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Cronache di ordinario razzismo

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Cronachediordinariorazzismo.org è un sito di informazione, approfondimento e comunicazione specificamente dedicato al fenomeno del razzismo curato da Lunaria in collaborazione con persone, associazioni e movimenti che si battono per le pari opportunità e la garanzia dei diritti di cittadinanza per tutti.

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Francesco: un santo in camicia stretta

17 Novembre 2025

di Giuseppe Faso

Poche voci, e non sempre bene intonate, si sono levate per discutere l’operazione in atto da parte della maggioranza di governo, e in particolare della presidente del consiglio dei ministri, su Francesco d’Assisi. Si è avviato, ed è ormai quasi concluso un percorso parlamentare per proclamare “festa nazionale” la ricorrenza di San Francesco. E la premier italiana ha citato all’Onu San Francesco, in un modo che ha sbigottito chi legge, studia, rispetta Francesco d’Assisi e cerca di trarre insegnamento da lui. 
Interrogare (anche) Francesco è salutare e urgente. Citarlo come autorità per parlare di sé espone a gravi incongruenze chiunque lo faccia. Cercare di avvalorare quanto si dice facendo riferimento a una fonte non verificata o poco rispettata si chiama strumentalizzazione. Tale abitudine è una croce degli studi francescani, tanto che anni fa uno degli studiosi più credibili ha scritto che “appropriarsi di qualcuno significa ovviamente appropriarsi di un qualcuno come si vuole che egli sia” (Grado Giovanni Merlo, Frate Francesco, Il mulino 2013). Francesco come vuole che sia chi lo cita.

Si dirà, ed è vero, che la presidente del consiglio ha trovato la frase attribuita a Francesco (su internet) in un discorso di papa Francesco. 
La frase ripetuta è la seguente: «i combattimenti difficili vengono riservati solo a chi ha un coraggio esemplare». Non si tratta di una frase sicuramente detta da Francesco, ma di una a lui attribuita. 
Papa Bergoglio ne indicava la fonte, le “Fonti Francescane”, e anche la pagina, ma senza precisare l’edizione di cui si era servito. Non è importante affannarsi a controllare sulle numerose pubblicazioni delle “Fonti”. È comunque utile rendersi conto che non tutte le frasi che vi vengono attribuite a Francesco sono autentiche. Basterebbe ricorrere a una delle numerose “chiavi di letture” delle fonti stesse -ad esempio, chiave_di_lettura_delle_fonti_francescane – OFS Piedigrotta – per provare a evitare sfracelli, per esempio “non considerando il linguaggio di quelle fonti e le sue particolarità storiche e semantiche, o il contesto storico, religioso, ecclesiale e sociale”, o il tipo di testo: è un testo di San Francesco, attribuito a lui, qualcosa che di lui narra qualcuno? Una voce diretta o indiretta? Ma nonostante queste avvertenze, “Fonti francescane” per il loro stesso carattere accumulatorio “vengono messe a disposizione per un acritico saccheggio e un disinvolto sfruttamento, senza che siano enunciati per lo meno taluni principi esegetici e una elementare gerarchia delle fonti” (Grado Giovanni Merlo, op. cit.). 

Vi ha mostrato indulgenza persino il papa che coraggiosamente si è chiamato Francesco, e il Francesco di Assisi che lui cita è infatti come il papa vuole che egli sia, un buon parroco che incita i fedeli a un “combattimento spirituale”; Bergoglio riduce comunque il rischio di una strumentalizzazione, illustrando il contesto in cui la frase è stata detta e la sua funzione, e riprendendo anzi questa funzione pratica, che consiste in un incoraggiamento nell’aiuto che il Signore dona per superare le tentazioni e non sentirsi inferiori al proprio compito (e cioè pusillanimi, come avrebbe detto Tommaso d’Aquino). La frase del resto non è scorciata e sconciata, ma riportata da Bergoglio per intero: «Molti si lusingano per meriti accumulati in lunghi anni, e godono di non avere mai sostenuto prove. Ma sappiamo che il Signore ha tenuto in considerazione la loro debolezza di spirito, perché ancor prima dello scontro, il solo terrore li avrebbe schiacciati. Infatti i combattimenti difficili vengono riservati solo a chi ha un coraggio esemplare». Si osservi che sostenere prove voleva dire essere tentati dal demonio, come temeva l’interlocutore cui Francesco d’Assisi si sarebbe rivolto nell’aneddoto sfruttato. 

