
Ha fatto molto discutere la proposta di assoluzione da parte del pubblico ministero della Procura di Brescia nei confronti di un uomo bengalese, accusato dall’ex moglie, sua connazionale, di maltrattamenti.
La giovane 27enne, che da tempo vive in Italia, nel 2019 ha denunciato l’ex marito per maltrattamenti raccontando, come riportato qui Il Corriere Brescia, di essere «stata trattata come una schiava: picchiata, umiliata, costretta al totale annullamento con la minaccia costante di essere riportata definitivamente in Bangladesh». Di recente, tuttavia, il PM ha chiesto l’assoluzione in quanto questo comportamento non sarebbe derivato dalla reale intenzione di ferire o annichilire la donna, ma da un impianto culturale che tollera un certo tipo di comportamento, laddove in Italia viene condannato. Si dichiara, infatti, che «i contegni di compressione delle sue libertà morali e materiali da parte dell’imputato sono il frutto dell’impianto culturale e non della coscienza e volontà di annichilire e svilire la coniuge per conseguire la supremazia sulla medesima, atteso che la disparità tra l’uomo e la donna è un portato della sua cultura che la medesima parte offesa aveva persino accettato in origine».
Questa proposta di assoluzione da parte del PM, qualora venisse accolta, costituirebbe senz’altro un grave precedente che può mettere in pericolo il diritto all’esistenza di tantissime donne, soprattutto quelle con background migratorio. Queste ultime, infatti, vivono spesso l’intersezione di due discriminazioni sistemiche, quella razzista e sessista, e non di rado argomentazioni razziste vengono utilizzate per delegittimare le denunce degli abusi subiti come donne, relegandoli a prassi ordinarie che sarebbero proprie di una determinata cultura. Infatti, quando testate come Panorama, contrapponendo le rivendicazioni femministe a quelle del movimento antirazzista, vedono questa vicenda come conseguenza de «l’annullamento del nostro essere in nome dell’accoglienza», bisogna precisare che l’episodio e in particolare la proposta del PM è espressione di una visione estremamente discriminatoria nei confronti delle culture altre. Trattare comportamenti violenti e che ledono i diritti di autodeterminazione di particolari soggettività, in questo caso le donne, come fatti legati a determinate tradizioni culturali e non come espressioni di una forma di violenza strutturale che si presenta in maniera trasversale, indipendentemente da luoghi o culture, è profondamente razzista, nonostante in questo caso l’argomentazione proposta sia stata utilizzata per assolvere un imputato con background migratorio.
L’idea a cui si fa riferimento è la solita, quella che mette in contrapposizione l’Occidente “avanzato e dei diritti umani” e l’Oriente “retrogrado dei maltrattamenti e delle discriminazioni”, considerando non solo le culture di riferimento di questi due poli opposti, ma il concetto di cultura in generale come qualcosa di monolitico e identitario e non la materia mobile che viene plasmata dal tempo e dalle esperienze di vita dei singoli membri della società. La postulazione dell’esistenza di uno “scontro fra culture” è l’argomentazione principale delle destre soprattutto quando si parla di violenza sulle donne, in particolare se compiute da persone di origine straniera. Già in passato abbiamo visto episodi in cui è stata proposta questa argomentazione. Ogni volta si omette di ricordare come anche nella nostra società si debba lottare costantemente contro le violenze patriarcali, che nel nostro caso vengono considerate come episodi eccezionali i cui crimini sarebbero compiuti da “mostri” e non come un problema strutturale e sistemico. I diritti delle donne sono strumentalizzati per giustificare idee razziste e coloniali, ben distanti dalle rivendicazioni femministe, manifestando in realtà la cosiddetta sindrome del salvatore bianco in cui la cultura occidentale assume un ruolo civilizzatore e salvifico nei confronti di persone provenienti da altri paesi.
Anche in questo caso, l’idea dello “scontro fra culture” ritorna in maniera strumentale nelle dichiarazioni dei politici, i quali, lungi dal tutelare la giovane donna, in quanto parte lesa, sono interessati a diffondere l’idea in base alla quale l’identità culturale italiana sarebbe intrinsecamente superiore a quella bengalese – in quanto cultura altra. Il vicepremier leader del Carroccio scrive sul suo profilo instagram che «La nostra cultura prevede il rispetto della dignità di ciascuno e ripudia comportamenti barbari. Chi aggredisce, insulta e stupra non può essere tollerato nella nostra società. E chi giustifica o ridimensiona, si commenta da sé», e altri esponenti del centrodestra hanno dichiarato di chiedere tramite interrogazione parlamentare un’ispezione alla Procura di Brescia.
Ciò che rimane da questa proposta di assoluzione è una visione sessista e razzista, che va a colpire la donna di origine bengalese che ha denunciato con una doppia violenza a cui non si può rimanere indifferenti. In questi giorni ogni notizia, può essere strumentalizzata come argomento per instillare la paura nei confronti dei migranti e delle persone di origine straniera, tentando di contrapporre le istanze attraverso domande provocatorie come “Dove sono le femministe?”.
E’ importante ribadire in ogni occasione che esiste un’altra parte di società che si oppone a queste retoriche e mentre si aspetta l’udienza che si terrà ad ottobre, le persone che lottano contro le discriminazioni e le violenze strutturali, fra cui le femministe, staranno sempre dalla parte di chi, come la giovane 27enne bengalese, la violenza la subisce, rifiutando ogni forma di sessismo e razzismo.
Foto originale di UN Women/Anindit Roy-Chowdhury; Fonte news.un.org