Fanno riflettere le parole del Papa pronunciate domenica all’Angelus: “L’esclusione dei migranti è schifosa, è peccaminosa, è criminale, li fa morire davanti a noi. Non aprire le porte ai migranti significa mandarli nei lager dove sono sfruttati e sono venduti come schiavi”, ha dichiarato.
Appare come una voce “fuori dal coro”. Una sorta di nota stonata che va controcorrente. Già. Perché “dall’altra parte”, c’è chi urla l’esatto contrario. E lo fa anche con una grande campagna mediatica. Titoli ad effetto che si ripetono tutti i giorni. Un balletto di numeri che si diffonde dalla stampa locale a quella nazionale.
Il 5 ottobre, il quotidiano il Giornale intitola: “Continuano gli sbarchi a raffica: oltre 350 migranti in 24 ore” (il Giornale, 5 ottobre) proponendo argomentazioni diverse fra loro, ma con l’unico scopo di “criminalizzare” l’altro, il diverso, il migrante. Infatti, si passa abilmente dalle cifre sugli sbarchi ai dati sulla criminalità, che a detta del quotidiano vengono dimostrati dai “reati frequenti e dalla percezione di insicurezza dei cittadini, ma anche dai dati sul riempimento delle carceri italiane, dove molti degli occupanti sono di nazionalità straniera”. Per poi passare alla polemica sui dati “di un’indagine volta a stanare le frodi allo Stato”, grazie alla quale “sono stati individuati 141 migranti che percepivano indebitamente il reddito di emergenza”, perché ospiti di strutture di accoglienza.
Sabato 8 ottobre, il Giornale ritorna sul tema con: “La cifra choc dell’invasione: 72mila clandestini arrivati in nove mesi”, sviscerando i dati sugli ultimi sbarchi e illustrando gli ultimi dati prodotti dal Cruscotto del ministero degli Interni (riutilizzando il termine “clandestino”, ndr), concludendo: “Impossibile negare, davanti a questi numeri, che vi sia un’emergenza in atto”.
Come dargli torto? Certo che vi è una emergenza in atto, ma si tratta di una emergenza strutturale e cronica che oramai da anni affanna il nostro sistema di accoglienza, e non solo. È una emergenza a tratti selettiva, che sbandiera il numero degli arrivi, senza però evidenziare anche il dato su quelle persone che in Europa non arriveranno mai, perché hanno perso la vita nella traversata.
Il fatto di riproporre continuamente il tema dei numeri sugli sbarchi e sul sovraffollamento dei centri di prima accoglienza non ha nessun altro effetto, se non quello di fomentare ostilità contro i migranti a favore del loro respingimento. Oltretutto, molti dei migranti che riescono a sbarcare vengono direttamente condotti nei CPR per avviare la procedura di rimpatrio.
Soltanto pochi giorni fa, in occasione della Giornata Nazionale della Memoria e dell’Accoglienza, si ricordava l’enorme strage del 3 ottobre 2013, quando in un terribile naufragio al largo di Lampedusa, persero la vita 368 persone, tra cui 83 donne e 9 bambini.
Ogni anno i dati sono sempre più implacabili, ma di fatto non cambia mai nulla. Dopo quella tragedia, che fece dire a tanti “mai più” (ma in realtà lo hanno poi ridetto altre volte), hanno perso la vita nel Mediterraneo quasi 25.000 migranti e rifugiati, circa 20.000 dei quali sempre lungo la rotta del Mediterraneo centrale. Solo nel 2022, sono già 1.400 le persone morte in mare o disperse. Di queste, l’84% sulla rotta del Mediterraneo centrale, che si conferma come una delle più pericolose a livello globale. Inoltre, lungo questa rotta passano moltissimi minori, tra cui tante ragazze, le più esposte al rischio di sfruttamento e violenze.
Soltanto il giorno prima delle commemorazioni, il 2 ottobre, c’è stato un nuovo naufragio di migranti, questa volta al largo delle Canarie, con almeno 4 persone morte, 29 disperse e un sopravvissuto. Ed è di oltre 80 dispersi il bilancio di altri due naufragi avvenuti fra il 6 e il 7 ottobre nelle acque della Grecia. Lo riferiscono i media locali, precisando che il primo episodio è avvenuto al largo dell’isola di Kythira, dove circa 70 persone risultano disperse e 30 persone sono state salvate e riportate a terra al porto del villaggio di Diakofti. Intanto, il portavoce della Guardia costiera greca ha comunicato che, dopo il naufragio al largo dell’isola di Lesbo, sono stati recuperati i corpi di almeno 22 migranti, tutte donne apparentemente di origine africana, nove sono stati tratti in salvo ed altri 14 risultano ancora dispersi. Nelle stesse ore, in un altro naufragio, avvenuto nelle acque delle coste tunisine, tre migranti sono morti, e altri 14 sono dispersi alla deriva.
Sempre in questi stessi giorni, la Procura di Roma, nell’ambito del processo per il “naufragio dei bambini”, altro drammatico evento dell’11 ottobre del 2013, in cui morirono 268 persone tra cui 60 minori, ha chiesto l’assoluzione dei due ufficiali imputati. Un altro naufragio che ha cambiato la storia del Mediterraneo, quando, nove anni fa, un peschereccio blu con quattrocentottanta siriani a bordo, tra i quali almeno cento bambini, si è ribaltato a 60 miglia a sud di Lampedusa e a 120 miglia da Malta.
L’assuefazione a tali stragi ci indurrebbe cinicamente a dire che non c’è nulla di nuovo dinnanzi a tutto ciò. Purtroppo, è una triste verità. In tutti questi anni trascorsi, abbiamo visto ripetersi ciclicamente una lunga serie di naufragi, a seguiti dei quali, quei corpi esanimi riversi sulle spiagge o dispersi nel mare, rappresentavano anche il naufragio delle loro speranze e di tutti coloro che partono alla volta dell’Europa auspicando una vita migliore. E con le loro speranze affondano anche quelle di chi crede che ci sia una possibilità di offrire una accoglienza degna di questo nome.
L’Europa resta muta e attonita, innalza muri e fortifica le frontiere, e poi piange sul latte versato. Fino a quando i flussi migratori saranno considerati una “emergenza”, centinaia di persone continueranno a morire.
Eppure, con un cambiamento radicale delle politiche migratorie, sull’asilo e in materia di accoglienza, potremmo fermare questo massacro. Non farlo è una scelta. Disumana e irresponsabile.