Dunque, come e più di prima siamo tornati qui.
All’etnia e alla razza evocate da un ministro della Repubblica per circoscrivere e definire per antitesi l’identità italiana. Alla rievocazione del rischio di una sostituzione etnica per proporre un welfare rivolto ai soli cittadini “bianchi”. Alla celebrazione degli onori e dei confini della “nazione” per giustificare il rifiuto e il respingimento dei migranti diretti verso le nostre coste. E alla negazione delle radici antifasciste della nostra Costituzione.
Razzismo, xenofobia, nazionalismo, sessismo, omofobia e classismo si intrecciano perfettamente nell’operato di un Governo che non fa niente per nascondere le sue intenzioni. Anzi, le esplicita e le rivendica in modo chiaro, forte del consenso ottenuto alle urne.
Meno brillantemente rimosse sono invece le radici culturali e politiche nel fascismo, ma ciò sembra solo animare un ozioso dibattito mediatico più che sollecitare un’analisi attenta delle cause che ci hanno portato sin qui.
Se le destre al governo siano o meno alla ricerca di una propria “egemonia culturale” sembra una domanda mal posta: per quanto riguarda la gestione delle politiche migratorie e sull’immigrazione, la genesi e la riproduzione di discriminazioni strutturali e istituzionali, questa egemonia l’hanno conquistata da tempo, non solo nelle fasi in cui hanno governato il paese.
Semmai, spicca, rispetto al passato, una strategia politica più sofisticata che coordina in modo coerente ciò che si dice, si dichiara e si annuncia con ciò che si fa. La comunicazione mediatica, le riforme normative, le prassi amministrative e l’occupazione oculata degli spazi dell’informazione sembrano andare di pari passo. Proprio per questo possono produrre esiti pericolosi.
Lo stiamo già vedendo con le discriminazioni, le offese e gli insulti xenofobi e razzisti che in una chat, nelle aule chiuse di una scuola, sul vagone di un treno o nelle mura di condominio continuano a colpire quotidianamente migranti, rifugiati, rom e persone di origine straniera. Lo vediamo con crescente evidenza nelle prassi amministrative che ostacolano l’ottenimento del permesso di soggiorno e lo stesso diritto di chiedere asilo. E lo vediamo nel violento rilancio della criminalizzazione dei migranti, delle missioni di soccorso in mare e di ogni forma di solidarietà.
Tuttavia, sarebbe un errore trasformare i partiti dell’attuale maggioranza in un comodo alibi per declinare responsabilità che sono sedimentate nel tempo, trasversali e condivise, il cui riconoscimento è indispensabile per riaprire spazi politici, sociali e culturali per l’eguaglianza, la giustizia sociale e le pari opportunità.
Descriviamo dunque in un nuovo dossier alcune delle tendenze più recenti che caratterizzano l’evoluzione del razzismo nel nostro paese che ci sembrano meritevoli di attenzione.
Lo facciamo come sempre a partire dall’analisi dei 366 casi di discriminazione e di razzismo che abbiamo documentato nel 2022.
Ricordiamo le diverse declinazioni che ha assunto il razzismo istituzionale a partire da quelle messe in campo dal governo in carica.
Ripercorriamo il nuovo, breve e incompiuto percorso parlamentare di riforma della legge sulla cittadinanza.
Esemplifichiamo le stereotipizzazioni che attraversano la produzione e riproduzione dell’immaginario collettivo: dall’intrattenimento televisivo alle serie online, sino ad arrivare al mondo dello sport.
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