
Linda, pulita, decorosa e sicura: parole che descrivono un’idea di città che si traduce nella realtà in una città senza persone povere, aggregazione giovanile, partecipazione democratica e “pericolose” persone migranti. Che siano zone rosse come quelle istituite a Firenze, Bologna, Napoli e Milano, o zone a sicurezza rafforzata come quelle nella caotica Roma del suo anno giubilare, le cose non cambiano: stiamo assistendo ad un’ennesima svolta securitaria. Il 17 Dicembre 2024 il Ministro dell’Interno, attraverso una circolare, dà ai prefetti la possibilità di istituire le cosiddette Zone Rosse, delle zone – che spesso corrispondono al centro storico delle città o alle grandi Stazioni Ferroviarie – a cui soggetti considerati pericolosi per precedenti penali o per un comportamento percepibile molesto non devono avere accesso. La logica di questa circolare, secondo il Ministro, è garantire la sicurezza reale e percepita da parte dei cittadini, tuttavia, guardando alla militarizzazione crescente delle periferie delle grandi metropoli e al dibattito sul DDL Sicurezza, l’impalcatura sistemica che fa da cornice teorica a questa logica è ben più complessa.
Il razzismo dietro le ordinanze
Questo securitarismo va a colpire innanzitutto soggettività che si trovano in condizioni di marginalità economica e sociale: persone indigenti, giovani e soprattutto persone migranti. Sono i volti che costellano i marciapiedi delle stazioni o le piazze del centro considerati luoghi della “movida”, coloro le cui storie sono invisibili finché non diventano gli antagonisti di casi di cronaca nera, continuando ad alimentare stereotipi criminalizzanti, classisti e, ancora una volta, razzisti. L’iter molto spesso è il medesimo: un caso di cronaca nera con protagonista una persona di origine straniera va al centro del dibattito locale o nazionale e i prefetti emettono ordinanze che vanno a reintrodurre forme di daspo urbano, con il pretesto di rendere più sicure alcune zone della città.
Il nesso tra razzismo e securitarismo viene esplicitato nell’ordinanza emessa dal prefetto di Milano il 27 Dicembre che identifica chi commette reati con le “persone di giovane età e sovente di provenienza extracomunitaria” disponendo che a dover essere allontanati dalle cosiddette zone rosse sono i “soggetti molesti e aggressivi, dediti alla commissione di reati e non in regola con la normativa in materia di immigrazione, tale da incidere negativamente sulla percezione di sicurezza dei cittadini e dei turisti che fruiranno di quelle aree”. Parole del genere rischiano di giustificare di fatto anche forme di profilazione “etnica” da parte delle forze dell’ordine.
Iniziativa analoga è l’ordinanza del prefetto di Roma dell’8 gennaio 2025 che, in attesa di una strategia più complessiva, dispone per due mesi il divieto di stazionare in alcune aree dei quartieri Esquilino e Tuscolano “per i soggetti che in dette aree assumano atteggiamenti aggressivi, minacciosi o insistentemente molesti, determinando un pericolo concreto per la sicurezza pubblica, tale da ostacolare la libera e piena fruibilità di quelle aree e risultino già destinatari di segnalazioni all’Autorità giudiziaria”.
Come sottolinea Magistratura Democratica nel suo comunicato del 31 Dicembre 2024, queste ordinanze restringono la libertà di circolazione per ragioni politiche, non parlano di fattispecie di reato né di autori di reato, ma della necessità di garantire la “sicurezza percepita” dei cittadini e dei turisti “nei confronti di persone non in regola con la normativa in materia di immigrazione”. Esemplare un passaggio contenuto nella direttiva del 17 Dicembre: “L’analisi di contesto, infatti, evidenzia come sovente la consumazione di reati si inserisca in un quadro caratterizzato da plurimi fattori di fragilità (abitativa, occupazionale, educativa, familiare) e in cui si insinuano fenomeni come quello dello spaccio di sostanze stupefacenti, della malamovida, dell’abuso di alcolici, dell’occupazione e vandalizzazione di edifici e spazi pubblici e privati.” Risulta evidente la scelta politica adottata: lavorare sugli effetti di fenomeni sociali complessi anziché sulle loro cause. Una manipolazione che trae forza da una solida propaganda razzista e criminogena, che giustifica una serie di direttive e leggi securitarie che sin dal pacchetto sicurezza Maroni del biennio 2008-2009, passando per i Decreti Minniti-Orlando del 2017, alimentano forme di criminalizzazione secondaria delle persone che subiscono gli effetti del depauperamento del welfare e di ogni intervento di inclusione sociale.
La tendenza autoritaria
L’identificazione della fragilità sociale con la criminalità è un leitmotiv di un pensiero politico che porta alla giustificazione di norme securitarie e razziste. Questa logica non è esclusiva della destra, ma in questa fase politica assume una forte declinazione antidemocratica.
L’avvocata Federica Borlizzi in un contributo ripubblicato nella rivista Studi Questione Criminale (è possibile leggere qui la prima parte e qui la seconda parte) sottolinea come l’utilizzo da parte di questo governo del potere d’ordinanza prefettizio sia indice di una tendenza a consegnare sempre più nelle mani dell’esecutivo differenti sfumature di un potere di fatto legislativo in capo, secondo la Costituzione, al parlamento. Se da un lato le zone rosse ci parlano della militarizzazione della città a scapito di persone povere e con background migratorio in nome del decoro e della sicurezza, d’altro canto sono un ulteriore indice di una pericolosa deriva autoritaria che va a colpire un importante deterrente alle derive antidemocratiche: la divisione dei poteri. A colpi di decreti legge e di ordinanze da parte dei prefetti, sono colpiti diritti costituzionali come le libertà di circolazione o il diritto di protesta, come con il DDL Sicurezza ancora non approvato, con un lento svuotamento di senso del dibattito parlamentare.
Il deserto che avanza
Prove di autoritarismo razzista, o di razzismo autoritario, con una militarizzazione diffusa delle città che va anche al di là delle Zone Rosse, come dimostra il caso del Quarticciolo. Il quartiere del quadrante Est di Roma, tra le zone in cui sarà applicato il cosiddetto Decreto Caivano, si è espresso in un popoloso sit-in contro un modello securitario che oltre a colpire soggettività già marginalizzate, attacca anche ogni esperienza di partecipazione, di riappropriazione degli spazi e di emancipazione che attivisti, attiviste e chi opera nel sociale mettono in campo dal basso. Senza persone migranti, povere, senza aggregazione sociale e senza alcuna forma di resistenza dal basso: queste città-vetrina sono il miraggio di un deserto che avanza sui diritti di troppe persone e sulla salute della stessa democrazia.
Stefania N’Kombo José Teresa