
Con grande dolore dobbiamo constatare che ancora una volta l’Europa ha ritenuto che le vite di circa 130 migranti non fossero poi così importanti.
Non possiamo non provare vergogna dinanzi alle immagini diffuse in rete e alla narrazione che Alarm Phone ha fatto di questa ennesima tragedia in mare (qui una ricostruzione dettagliata dei fatti di Nello Scavo su Avvenire) consumatasi al largo della Libia, dove già dall’inizio dell’anno hanno perso la vita 350 migranti (solo secondo i dati ufficiali e a noi noti, ndr). Alarm Phone ha trascorso ben 48 ore (da mercoledì mattina) a inviare mail alle autorità competenti affinché fossero attivati i soccorsi per tre barche in difficoltà in acque internazionali: una con 40 persone e due gommoni con a bordo tra le 100 e le 120 persone ciascuno. Durante queste maledette 48 ore si è chiesto aiuto invano e sono stati inviati messaggi disperati affinché qualcuno andasse a salvare queste vite in pericolo. “Temiamo il peggio. L’Unione europea e la Libia stanno lasciando morire le persone! Tutto il giorno abbiamo chiesto un intervento, ma hanno rifiutato”, aveva scritto ieri Alarm Phone.
Quando la nave umanitaria Ocean Viking della Ong Sos Mediterranee è giunta sul posto, dopo ore di ricerca, ha trovato solo il gommone rovesciato e, intorno, decine di cadaveri. Un gommone che aveva a bordo circa 120 persone. “Il mare era molto agitato – scrive oggi Sos Mediterranee – e potremmo trovarci di fronte a una probabile tragedia”. Le ricerche continuano, ma le speranze di trovare persone vive sono poche. Nulle anche le ricerche del barcone con 40 migranti a bordo.
Una tragedia “annunciata” che segue quella di qualche giorno fa, con una mamma e un bimbo morti che viaggiavano su un’imbarcazione stracarica, riportata in Libia e con gli occupanti costretti ora nei centri di detenzione dove subiscono abusi e violenze (da notare qui il titolo ossimorico laddove si asserisce che la Guardia costiera libica “salva” 104 migranti). E segue quella di una settimana fa, denunciata dall’Agenzia Onu per i Rifugiati (Unhcr) e dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim), quando i corpi di 41 persone, tra cui almeno un bambino, sono stati recuperati al largo della costa di Sidi Mansour, nel sud-est della Tunisia. E ancora, segue quella del 12 aprile, quando un barcone che portava almeno 60 migranti che cercavano di tornare a casa nel Corno d’Africa, si è ribaltata al largo della costa del Gibuti, e almeno 16 bambini e 27 adulti sono morti.
E potremmo continuare all’infinito.
La morte di centinaia di persone avviene sempre più spesso in un mare di indifferenza tutt’al più riempito qua e là di dichiarazioni retoriche.
E allora, oltre al dolore e al cordoglio per le vittime, ci invade anche un profondo senso di frustrazione e di impotenza al pensiero che appena due settimane fa, il premier Mario Draghi si era recato in Libia e aveva, incredibilmente, ringraziato per i “salvataggi in mare” la guardia costiera Libica.
Le partenze continueranno ad aumentare, con l’arrivo della bella stagione. E la Libia continuerà a violare i diritti fondamentali delle persone. Il rilancio di un’operazione di ricerca e di soccorso in mare pubblica sarebbe l’unica cosa da fare, ma non sembra questa l’intenzione delle autorità nazionali ed europee che ieri si sono voltate dall’altra parte.
Alessandro Porro, Presidente di Sos Mediterranee Italia, che era a bordo della Ocean Viking, intervenuta nel luogo del naufragio, ha pronunciato con amarezza parole dure: “Fosse cascato un aereo di linea ci sarebbero state le marine di mezza Europa, ma erano solo migranti, concime del cimitero mediterraneo“.
Come non dargli ragione?