
Si chiamava Abel Okubor. E’ un nome che sicuramente non appare facilmente tra le righe degli articoli di giornali, di quelli che ci si stanca subito di pronunciare perché “difficile”. Eppure di Abel si è parlato molto in questi giorni: a soli 37 anni è venuto a mancare all’interno del Centro di Permanenza per il Rimpatrio di Restinco, periferia di Brindisi.
Richiedente asilo di origini nigeriane, Abel Okubor, come raccontato in un servizio del TGR3 era un bracciante che lavorava nel brindisino, il datore di lavoro era anche disposto ad assumerlo. Tuttavia ad un certo punto, come accade a molte persone di origine straniera, il suo status giuridico è cambiato e così anche la sua vita. La Commissione territoriale ha posto il diniego alla sua richiesta d’asilo. Proprio mentre stava per essere depositato il ricorso contro il diniego, il suo legale è venuto a mancare. La mancata presentazione del ricorso ha provocato la perdita del permesso di soggiorno. Ma a Gennaio, ingenuamente, Abel si è recato in questura per chiedere un supporto, pensando evidentemente di poter regolarizzare la propria posizione pur avendo ricevuto il diniego della sua domanda di asilo, e ha ricevuto un decreto di espulsione, con la conseguente detenzione nel CPR Restinco.
Dei giorni di detenzione non sappiamo nulla, sappiamo solo di come tutto sia finito nella notte tra il 1 e 2 Maggio, presumibilmente per un arresto cardiaco, l’esame autoptico deve essere ancora eseguito.
Non è la prima volta che accade, lo sappiamo: sono spesso eventi come questi che – insieme alle proteste come quelle a Torino lo scorso mercoledì – riaccendono i riflettori sulla detenzione amministrativa. Forse, proprio per questo, la morte di Abel non è stata menzionata nel corso di un’ispezione da parte del deputato Stefanazzi avvenuta il 2 Maggio, quasi a voler nascondere nuovamente le storture di un sistema da anni viene denunciato come sbagliato, tanatologico. Proprio da quell’ispezione, infatti, si riconfermano le condizioni drammatiche che vivono i detenuti: uso ingente di psicofarmaci, continui atti di autolesionismo e in aggiunta i trasferimenti randomici a cui sono stati soggetti alcuni detenuti verso l’Albania, senza alcuna previa informazione. Mentre l’ente gestore del CPR brindisino non ha ancora rilasciato una dichiarazione, il deputato Stefanazzi presenterà un’interrogazione parlamentare su questo episodio.
Il silenzio sulla morte di Abel Okubor, è lo stesso dietro quei trasferimenti – che forse bisognerebbe chiamare deportazioni – nei centri in Albania, lo stesso che da anni esiste su tutti i CPR e che da sempre le associazioni cercano di rompere.
Continueremo a rompere il silenzio, anche in ricordo di Abel Okubor, l’ennesima persona vittima di un sistema che non dovrebbe esistere.
Rest in Power.