di Stefania N’Kombo Josè Teresa
Una ragazza italiana, figlia di genitori di origine angolana, sta verificando i requisiti dei genitori per l’accesso alla cittadinanza italiana, ancora non ottenuta nonostante siano residenti in Italia il padre dal 1991 e la madre dal 1995. A bloccare a livello burocratico il processo di naturalizzazione c’è il requisito del reddito. Lei e il fratello hanno ottenuto la cittadinanza dopo i 18 anni, seppur con non poche difficoltà, soprattutto nella dimostrazione della residenza ininterrotta in Italia. La ragazza quando ha ottenuto la cittadinanza a 20 anni, giurando sulla Costituzione, con la ricezione della tessera elettorale, si è sentita finalmente parte di una comunità che senza quel pezzo di carta, quella mutata dicitura nella carta d’identità, la vedeva come immigrata, “clandestina”, “extracomunitaria” o qualsiasi altro nome che sottintendesse la sua estraneità alla società italiana. Il lavoro di educazione data dal padre che ha generato una forte coscienza politica ha trovato il suo naturale sbocco nella partecipazione attiva, che va dalle scadenze elettorali all’attivismo. Vorrebbe che questo diritto si estendesse anche ai suoi genitori, che questa possibilità di essere e contribuire a fare comunità fosse presente anche su quelle carte d’identità. I requisiti ancora non ci sono. Anche questa volta bisognerà attendere.
Questa è una delle tante storie che succedono mentre Joan Grande e Frankie Grande, rispettivamente madre e fratello della cantante statunitense Ariana Grande, ottengono la cittadinanza italiana grazie agli avi di origine italiana.
Una legge rimasta invariata
La legge sulla cittadinanza attualmente in vigore ha compiuto trent’anni nel 2022. In questo periodo ci sono state tantissime campagne e realtà che tra advocacy ed interlocuzione con le forze politiche hanno tentato di rendere il diritto alla cittadinanza più accessibile alle persone che sono ad oggi italiane di fatto, ma non sulla carta. Non sono mancate nemmeno iniziative parlamentari.
L’ultima iniziativa legislativa discussa in Parlamento è il testo unificato di riforma presentato alla Camera in Commissione Affari Costituzionali nell’aprile 2022. La proposta, sicuramente meno avanzata rispetto a quella attesa dal movimento antirazzista, non è stata mai discussa in aula anche a causa della fine anticipata della legislatura.
Nel nostro paese il tempo per facilitare l’acquisizione della cittadinanza non viene mai.
Cambio di governo
Con il cambio di legislatura e le conseguenti nuove composizioni di Camera e Senato, sono state depositate presso la Commissione Affari Costituzionali della Camera nuove proposte di riforma. Ma l’iter dovrebbe di fatto iniziare con una maggioranza schiacciante di parlamentari di centrodestra – dichiaratamente contrari.
Il cambiamento della maggioranza di governo, per quanto prevedibile, ha rallentato di molto il lavoro delle parti sociali in materia di cittadinanza. La consapevolezza di avere in Parlamento una maggioranza in mano a quei partiti che hanno sempre dipinto la riforma della legge sulla cittadinanza come inutile ai fini della cosiddetta “integrazione”, funzionale ad aumentare il solo elettorato di centrosinistra o “pericolosa per l’identità nazionale”, limita le speranze per un cambiamento celere a livello legislativo. Tuttavia, anche l’incapacità di riuscire ad apportare un cambiamento, seppur minimo, da parte delle forze progressiste quando costituivano la maggioranza è indice di come ci sia un forte scollamento fra le esigenze della società – che sembra essere già pronta ad una nuova legge sulla cittadinanza – e le forze politiche. Sembrerebbe allora lecito domandarsi se al momento abbia senso interloquire con i politici in materia di cittadinanza.
Cittadinanza: una questione ideologica, giuridica o politica?
Nelle aule parlamentari il dibattito sulla cittadinanza è di fatto ancora un discorso di posizionamento ideologico più che un dibattito giuridico e la sua entrata o uscita nel dibattito pubblico dipende da quanto possa apparire forte nell’opinione pubblica questo posizionamento. Questo vale per tutte le parti politiche, le quali possono strumentalizzare ogni iniziativa promossa da reti, associazioni e organizzazioni in materia di cittadinanza.
Considerare la cittadinanza come una questione ideologica significa che il posizionarsi, ad esempio contro o a favore del cambiamento dell’attuale legge dipende dal sistema concettuale, culturale e interpretativo del reale che costituisce la base del pensiero politico fondativo del gruppo di riferimento. Adottando una semplificazione atta al solo fine di spiegare il concetto, il sistema concettuale in un gruppo che si identifica in una generica destra politica comprende quel livello di inclusività o di progressismo tale per cui il cambiamento di una legge sulla cittadinanza sia possibile senza scalfire quel pensiero fondativo stesso? A conti fatti, considerate le dichiarazioni anche degli stessi esponenti politici dei partiti di centro destra, sembrerebbe di no.
