
30 agenti del reparto mobile sono entrati così, di corsa, imbracciando scudi e manganelli all’interno della parrocchia di Santa Maria Maggiore di Vicofaro per far uscire sei persone migranti – tutte in condizione di fragilità – che vi avevano trovato ospitalità. Dal megafono la voce metallica e commossa del parroco urlava “Vergogna!”. E’ con questa immagine che la mattina del 1 Giugno ha trovato un triste epilogo l’esperienza di accoglienza informale di Vicofaro, portata avanti dal 2015 dal parroco Don Massimo Biancalani e che già in passato è stata pesantemente attaccata tanto da alcuni abitanti del quartiere pistoiese quanto dalle istituzioni.
Questa volta l’attacco è venuto dall’ordinanza di sgombero firmata dall’attuale sindaco di Pistoia a seguito di una segnalazione della ASL competente del luogo che ha denunciato la difficile situazione igienica della Chiesa. Il luogo ha ospitato in dieci anni più di cento persone, aiutandole spesso in percorsi di regolarizzazione dei documenti e inserimento sociale. 70 persone sono state ricollocate in altri centri a partire dalla metà di giugno, quelle rimaste, le più fragili dal punto di vista medico e di cui il parroco si è preso cura, sono state invece allontanate dalla chiesa il 1 luglio. Ora sono in attesa di ricollocazione.
In dieci anni molte persone sono state supportate in percorsi di regolarizzazione dei documenti e inserimento sociale. Nonostante ciò, l’accoglienza svolta da Don Biancalani non poteva essere definita perfetta, come il parroco stesso ha ammesso: già cinque anni fa, insieme ad ASGI e MEDU, è stato richiesto il supporto delle istituzioni, che dovrebbero garantire un sistema di accoglienza efficace. Ma la risposta arrivata dalle istituzioni è stata diversa: le persone migranti sono state ricollocate in altre strutture, con uno sgombero finale che è stato più un’esibizione di potere muscolare per il dispiegamento delle forze dell’ordine messe in campo, in assetto anti-sommossa.
Il ricollocamento, inoltre, non deve far pensare che le persone verranno effettivamente seguite e riusciranno ad ottenere dei documenti: come lo stesso parroco denuncia in un post del 25 Giugno su facebook in passato alcune delle persone ricollocate in altre strutture – 12 per l’esattezza – sono state poi detenute all’interno dei CPR. Una preoccupazione che rimane anche per le ultime persone che hanno trovato ospitalità da Don Biancalani e il cui destino, dopo quello che lo stesso parroco ha definito sgombero, sembra essere incerto.
Quanto accaduto a Vicofaro rappresenta un’ulteriore forma di attacco all’accoglienza come possibilità e alternativa a decenni di politica che ha parlato delle persone migranti come soggetti da allontanare dalla società e da rimpatriare. Un’accoglienza fatta dal basso, che vede le persone che attraversano le città e i quartieri al centro della ricostruzione – ma anche del ridisegno – del tessuto sociale. L’assenza del supporto delle istituzioni è purtroppo perfettamente comprensivo del silenzio in cui versa la situazione dell’accoglienza in particolare oggi, mentre continua ad essere depotenziata, mentre la si sacrifica per perseguire la logica del rifiuto e quando rimane in qualche piccolo posto viene soppressa con la polizia in tenuta antisommossa.
Non sappiamo cosa accadrà in futuro nel quartiere pistoiese, se il parroco Don Massimo Biancalani – a cui formalmente il Vescovo ha revocato la legale rappresentanza della parrocchia – tenterà di rimettere in piedi un nuovo spazio di prima accoglienza. Ciò che è certo è che c’è ancora una parte di società che non cede ad una retorica securitaria e razzista che mette contro le persone, la stessa che la scorsa domenica si trovava in quella Chiesa – credenti e non – per portare solidarietà a Don Biancalani e a tutte le persone che hanno attraversato quel luogo.
A messa finita è stata scattata una foto, tante persone dietro uno striscione con su scritto “Nessuno deve vivere per strada. Vicofaro. Santuario di Migranti!”. Un gesto semplice, che nel suo piccolo, può ancora ricordarci di un’accoglienza che fa rumore nel silenzio assordante in cui il razzismo istituzionale l’ha gettata.