
“Difendere Roma dai criminali d’importazione”, un concetto che si accompagna a quello che ormai è diventato uno slogan: “Remigrazione”. E’ un corso e ricorso storico quello delle destre che strumentalizzano fatti di cronaca nera per rilanciare la propria agenda politica, soprattutto quando questi fatti vedono le persone migranti come attori (reali o presunti) di reati. Il caso del furto e stupro avvenuto il 25 Ottobre di cui sono accusati tre giovani di origine straniera nel Parco di Tor Tre Teste e le relative indagini è uno degli episodi che ha scatenato le forze di estrema destra della capitale, che tra “ronde per la sicurezza”, banchetti ed iniziative stanno intensificando la loro presenza negli spazi pubblici della città.
CasaPound, proprio nel quartiere Tor Tre Teste, ha risposto con una manifestazione il 26 Novembre, qualche giorno dopo nello stesso quadrante si è mobilitata Forza Nuova con lo slogan “Non toccate le nostre donne”. Poi la giornata del 6 dicembre, in cui era prevista una piazza di Forza Nuova al Parco Sangalli alle 18, con ronda per il quartiere, e una contromanifestazione antifascista chiamate dalle realtà di Torpignattara e Pigneto nello stesso luogo alle 17.00. La sera prima, il 5 dicembre, il questore di Roma ha predisposto il divieto della manifestazione di Forza Nuova nella stessa giornata, per preavviso tardivo e per conflitto ideologico con le realtà che hanno chiamato la manifestazione antifascista. Il pomeriggio di Sabato 6 Dicembre, mentre si svolgeva il presidio antifascista al parco Sangalli, che ha dato voce al territorio, Forza Nuova ha ribadito sui propri canali social la volontà di “attenzionare” il quartiere di Torpignattara, territorio abitato da tantissime persone con background migratorio, annunciando una nuova “ronda” per la settimana successiva. Infine, la violenza che ha colpito nella notte di sabato scorso una studentessa di 23 anni nei pressi della fermata metro Ionio, che avrebbe indicato in tre uomini “di origine nord-africana” gli aggressori, ha indotto il leader della Lega a rilanciare la proposta della “castrazione chimica” per tutti gli stupratori.
L’ormai storico nesso creato ad hoc tra migrazioni e sicurezza urbana diventa ancora una volta terreno di scontro, non solo nel dibattito politico, ma nelle strade, nelle piazze, nei luoghi attraversati dalle persone comuni. Ed è lì che il termine “Remigrazione” viene tuonato con gran fracasso, come unica soluzione al clima di tensione che si sta vivendo ultimamente.
Già abbiamo avuto modo di parlare di come la Remigrazione sia diventata il leitmotif dell’estrema destra Europea, che in Italia viene ripreso tanto da chi sta al governo, come la Lega, quanto dalle realtà di estrema destra come Casapound e Forza Nuova. Non si tratta solo di uno slogan da palcoscenico o da manifesto, ma di un frame narrativo che entra nelle istituzioni, con nuovi decreti, richiesta di maggior polizia e varie ordinanze prefettizie, quanto nelle piazze e nelle strade.
Basta poco: un fatto di cronaca nera che coinvolge persone di origine straniera è sufficiente per aizzare interi quartieri con una forte densità di persone straniere e trasformarli laboratori politici in cui mettere in scena la narrazione che vede queste realtà le uniche interessate a difendere i territori laddove lo Stato non è in grado di farlo. Ronde, manifesti e volantinaggi: la retorica della sicurezza si trasforma in presenza fisica, proponendo la remigrazione come unica soluzione.
Questo tipo di performatività politica da parte delle destre ha il duplice obiettivo di radicare la loro presenza nei territori in cui sono presenti le contraddizioni causate da varie forme di esclusione sociale – prima fra tutti quella economica -, ma soprattutto di legittimare una cornice narrativa che è l’anticamera del razzismo strutturale che stiamo vedendo tanto a livello governativo quanto a livello europeo.
In questo contesto il termine “remigrazione” riacquista un significato chiave diventando il punto di fuga simbolico che ordina tutte le pratiche introdotte dalle destre nelle istituzioni statali ed europee – all’indomani dell’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri dell’Interno UE della propria posizione negoziale su paesi di origine sicuri e rimpatri nei paesi terzi – tanto nelle strade. Queste iniziative costruiscono la premessa narrativa secondo cui la presenza migrante rappresenta un’anomalia da correggere, il capro espiatorio perpetuo di fenomeni sociali complessi come la criminalità giovanile delle “baby gang” e dei “ma*anza”, il problema dello spaccio di droghe, o il sempreverde spauracchio del “patriarcato islamico”. La remigrazione, allora, si presenta come la soluzione necessaria e inevitabile a un problema che queste stesse forze politiche hanno contribuito a inventare, amplificare e performare.
In questo quadro, la città non è più un luogo di convivenza e di socializzazione, ma uno spazio da ripulire, da riorganizzare lungo linee razzializzanti e gerarchiche. Ed è proprio nei quartieri dove la presenza migrante è parte della vita quotidiana che questa retorica tenta di sedimentarsi, trasformando paure reali o presunte in razzismo, spostando il conflitto dalle cause sociali alle identità.
La remigrazione funziona così come un dispositivo politico che legittima la produzione di uno spazio urbano “a colori ridotti”, in cui l’insicurezza “percepita” diventa insicurezza creata, preparando il terreno alle forme più strutturali di razzismo istituzionale.
Nella vita quotidiana questo spesso si traduce in un acuirsi di tensioni che possono sfociare in sfiducia nelle istituzioni, ulteriori forme di discriminazione e marginalizzazione delle persone razzializzate fino a vere e proprie aggressioni razziste – come purtroppo è già accaduto proprio nello stesso quadrante della capitale. Ciononostante, è importante ricordarlo, vi è una parte di società che non vuole cedere alle soluzioni fallaci offerte dalle retoriche razziste, ma al contrario dimostra come sia possibile mettere in campo – anziché inscenare – un’altra idea di collettività in cui le origini, il credo religioso o altre caratteristiche personali non siano un fattore di discriminazione, ma solo testimonianza della pluralità di volti e esperienze che vivono le città.
In un contesto in cui “remigrazione” e “difesa del territorio” vengono proposti come strumenti per creare e poi governare la paura, l’alternativa reale non è la contrapposizione muscolare, ma la ricostruzione di un tessuto sociale che rifiuta l’idea stessa di essere diviso in identità incompatibili. Proprio in quei quartieri che si fanno territorio conteso arriva la risposta: quando lo Stato è assente e quando la politica preferisce alimentare gli spettri della paura, è lì che forme di solidarietà, mutualismo e relazioni di vicinato si dimostrano la vera alternativa alla propaganda securitaria e – bisogna ribadirlo – fascista.
E’ lì che si vede con maggiore chiarezza quanto sia fragile – e al tempo stesso pericolosa – l’illusione che una città possa essere “sicura” solo se resa più omogenea, più chiusa, più “bianca” e più armata. L’unica sicurezza possibile è quella costruita attraverso la garanzia dei diritti sociali, l’accesso ai servizi, al lavoro, alla casa, la creazione di spazi pubblici condivisi. Tutto ciò che la retorica della remigrazione, per sua natura, nega.
Foto in evidenza di Fabrizio Giansante per CFFC Roma, Manifestazione Antifascista del 6 Dicembre 2025 al Parco Sangalli, Roma