Allo stesso modo ideologicamente un cambiamento della legge sulla cittadinanza per quanto sia più compatibile con il sistema di idee su cui posa il centro sinistra, nonostante le tantissime proposte il cambiamento, non è avvenuto. La cittadinanza, soprattutto in ambito istituzionale, è sempre più una questione ideologica che giuridica, una bandiera che conferma l’identità di quella o l’altra area politica, indipendentemente dall’azione reale.
Ma ciò non risponde al quesito se abbia senso o meno interloquire in questa fase con la politica: che il discorso sulla cittadinanza rimanga ancorato all’ideologia è inevitabile essendo indissolubilmente legato al razzismo strutturale dilagante in Italia. Questa discriminazione sistemica trova il suo braccio destro proprio nel sistema giuridico che genera costantemente italiani di serie a, in grado di godere dei propri diritti di cittadini, e italiani di serie b, notati dallo Stato solo se “se lo meritano”. Se, però la natura ideologica ascrive ogni proposta sulla legge di cittadinanza ad un orizzonte più grande, un intervento giuridico volto alla facilitazione della sua acquisizione risulterebbe importante proprio come primo passo per combattere il razzismo strutturale.
La società civile e il lavoro delle parti sociali
La parte di popolazione che non subisce direttamente le conseguenze dei cambiamenti che deriverebbero da una nuova legge sulla cittadinanza e che costituisce una fetta importante di elettorato, risulta in maggioranza favorevole ad un cambiamento della legge, indipendentemente dalla propria appartenenza politica.
Questo, probabilmente, perché nella quotidianità il tema della cittadinanza è avvertito nella sua semplicità di problema giuridico. Ma come parti sociali, reti che si attivano, è necessario fare un passo avanti e far comprendere l’importanza di questo tema come una necessità politica. Abbiamo visto che il tema non è percepito dalle istituzioni come un problema giuridico da risolvere, ma spesso serve a confermare il proprio posizionamento ideologico alla luce dell’area politica di appartenenza. Abbiamo anche notato come il tema, strettamente collegato al razzismo, renda quasi inevitabile il collegamento con una posizione ideologica. Tuttavia, il ritorno a considerare la cittadinanza come tema politico è necessario proprio per superare il mero posizionarsi, la mera identità di un gruppo specifico e tornare all’azione reale nelle istituzioni e non solo. La politica, infatti, non è solo un insieme di leggi o provvedimenti, non si riduce solo ai colori con cui ci si identifica, ma è anche e soprattutto un insieme di pratiche collettive (sia nelle istituzioni che dai singoli individui) che definiscono e modellano la società al fine di un suo miglioramento.
La politicità dei diritti di cittadinanza porta a riflettere su cosa voglia dire partecipare politicamente, essere riconosciuti dallo Stato in cui si vive, in un orizzonte ulteriore rispetto alle risoluzioni delle gravi discriminazioni che si subiscono quotidianamente. Restituire politicità a questo tema, lungi da essere un solo posizionamento ideologico come accade già nelle istituzioni, significa aprire la discussione dalle aule alla società tutta interrogando cosa significa essere cittadini e cittadine e dando poi un senso a qualsiasi cambiamento giuridico.
È difficile comprendere se sia utile o meno interloquire con le istituzioni, soprattutto considerando le tante realtà formate da chi vive in prima persona il problema politico della cittadinanza e avverte il cambiamento giuridico come un’urgenza.
In un paese in cui, indipendentemente dai colori presenti in parlamento, risulta difficile tramutare in intervento legislativo le istanze portate dalle parti sociali ed avvertite dalla società civile, risulta essenziale parlare con chi non vive determinate esperienze, e che molto spesso non conosce le problematiche dell’attuale legge sulla cittadinanza.
Cambiare l’attuale legge sulla cittadinanza, permettere a più di un milione di persone di potervi accedere più facilmente, non è una questione che coinvolge le singole persone interessate.
Non è solo un problema dei genitori della ragazza citata all’inizio di questo articolo, ma è un problema di tutta la società in quanto determina il livello di democrazia presente nel nostro paese.
Per questo, forse, in questa precisa fase storica è maggiormente utile un lavoro di educazione – non di semplice sensibilizzazione – a questo problema politico, di informazione capillare e di advocacy sul territorio. Forse questo tema non entrerà facilmente in questa legislatura dentro le aule parlamentari e forse tentativi in quella direzione oggi sono inutili, ma il nostro lavoro deve continuare ad entrare nelle vite e nelle case dei cittadini e delle cittadine dello Stato.
Nell’immediato può non essere compreso, ma resta un lavoro prioritario.