
Secondo Unhcr al 21 Febbraio 2023 i profughi ucraini registrati in Europa sono 8 milioni, mentre sono circa 4,8 milioni le persone che hanno richiesto la protezione temporanea o forme analoghe di protezione in un paese dell’Unione Europea.
La decisione dell’Unione Europea di applicare ai profughi ucraini la Direttiva n.55/2001 sulla protezione temporanea, nonché le molteplici misure di solidarietà messe in campo hanno segnato una cesura con le politiche europee adottate in precedenza in occasione di crisi umanitarie altrettanto gravi come quella che coinvolse i rifugiati siriani nel 2015 o quella connessa alla decisione degli Stati Uniti di abbandonare l’Afghanistan nel 2021 (ne parlammo qui).
Anche in Italia le manifestazioni di solidarietà con la popolazione ucraina hanno attraversato subito il paese e misure straordinarie sono state approntate dal Governo per garantire l’accoglienza alle migliaia di profughi che si sono rifugiati nel Belpaese.
Sin da subito furono in molti a denunciare il rischio di creare un sistema di accoglienza a doppio standard che destina un trattamento diverso a coloro che cercano protezione nel nostro paese, a seconda che provengano dall’Ucraina o da altri paesi terzi. Bastano del resto i racconti di questi giorni a confermare come anche il mero avvio della pratica di richiesta di protezione abbia modalità e tempi molto diversi nei due casi.
E tuttavia, la speranza che l’accoglienza “straordinaria” riservata ai profughi ucraini potesse contribuire a migliorare il modello di accoglienza italiano nel suo complesso fu altrettanto forte. A distanza di un anno, quale è la situazione?
Alcuni dati sull’accoglienza
Secondo i dati del Dipartimento della Protezione Civile, sono circa 173mila le persone ucraine che hanno varcato le frontiere italiane e 171.739 (dati al 24 febbraio 2023) quelle che hanno richiesto la protezione temporanea. Tra queste ultime, 122.632 sono donne, 49.107 maschi, 61.919 minori. Le persone adulte (per lo più donne) con figli sono 38.937. Le regioni in cui risultano maggiormente presenti sono la Lombardia, l’Emilia-Romagna, la Campania, il Lazio, il Veneto, il Piemonte e la Toscana (sopra le 10mila). Sarebbero invece circa 50mila le persone che hanno deciso di tornare in Ucraina. Il ritorno non sarebbe solo causato dal più che comprensibile desiderio di ricongiungersi con i propri cari, ma anche dalle difficoltà riscontrate nella costruzione di un percorso di autonomia in Italia. Ad esempio, secondo i risultati di un monitoraggio svolto da Unhcr in collaborazione con Intersos tra novembre e dicembre scorsi su un gruppo di 1.531 rifugiati ucraini, solo l’11% avrebbe trovato un lavoro in Italia nonostante il livello mediamente elevato di istruzione. Proprio l’ambito dell’inserimento sociale e lavorativo sembrerebbe il principale tallone di Achille dell’insieme di misure adottate dal Governo per accogliere i rifugiati ucraini, come spiegano bene alcune storie raccontate da Annalisa Camilli su L’Essenziale qui. La barriera principale sarebbe quella linguistica. Ma non è l’unica.
Tra “innovazione” e coazione a ripetere
La grandissima parte dei cittadini ucraini rifugiati nel nostro paese ha scelto di rimanere fuori dal sistema di accoglienza, cercando sostegno presso amici e conoscenti già presenti nel paese. Sono infatti circa 131.000 le persone che hanno usufruito del contributo di sostentamento economico messo a disposizione dal Governo (300 euro mensili per adulto più 150 euro mensili per figlio) per tre mesi per coloro che hanno cercato una sistemazione autonoma. Quanto a coloro che sono stati inseriti nel sistema di accoglienza, secondo i dati presentati da Eleonora Camilli su Redattore Sociale, al 15 febbraio 2023 i rifugiati ucraini ospitati nei Centri per l’accoglienza straordinaria (Cas) erano circa 11.149, a fronte dei 3.266 accolti negli alberghi, dei 2.402 accolti nel Sistema di accoglienza e integrazione (Sai) e dei 2.162 inseriti nell’accoglienza diffusa (su 5.332 posti attivati con convenzioni con enti di terzo settore). Proprio l’accoglienza diffusa avrebbe dovuto rappresentare una delle misure più innovative adottate con il Piano di emergenza per l’Ucraina che, a differenza del passato, ha inserito nel circuito “ufficiale” anche l’accoglienza in famiglia. Purtroppo, i dati sopra citati evidenziano che anche nel caso ucraino l’accoglienza straordinaria effettuata nei Cas gestiti dalle Prefetture ha prevalso sulle altre forme di ospitalità. Tra i problemi principali denunciati da alcune organizzazioni di terzo settore, vi sono l’eccessiva burocrazia e il ritardo dei trasferimenti delle risorse. La centralizzazione della gestione del Piano di assistenza e emergenza presso il Dipartimento di protezione civile ha creato un’ulteriore frammentazione del sistema di accoglienza, complicandone anche la gestione dal punto di vista dello stanziamento, dell’allocazione e della gestione delle risorse.
A causa di questi limiti, l’innovazione, rappresentata dal maggiore riconoscimento rispetto al passato delle esperienze di accoglienza diffusa e in famiglia, non sembra aver scalfito il vizio che nell’ultimo decennio ha caratterizzato il sistema di accoglienza italiano: la preferenza per il sistema di accoglienza emergenziale offerto dai Cas gestiti dalle Prefetture (che non offre nessun percorso reale di inserimento sociale delle persone ospitate) a scapito del sistema di accoglienza diffusa sul territorio gestito dai Comuni che invece avrebbe proprio nella sua missione sociale (almeno nelle sue origini) quella di favorire un percorso di progressiva autonomia delle persone ospitate. Così, i dati relativi all’accoglienza del complesso dei richiedenti protezione internazionale e dei rifugiati, ancora oggi offrono un quadro immutato rispetto a dieci anni fa. Al 15 febbraio 2023 (Dati del Ministero dell’Interno), il 67,9% delle persone ospitate nel sistema di accoglienza risulta inserito nei CAS (72mila persone), mentre sono 33.244 le persone ospitate nei progetti gestiti dalla rete degli enti locali che hanno aderito al SAI – Sistema di Accoglienza e Integrazione (ex Sprar, ex Siproimi). Si tratta di una scelta non certo casuale ma coerente con una strategia istituzionale e politica che da molti anni ha scelto come priorità le politiche del rifiuto dei migranti, dei profughi e dei richiedenti asilo. Una strategia che il Governo di destra in carica è fortemente intenzionato a rafforzare in ogni modo possibile, con l’unica eccezione dei profughi ucraini.
Il prolungarsi del conflitto in Ucraina e la nuova crescita degli arrivi di migranti dal Sud del Mediterraneo richiederebbero un rafforzamento, una migliore programmazione e un maggiore coordinamento dei servizi di accoglienza e di inclusione sociale di tutte le persone che cercano protezione nel nostro paese. La strada intrapresa dal Governo e dal Parlamento in carica va in tutt’altra direzione, come lascia intendere molto bene la conversione in legge del pessimo Decreto-Legge n. 1/2023, volto a ostacolare in ogni modo l’operato delle Ong impegnate nelle missioni di ricerca e salvataggio in mare.