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Cronache di ordinario razzismo

Cronache di ordinario razzismo

Cronachediordinariorazzismo.org è un sito di informazione, approfondimento e comunicazione specificamente dedicato al fenomeno del razzismo curato da Lunaria in collaborazione con persone, associazioni e movimenti che si battono per le pari opportunità e la garanzia dei diritti di cittadinanza per tutti.

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Musulmani in Europa discriminati per la loro professione di fede

26 Aprile 2012

Pubblichiamo qui di seguito il comunicato stampa di Amnesty International che annuncia l’uscita di un nuovo rapporto che analizza l’impatto delle discriminazioni operate ai danni dei cittadini di religione musulmana in Belgio, Francia, Paesi Bassi, Spagna e Svizzera.

 

“I musulmani sono ritenuti responsabili di ciò che accade in Medio Oriente e Africa del Nord. La gente mi ha insultato per strada o ha fatto commenti sgradevoli. Un uomo si è messo a gridare contro di me dicendo che avrei dovuto togliermi il velo. Sono cresciuta in Svizzera e credo che questo sia il mio paese. Non capisco perché gli altri cittadini si arrogano il diritto di trattarmi in questo modo.” (P., Svizzera)

In un nuovo rapporto pubblicato oggi, Amnesty International ha esortato i governi europei a fare di più per contrastare gli stereotipi negativi e i pregiudizi contro le persone di fede musulmana, soprattutto negli ambiti dell’istruzione e del lavoro.

“Per il solo fatto d’indossare abiti tradizionali, come ad esempio il velo, alle donne musulmane viene negato un posto di lavoro e alle ragazze viene impedito di seguire regolarmente le lezioni a scuola. Gli uomini possono essere licenziati perché hanno la barba, che viene associata all’Islam” – ha dichiarato Marco Perolini, esperto di Amnesty International sulla discriminazione. “Invece di contrastare questi pregiudizi, i partiti politici e i funzionari pubblici troppo spesso li assecondano nella ricerca del consenso elettorale”.

Il rapporto di Amnesty International, intitolato “Scelta e pregiudizio: discriminazione contro i musulmani in Europa”, illustra l’impatto negativo della discriminazione nei confronti dei musulmani, basata sulla loro religione o sulle loro credenze, su diversi aspetti della loro vita, compresa l’occupazione e l’istruzione.

Il rapporto si concentra su Belgio, Francia, Paesi Bassi, Spagna e Svizzera, dove Amnesty International ha già sollevato alcuni problemi, tra cui le limitazioni all’edificazione di luoghi di culto e il divieto di indossare il velo integrale. Il rapporto documenta numerosi casi di singole discriminazioni in tutti i paesi interessati.

“Indossare simboli e abiti religiosi e culturali fa parte del diritto alla libertà di espressione, del diritto alla libertà di religione e di credo. Questi diritti devono essere goduti dalle persone di ogni fede, allo stesso modo” – ha dichiarato Marco Perolini.

“Mentre tutti hanno il diritto di esprimere la loro cultura, che si tratti di tradizione o fede, indossando un abito specifico, nessuna persona dovrebbe subire pressioni o essere costretto a farlo. Divieti generali nei confronti di specifici tipi di abbigliamento violano i diritti di coloro che scelgono liberamente di vestirsi in un certo modo e non aiutano chi è costretto a farlo contro la sua volontà” – ha sottolineato Perolini.

Il rapporto di Amnesty International evidenzia la mancanza di un’adeguata applicazione delle norme che vietano la discriminazione in materia di occupazione in Belgio, Francia e Paesi Bassi. I datori di lavoro sono autorizzati a discriminare sulla base del fatto che simboli religiosi o culturali creeranno problemi coi clienti o coi colleghi o che risulteranno in contrasto con l’immagine aziendale o la sua “neutralità”.

Questa situazione è in contrasto con la legislazione antidiscriminazione dell’Unione europea, che consente trattamenti differenziati in materia di occupazione solo se espressamente richiesti dalla natura dell’impiego.

“La legislazione europea che vieta la discriminazione fondata sulla religione o sul credo in materia di occupazione sembra essere ignorata in tutt’Europa, come dimostra il tasso di disoccupazione più elevato rispetto alla media tra le persone di fede musulmana e soprattutto tra le donne musulmane di origine straniera” – ha commentato Perolini.

Nell’ultimo decennio in molti paesi, tra cui la Spagna, la Francia, il Belgio, la Svizzera e i Paesi Bassi, nelle scuole è stato proibito di indossare il velo o qualsiasi altro abito religioso e tradizionale.

“Qualsiasi restrizione relativa al fatto di indossare simboli religiosi e culturali nelle scuole deve essere basata sulla valutazione delle esigenze di ogni singolo caso. Divieti generali possono incidere negativamente sull’accesso all’istruzione delle ragazze musulmane e violare il loro diritto alla libertà di espressione e di manifestare le loro idee” – ha aggiunto Perolini.

Il diritto di istituire luoghi di culto è un elemento fondamentale del diritto alla libertà di religione o di credo: un diritto leso in alcuni paesi europei, nonostante gli stati abbiamo l’obbligo di proteggerlo, rispettarlo e farlo rispettare.

Dal 2010, la Costituzione svizzera vieta specificamente ai musulmani di costruire minareti, incorporando così gli stereotipi anti-islamici e violando gli obblighi internazionali che la Svizzera è tenuta a rispettare.

Nella regione spagnola della Catalogna, i musulmani devono pregare in strada perché le sale di preghiera esistenti sono troppo piccole per accogliere tutti i fedeli, mentre le richieste di costruire moschee vengono contestate in quanto incompatibili con le tradizioni culturali catalane.

Questa situazione lede la libertà di religione, che include il diritto di avere luoghi adeguati dove poter praticare collettivamente il proprio culto.

“In molti paesi europei, è assai diffusa l’opinione che l’islam e i musulmani vanno bene a condizione che non siano troppo visibili. Questo atteggiamento sta generando violazioni dei diritti umani e deve essere contrastato” – ha concluso Perolini.

Scarica il rapporto

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Filed Under: Approfondimenti Tagged With: amnesty International, discriminazione, musulmani, rapporto di ricerca

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