L’Italia soffre di varie lacune. Una in particolare riguarda una parte non insignificante della sua popolazione: i figli di cittadini stranieri che non hanno la cittadinanza italiana e, perciò, non hanno uguali diritti rispetto ai loro coetanei. Come ricorda un articolo pubblicato qualche giorno fa sul sito lavoce.info, secondo l’Istat (dati aggiornati all’1 gennaio 2022) oltre un milione di minori stranieri vivono nel Bel Paese, pari all’11,5% degli abitanti sotto i 18 anni. Nelle scuole di ogni ordine e grado, gli alunni con la cittadinanza non-italiana sono il 10,3 % del totale. Molti di loro, nati o cresciuti qui, si sentono a tutti gli effetti italiani nel cuore, ma privi della cittadinanza, non possono svolgere alcune attività. Ad esempio, non possono rappresentare l’Italia nelle competizioni sportive, partecipare a molti bandi pubblici o votare alle elezioni locali (a meno che non siano cittadini comunitari) e politiche, né alle consultazioni referendarie.
La legge n.91/92 sulla cittadinanza, ispirata al principio dello ius sanguinis, riconosce ai minori stranieri nati in Italia la possibilità di acquisire la cittadinanza italiana una volta compiuti 18 anni, facendone richiesta entro due anni dal compimento della maggiore età solo se possono dimostrare di avere risieduto legalmente e ininterrottamente in Italia fino a 18 anni. Non prevede invece nessun percorso facilitato per i minori stranieri che non siano nati in Italia, ma vi siano giunti in tenera età. Inoltre l’esito della procedura resta condizionato da un’alta discrezionalità dell’amministrazione.
Ad esempio, come racconta lui stesso in un video diffuso di recente, il 36enne Sonny Olumati, ballerino, scrittore e attivista del movimento Italiani senza cittadinanza, nato e cresciuto a Roma, non è ancora cittadino italiano. Un altro caso di cui si è parlato molto in questi giorni è quello di Khaby Lame, il content creator di origini senegalesi che vive a Milano, diventato il personaggio più seguito sulla piattaforma TikTok. In un’intervista a La Repubblica si è lamentato del fatto che molte persone come lui, nate e/o cresciute in Italia, non hanno ancora ricevuto la cittadinanza. A lui il sottosegretario agli Interni Carlo Sibilia ha risposto con un tweet che presto la riceverà, seguito subito dopo da una dichiarazione della Ministra dell’Interno Lamorgese. Inevitabile la polemica che ne è seguita: per diventare un cittadino italiano bisogna per forza avere un certo livello di notorietà? L’unico aspetto positivo della vicenda è che per lo meno si è tornati a parlare di cittadinanza.
La proposta sullo “ius scholae”
Il 3 marzo 2022 il presidente della Commissione Affari Costituzionali Giuseppe Brescia (M5S) ha depositato una proposta di legge per modificare l’attuale legge sulla cittadinanza. Il testo è stato adottato come testo unificato dalla Commissione 6 giorni dopo e introduce il cosiddetto ius scholae: la cittadinanza italiana può essere acquisita da un minore straniero nato in Italia o che vi ha fatto ingresso prima dei dodici anni che abbia frequentato per almeno cinque anni uno o più cicli scolastici. Per richiedere la cittadinanza i genitori legalmente residenti o chi esercita la responsabilità genitoriale devono presentare una dichiarazione di volontà all’ufficiale dello stato civile del comune di residenza entro il compimento della maggiore età dell’interessato. In mancanza di tale dichiarazione, l’interessato può avere la cittadinanza se fa richiesta all’ufficiale dello stato civile entro due anni dal raggiungimento della maggiore età.
Il testo, con alcune modifiche, è stato licenziato dalla Commissione Affari Costituzionali ed è approdato in Aula lo scorso 29 giugno.
Le principali obiezioni
I due partiti che si sono dichiarati apertamente contrari alla riforma sono la Lega e Fratelli d’Italia. Le loro principali argomentazioni sono le seguenti.
– L’Italia è il secondo paese nell’Unione Europea per numero di cittadinanze “concesse” (127 mila nel 2021, pari a circa il 18% del totale dell’Ue). L’attuale legge funzionerebbe dunque benissimo e i cambiamenti non sarebbero necessari.
– L’acquisizione della cittadinanza dovrebbe avvenire alla fine di un percorso “d’integrazione”, non dovrebbe essere il punto di partenza.
– La riforma non sarebbe necessaria perché i genitori del minore straniero nato o arrivato in Italia prima della maggiore età possono richiedere la cittadinanza italiana dopo 10 anni di residenza legale e trasmetterla ai loro figli.
– In Italia i figli degli immigrati godono degli stessi diritti fondamentali dei loro coetanei italiani e gli eventuali problemi burocratici possono essere risolti con delle iniziative specifiche.
– Lo “ius scholae” sarebbe uno “ius soli” mascherato.
– La riforma sarebbe inutile, dannosa, divisiva e motivata dall’ideologia, servirebbe solo ad allargare il bacino elettorale del Partito Democratico.
– Quello della cittadinanza non sarebbe un tema prioritario. Altri problemi preoccuperebbero di più gli italiani, come l’aumento dei prezzi della benzina, la pandemia di COVID-19 e gli “effetti collaterali” della guerra in Ucraina.
– Un solo ciclo scolastico o un accesso più facile alla cittadinanza non garantirebbero “l’integrazione”. Con riferimento a questo punto sono stati evocati più volte, sia sui media che in Parlamento, i fatti tragici che sono avvenuti il 2 giugno a Peschiera del Garda, quando alcuni minorenni di origini nordafricane hanno molestato delle ragazze e costretto alcune persone a scendere da un treno perché avevano la pelle bianca.
