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Cronache di ordinario razzismo

Cronache di ordinario razzismo

Cronachediordinariorazzismo.org è un sito di informazione, approfondimento e comunicazione specificamente dedicato al fenomeno del razzismo curato da Lunaria in collaborazione con persone, associazioni e movimenti che si battono per le pari opportunità e la garanzia dei diritti di cittadinanza per tutti.

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Il DDL Delrio: quando una norma sull’antisemitismo rischia di essere discriminante

18 Dicembre 2025

Nei giorni scorsi è stato presentato alle Camere, a firma del parlamentare Delrio, un Disegno di Legge che ha suscitato numerose polemiche. L’obiettivo dichiarato, quello di rafforzare e aggiornare le norme contro l’antisemitismo, è apparentemente encomiabile. Il problema è che l’intero Disegno di Legge si fonda sulla proposta di recepimento nell’ordinamento italiano della definizione operativa di antisemitismo formulata dall’IHRA (the International Holocaust Rembrance Alliance) secondo la quale “L’antisemitismo è una certa percezione degli ebrei che può essere espressa come odio per gli ebrei. Manifestazioni di antisemitismo verbali e fisiche sono dirette verso gli ebrei o i non ebrei e/o alle loro proprietà, verso istituzioni comunitarie ebraiche ed edifici utilizzati per il culto.”

La parte più problematica, non sta tanto nella definizione di antisemitismo in sé, ma negli esempi applicativi che accompagnano la definizione, esplicitamente richiamati nella Relazione introduttiva del Disegno di Legge.

In particolare, i punti più criticati della definizione sono il 7 e il 10, che esemplificano, rispettivamente, l’antisemitismo come “fare paragoni tra la politica israeliana contemporanea e quella dei nazisti” e  “negare agli ebrei il diritto dell’autodeterminazione, per esempio sostenendo che l’esistenza dello Stato di Israele è una espressione di razzismo.” 

L’applicazione di questi due punti creerebbe una situazione giuridica senza precedenti, in cui una persona potrebbe essere condannata per aver criticato un altro Stato. Non solo, ma non si può non pensare anche al contesto in cui il fenomeno dell’antisemitismo si muove attualmente e alla complessa questione israelo-palestinese e il genocidio del popolo palestinese nella Striscia di Gaza, da parte dello stato di Israele stesso (confermato da diverse istituzioni internazionali.) 

La violenza contro le persone ebree in quanto tali è purtroppo ancora presente e non è mai giustificabile, ma è necessario distinguere il discorso o l’atto d’odio contro una persona o un gruppo perché di fede ebraica dalla critica a uno Stato per le politiche che conduce. E vietare quello che è un legittimo diritto di critica, potrebbe comportare la violazione dell’articolo 21 della Costituzione, che tutela la libertà di espressione e per mezzo stampa, andando a colpire quegli intellettuali che, soprattutto negli ultimi anni, criticano l’esistenza di Israele, definendolo uno stato coloniale (e, quindi, razzista). 

L’art. 3 del DDL modifica l’art.1 della legge 30 dicembre 2010, n.240 (Legge Gelmini), specificando che “i docenti e i dipartimenti universitari svolgono attività di ricerca anche in collaborazione con studiosi e dipartimenti di altre università italiane e straniere”. Evidentemente la norma è stata scritta pensando alla scelta adottata da parte di alcune università italiane di interrompere la loro collaborazione a progetti di ricerca direttamente finalizzati alla produzione, allo sviluppo o al perfezionamento dei sistemi d’arma svolti in collaborazione con le università israeliane.

