propria la battaglia per la difesa dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori; la lotta contro la globalizzazione neoliberista e la richiesta della libera circolazione delle persone; la rivendicazione di un sistema diverso di ripartizione delle ricchezze del pianeta con la difesa dei diritti umani fondamentali.
Proprio la capacità di contestualizzare il tema dei diritti umani e di cittadinanza e dei diritti dei migranti nel quadro del movimento contro la globalizzazione e di coglierne la connessione, anzi, la trasversalità ai processi di ristrutturazione e destrutturazione del mercato del lavoro e alle politiche di abbattimento del welfare, fu uno dei contributi più alti del movimento. Fu colto allora, quando ancora si faticava a riconoscere in Italia quei processi che stavano innescando la progressiva precarizzazione di ampie aree del lavoro, il carattere esemplare delle condizioni di sfruttamento del lavoro dei migranti (e della funzione di vero e proprio grimaldello ai diritti sul lavoro per tutti che l’’introduzione del contratto di soggiorno, previsto nella legge Bossi-Fini, avrebbe rappresentato).
Ci fu insomma per alcuni mesi un grande sforzo di connessione e di condivisione tra le diverse aree di movimento che consentì una fortissima mobilitazione contro la Bossi-Fini e l’iniquità del provvedimento di regolarizzazione ad essa collegato, ma anche un ricco e articolato dibattito collettivo che rifiutò l’dea di cittadinanza europea escludente contenuta nella Carta europea dei diritti.
A guardare l’esito della tanto discussa e mai varata riforma della legge sulla cittadinanza italiana, la chiarezza di allora risulta disarmante: “è cittadino europeo chiunque nasca sul territorio europeo o vi risieda regolarmente”.
Così come lungimiranti risultano i punti della piattaforma del movimento approvata a Firenze. Attuali ancora oggi, a vent’anni di distanza:
la garanzia del diritto a migrare e a entrare in Europa;
la libera circolazione per tutti, compresi i cittadini di “paesi terzi”;
la regolarizzazione a regime di tutti i sans-papiers;
l’idea di una cittadinanza inclusiva, capace di garantire a tutti coloro che risiedono nel territorio europeo pieni diritti civili, politici, sociali, secondo il principio che è cittadino europeo chiunque nasca sul territorio europeo o vi risieda regolarmente;
la garanzia piena del diritto alla coesione familiare;
la garanzia di uguali diritti per tutti i lavoratori e l’introduzione di misure che tutelino dallo sfruttamento i lavoratori stranieri, compresi quelli precari e senza contratto di lavoro;
la lotta contro ogni forma di discriminazione, xenofobia e razzismo;
la garanzia dei diritti dei rom;
la garanzia piena del diritto di asilo.