
Le accuse sono molto pesanti: lesioni aggravate, peculato, falso ideologico e abuso di potere. Ipotesi di reato accompagnate da una chat su Whatsapp denominata “quei bravi ragazzi” in cui si vantavano dei loro pestaggi; dalla pratica del “sussurro”, con cui provocavano la reazione delle vittime per giustificare le condotte violente; dall’utilizzo in servizio di manganelli che non erano abilitati ad usare; da insulti razzisti quando ad essere colpite erano persone straniere, dall’accensione delle body-cam posticipata per occultare i comportamenti illeciti e dalla falsificazione dei verbali dei fermi effettuati.
Quanto confermato da parte di tre persone coinvolte nel corso di un incidente probatorio a Genova, in un’udienza svolta il 7 luglio scorso davanti al Giudice per le Indagini preliminari, è gravissimo: 15 agenti della polizia locale (11 uomini e 4 donne) per alcuni mesi (almeno tra il Capodanno 2024 e il 28 febbraio 2025), avrebbero picchiato, insultato, deriso, derubato persone vulnerabili, tra le quali alcune straniere, convinti di essere intoccabili. “Tanto è la sua parola contro la nostra che siamo pubblici ufficiali”.
La segnalazione e le prime testimonianze
Secondo quanto ricostruito da alcuni organi di stampa, le indagini sarebbero partite a seguito della segnalazione dei comportamenti di alcuni colleghi effettuata nell’ottobre 2024 da parte di due vigilesse all’ex assessore alla polizia locale. Dopo lo svolgimento di un’indagine interna, il Comandante dei Vigili avrebbe inviato una nota informativa alla Procura di Genova alla fine di novembre 2024. Da qui l’apertura di un’inchiesta da parte della procura che l’ha affidata alla squadra mobile.
Grazie all’incrocio tra le informazioni fornite dalle due vigilesse, i contenuti della chat parallela utilizzata dal gruppo dei “bravi ragazzi”, le immagini girate da alcune telecamere di sorveglianza e i referti medici, sarebbero emersi riscontri dettagliati di un utilizzo “spregiudicato e sistematico” della violenza.
Il racconto delle tre persone sentite ieri dal Gip, tre uomini stranieri di 31, 36 e 45 anni, è molto dettagliato e parla di pugni, colpi di manganello, cellulari rotti e furti, con ferite che hanno causato prognosi di tre, cinque e ventuno giorni.
Nel primo caso, nel corso di un’operazione di sgombero, forse effettuata senza la preventiva determina del dirigente, sarebbero stati presi anche 1200 euro.
Nel secondo caso, un uomo sarebbe stato fermato perché sospettato di un furto in autobus (lo scorso aprile è stato assolto), picchiato, prima nell’auto di servizio, poi presso gli uffici del comando dei Vigili, dove avrebbe ricevuto anche insulti razzisti. Alla richiesta di essere portato in ospedale per le ferite riportate gli sarebbe stato risposto “Decidiamo noi”. Sul verbale gli agenti avrebbero scritto che le ferite sarebbero state provocate da atti di autolesionismo. Il referto medico, che ha diagnosticato una frattura nasale multipla e un trauma lombare, non riporta la dichiarazione con cui l’uomo avrebbe chiarito in ospedale che gli autori erano stati degli agenti.
Nel terzo caso, il fermo sarebbe avvenuto in piazza a Capodanno 2024, dopo la restituzione alla proprietaria di un telefono caduto a terra. Gli agenti avrebbero fatto inginocchiare un uomo colpendolo con un manganello, definendo anche in questo caso nel verbale, le lesioni riportate “atti di autolesionsimo”.
Le indagini sono ancora in corso: spetterà alla magistratura accertare se ci sono stati altri casi oltre a quelli già emersi. Intanto nel giugno scorso, in attesa di valutare l’opportunità di adottare ulteriori provvedimenti, qualora vi fosse un rinvio a giudizio degli indagati, il Comune di Genova ha destinato i 15 agenti coinvolti nell’inchiesta ad altre mansioni, non operative.
Società, magistratura e politica: diversi ruoli e diverse responsabilità
La nuova Sindaca di Genova ha annunciato in una conferenza stampa una riorganizzazione e una ridefinizione delle competenze della polizia locale, prendendo le distanze da una visione meramente “muscolare” della sicurezza urbana. Se l’annuncio verrà messo in pratica, sarà un segnale incoraggiante e in contro tendenza. Il progressivo ampliamento dei poteri dei Sindaci in materia di “decoro” e sicurezza urbana è divenuto infatti evidente con l’emanazione di molteplici ordinanze comunali dal 2007 in poi, ma è stato evocato nel dibattito pubblico e mediatico almeno a partire dalla seconda metà degli anni ’90.
Il modello di riferimento è stato per anni, per i Sindaci di qualsiasi colore, quello della “tolleranza zero” di Rudolf Giuliani, Sindaco repubblicano di New York dal 1994 al 2001 (si vedano i contributi di Sergio Bontempelli e Marcello Maneri nel nostro primo libro bianco sul razzismo in Italia qui).
Benché si continui a negarlo, soprattutto a livello istituzionale, abbiamo un grandissimo problema: nel nostro paese l’operato delle polizie locali e delle forze dell’ordine in generale resta un tabù. Chiunque osi denunciare abusi e violazioni deve prepararsi a valicare un ostacolo dopo l’altro e a subire pressioni psicologiche, sociali e politiche, fortissime.
Ricordiamo ad esempio ciò che successe a Parma nel lontano settembre 2008 a Emmanuel Foster Bonsu, fermato e detenuto ingiustamente e selvaggiamente picchiato da un gruppo di vigili urbani. Per ottenere giustizia Bonsu ha dovuto attendere dieci anni. L’ha ottenuta dopo aver deciso di lasciare l’Italia senza che il Sindaco che governava la città nel 2008 gli abbia mai chiesto scusa (chi volesse rileggere questa storia di razzismo istituzionale può farlo qui e qui).
E ricordiamo anche le reazioni ripetute di indignazione delle più alte cariche dello Stato a seguito della pubblicazione dell’ultimo rapporto dedicato all’Italia della Commissione Europea contro il Razzismo e l’Intolleranza (Ecri), colpevole di aver suggerito la realizzazione di un’indagine indipendente sulle pratiche di “profilazione etnica”.
Le due vigilesse di Genova non hanno fatto niente di straordinario, ma in un paese come il nostro, la loro scelta rappresenta l’eccezione. Naturalmente, i loro colleghi indagati hanno dichiarato di “non ricordare”.
Sarà compito della magistratura accertare i fatti e le responsabilità a livello giuridico. Ma spetta a noi tutte e tutti ribellarci contro gli abusi, le ingiustizie e l’uso violento del potere, a qualsiasi livello e qualunque forma assuma.
Spetta a noi rifiutare l’idea che chi riveste il ruolo di un pubblico ufficiale possa sentirsi intoccabile, titolare di un diritto all’impunità che la nostra Costituzione non gli ha mai attribuito.
E spetta alle forze politiche democratiche lanciare un messaggio chiaro, forte e preciso di rottura: mostrando immediatamente e senza ambiguità vicinanza alle vittime degli abusi e abbandonare una volta per tutte un modello di governo del territorio che ha trasformato i Sindaci in Sceriffi. Un modello che non ci “protegge”, non si prende cura delle nostre città e non riesce a farci vivere meglio.