L’Art. 4 del disegno di legge prevede di istituire all’interno dell’organismo di vigilanza delle singole università una figura responsabile che si occupi di monitorare i casi di antisemitismo.  La relazione introduttiva individua, infatti, negli ambienti universitari un contesto, in cui “sono sempre più evidenti fenomeni di antisemitismo”. Anche in questo caso, adottare una definizione di antisemitismo che ricomprende qualsiasi forma di critica delle politiche portate avanti dallo Stato di Israele, significherebbe attaccare i numerosi e legittimi movimenti di solidarietà con i Palestinesi e i pacifisti, che negli ultimi anni hanno fatto pressione per l’interruzione dei rapporti di collaborazione delle università italiane con le università israeliane e per fermare la generale complicità, anche solo indiretta, con i conflitti armati. 

Non è un caso che alcune delle posizioni più critiche del DDL siano state espresse da parte di docenti e ricercatori universitari e che un appello lanciato contro il disegno di legge, abbia raccolto 1200 firme solo nelle prime 24 ore. 

Intervistata da il manifesto, la professoressa associata dell’Università di Bologna Francesca Bianchini, spiega che: “La definizione adottata dall’IHRA nel 2016 andrebbe sostanzialmente a criminalizzare l’utilizzo di una serie di termini, ma anche di categorie analitiche, che in ambito accademico sono molto importanti ed usati, e non solo parlando di Palestina: colonialismo di insediamento, pulizia etnica, apartheid sono delle categorie di stampo comparativo che vengono utilizzate proprio perché lo studio di determinate dinamiche possa avere interpretazioni più ampie, sia a livello geografico che a livello di profondità storica.” 

Un tema affrontato dal disegno di legge è l’hate speech online e, in particolare, quello rivolto alla comunità ebraica. Si tratta di un problema reale, che ha la sua concretizzazione in un effettivo aumento dei discorsi d’odio antisemita sui social network, a partire dal 7 ottobre 2023. Ma ancora una volta il problema risiede nella volontà di voler applicare la definizione dell’IHRA anche ai contenuti pubblicati online e sulla risposta delle piattaforme. 

E gli ambienti digitali sono un altro luogo in cui si fa informazione e attivismo sul genocidio nella Striscia di Gaza: molte delle atrocità commesse dall’esercito israeliano sono state diffuse sui social proprio per contrastare la propaganda politica di Israele e sensibilizzare la comunità internazionale. 

Anche questa parte del Disegno di Legge (Art.2), dunque, rischia di ledere la libertà di espressione degli attivisti dei diritti umani e dei giornalisti o content creator che fanno informazione su questi temi, in un modo simile a quello che si è visto in passato, nei diversi tentativi, più o meno riusciti, di regolarizzare gli ambienti digitali. 

L’hate speech online, non solo in relazione all’antisemitismo, ma anche in generale al razzismo, è un fenomeno in crescita e che necessita della dovuta attenzione. Tuttavia, bisogna trovare il giusto equilibrio tra il contrasto ai contenuti discriminatori e la libertà di espressione di chi fa informazione o infotainment online; un disegno di legge così stringente, sembra non tenere in considerazione questa complessità strutturale dei social networks.  

In Italia c’è un problema di antisemitismo, così come più in generale c’è un problema di razzismo: è ciò che cerchiamo di portare alla luce con il nostro Database sui casi di razzismo in Italia. 

Il disegno di legge cerca di sopperire a un problema legislativo che esiste, cioè la mancanza di una definizione univoca di antisemitismo, ma non fa differenza tra antisemitismo, antisionismo e discorso d’odio, raggruppando tutti e tre questi concetti in unico gigantesco contenitore. 

Forse, prima di intervenire con nuovi disegni di legge, bisognerebbe provare a rafforzare e migliorare le norme esistenti, a partire dalla cosiddetta “Legge Mancino”. Per altro i contenuti violenti online non sempre rientrano nelle fattispecie previste dall’art. 604 bis del Codice Penale, che si limita a punire la propaganda e l’istigazione alla violenza solo se fondate su “motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi” o sulla negazione, minimizzazione, apologia della Shoah o dei crimini di genocidio.

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Filed Under: News, Primo piano Tagged With: Asgi, legge, razzismo, roma

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