– La cittadinanza dovrebbe essere “meritata” e, dunque, non dovrebbe essere introdotto nessun automatismo burocratico;
– Lo ius scholae potrebbe favorire l’immigrazione “irregolare” o “un turismo della maternità” e incoraggiare donne, anche abbienti, a trasferirsi in Italia per fare nascere e crescere i propri figli qui in modo da poter poi prendere la cittadinanza.
Queste obiezioni, alcune molto strumentali, hanno poco a che vedere con la realtà in Italia che è molto più complessa e non tengono conto delle aspettative e delle prospettive dei giovani che beneficerebbero della riforma.
Lo ius scholae in sé non recherebbe alcun danno ai cittadini italiani, ma potrebbe essere invece un catalizzatore per facilitare l’inserimento socio-economico dei figli dell’immigrazione nel nostro paese. E come ricorda ancora la Voce.info, molti studi hanno dimostrato che una più facile acquisizione della cittadinanza ha un’influenza positiva sul rendimento scolastico dei minori stranieri, diminuisce il loro tasso d’abbandono scolastico e aumenta le loro probabilità di partecipare a percorsi educativi che li preparano per l’università.
Due sondaggi sullo ius scholae
Ma cosa pensano della riforma i cittadini italiani? Offrono utili spunti di riflessione due sondaggi realizzati di recente.
Nel mese di aprile sono stati divulgati i risultati di un sondaggio promosso dal sito ScuolaZoo secondo il quale l’85% degli studenti tra i 14 e i 19 anni intervistati sono a favore dello ius scholae e il 63% ritiene che sia giusto dare la cittadinanza a chi risiede in Italia da lungo tempo. Questi numeri sembrano evidenziare che le nuove generazioni sono molto più favorevoli a una società più inclusiva e aperta, specialmente perché interagiscono nella loro vita quotidiana con molti coetanei stranieri che, a prescindere dal loro status legale, sono italiani a tutti gli effetti.
Nel mese di giugno ActionAid ha pubblicato i risultati di un sondaggio commissionato a Quorum/Youtrend. La ricerca mostra che la maggior parte degli italiani (62%) non sa cosa sia lo ius scholae. Tuttavia, una volta arrivati a conoscenza dei dettagli del testo di legge in discussione, il 59% degli intervistati si sono mostrati abbastanza o molto d’accordo sul suo contenuto. Ciò che colpisce è che il sostegno popolare va oltre le appartenenze ideologiche. Era prevedibile il fatto che una larga maggioranza degli elettori del Partito Democratico, del Movimento Cinque Stelle e di gruppi progressisti e centristi fossero favorevoli allo ius scholae, ma la vera sorpresa è che sembrerebbero esserlo anche il 48% di quelli che votano Lega e il 35% dei simpatizzanti di Fratelli d’Italia. I risultati di questo sondaggio rendono ancora più deboli le obiezioni alla riforma dei due partiti di destra, visto che il loro ostruzionismo non è condiviso da tutti i loro sostenitori. Semmai il sondaggio evidenzia molto bene che una buona parte della società italiana è pronta ad accettare un cambiamento della legge sulla cittadinanza e non si sente affatto minacciata.
Il dibattito attuale
Dopo settimane di discussioni accese e l’inserimento di alcune modifiche, compresa la possibilità che un solo genitore può fare la richiesta della cittadinanza, il testo unificato è stata approvato dalla Commissione Affari Costituzionali ed è passato all’Aula della Camera dei Deputati il 29 giugno.
Già molti emendamenti sono stati presentati dai partiti ostili alla riforma.
La discussione in aula procede lentamente e i tempi utili per approvare il testo sono molto stretti: dopo l’eventuale approvazione in Aula alla Camera, il testo dovrà passare al Senato, dove i rapporti di forza sono meno favorevoli ai fautori della riforma.
Al momento lo ius scholae gode del sostegno del Partito Democratico, del Movimento Cinque Stelle e di Italia Viva. Forza Italia è divisa sull’argomento tra quelli favorevoli e quelli contrari e questo potrebbe essere un fattore determinante nelle prossime settimane. Solo la Lega e Fratelli d’Italia rimangono tenacemente avversi alla proposta e sono i due partiti che hanno presentato il maggior numero di emendamenti sia in Commissione che in Aula, in gran parte unicamente finalizzati a rallentare i lavori.
Sono ben noti tra gli emendamenti presentati dalla Lega in Commissione, quelli volti a inserire esami sugli usi e costumi del paese, tra cui la conoscenza delle sagre e delle feste regionali; la proposta di concedere la cittadinanza solo a chi non ha commesso atti violenti o di bullismo durante l’orario scolastico, non è mai stato bocciato e ha una valutazione media non inferiore all’8 o non meno di 90/100 per le qualifiche professionali.
Invece, Fratelli d’Italia ha concentrato la sua attenzione sulla durata del percorso scolastico, proponendo che la frequenza della scuola sia di almeno 8 anni e non di 5 come previsto nel testo di riforma. Un emendamento firmato da Giorgia Meloni ha richiesto che la cittadinanza sia data a chi completa almeno due cicli scolastici.
Molte delle obiezioni sollevate in Commissione torneranno nella discussione in Aula, come fanno pensare i circa 1500 emendamenti al testo giunto in Aula, già presentati dalle destre.Si spera che nonostante tutti questi ostacoli, la proposta di riforma completi il suo iter legislativo entro la fine dell’attuale legislatura, così da poter rendere giustizia a centinaia di migliaia di ragazze e ragazzi che potrebbero beneficiare di questa riforma e potrebbero finalmente sentirsi parte integrante della società in cui vivono, crescono, studiano e lavorano, portando così l’Italia a pari passo con altre società più avanzate e aperte della nostra.
di Adrian Waters