Non così rispettosa è stata la premier, che ha ritagliato una parte minima del discorso attribuito a Francesco per adattarla a un contesto assai distante. Non si dirà mai dignitosamente che cosa farebbe o direbbe Francesco in una situazione, ma certo questa situazione decontestualizzata gli è estranea. A che serve allora citarlo? Serve, appunto. Francesco viene usato perché conferisce autorità davanti a interlocutori ritenuti incapaci di rifiutare queste evidenti forzature (o per scarsa intelligenza o per obblighi diplomatici), e per avvalorare un passaggio retorico alla fine di un continuo rovesciamento di ogni buon senso su vari temi, tra cui le migrazioni incontrollate, le magistrature politicizzate, l’ecologismo insostenibile, la globalizzazione fideistica. Tutte preoccupazioni della premier. Citare Francesco alla fine di questi sproloqui in cui si parla solo di sé stessi non è elegante né rispettoso. Per giungere a tanta mancanza di rispetto la presidente del consiglio deve piegare su un gesto irriflesso, uno dei tanti, come accade a quelli cui scappa il saluto romano: “il più italiano dei Santi”, lo chiama. Così lo abbiamo sentito chiamare anche da Mussolini, all’interno di una campagna di uso fascista della storia (e in particolare delle stimmate: le “stigmate littorie” di cui parla Sergio Luzzatto in un libro assai istruttivo su Padre Pio). Certo, Mussolini citava una battuta di Vincenzo Gioberti: ma non sarà male che se ne ricostruiscano i contesti, per misurare anche la diversità del grado di strumentalizzazione tra Gioberti e Mussolini, Mussolini e Meloni.

Ora, il peggio della definizione mussoliniana ripresa dalla presidente del consiglio non sta nel fatto che è fascista: quello è il minimo. È ridicola, ed è infalsificabile: le due cose si intrecciano. Chi non ne veda il ridicolo, povero/a lui/lei. Sulla non falsificabilità, e quindi inaccettabilità, del giudizio, forse è meglio soffermarsi. Ma come hanno fatto, prima Gioberti, poi Mussolini e infine la presidente del consiglio, a misurare l’italianità di tutti i santi e poi attribuire il primato a Francesco? L’italianità stessa di Francesco è cosa difficile da sostenere, nonostante il titolo di un libro futile quanto furbo, che ha e continuerà ad avere buon mercato. L’autore aveva appena lanciato (“sul mercato sottostante”, cantavano Cochi e Renato) una vita di Dante sotto il segno, guarda un po’, dell’italianità. Come le birre “indiscutibilmente italiane” che riempiono gli scaffali dei supermercati, e lo sperpero di tricolori sulle plastiche di metà della merce.

Una trentina di anni fa, Benigni, prima di inventare tourné redditizie e noiose sulla lettura di Dante o di inneggiare a Mameli, introducendo una bella lettura del Canto V dell’Inferno si fece scappare una genialata rivelatrice: Dante è un italiano atipico, come Goethe è poco tedesco e Shakespeare poco credibilmente inglese. Da decenni si pratica un gioco durante le formazioni degli operatori dell’accoglienza: l’italianometro. Si traccia una riga per terra, si stabilisce il verso e si chiede ai partecipanti di chiudere la bocca e disporsi pian piano, anche guardando in faccia gli altri che fanno la stessa operazione, sulla linea, secondo il proprio presunto grado di italianità. È un gioco assai istruttivo, che decostruisce, come è necessario, molti gesti irriflessi. Non ce lo vedo, Francesco, tornato tra noi col dono beatifico della atemporalità (ai suoi tempi “italiano” non significava nulla o quasi), a partecipare al gioco e situarsi. 

E la cosa mi fa sorridere di tenerezza per lui. Già, perché solo a pensarla seriamente, una cosa così (quanto è italiano Francesco?) pone dei problemi, induce a qualche vergogna, suggerisce che stiamo rovesciando il senso di un’operazione dignitosa: che non è chiedersi che ne è di Francesco rispetto a noi, ma di provare a interrogarsi su cosa ne è di noi rispetto a Francesco. Rispetto a quello che ha detto (poche sicurezze), che ha fatto (qualche indicazione in più), che si proponeva di fare (e qui non mancano solidi documenti autentici su cui riflettere). 

La storia si ripete, e dopo la fascistizzazione di Francesco – su cui è facile informarsi sulle ricerche di Menozzi, Accrocca, Luzzatto e magari sulla biografia divulgativa di uno storico attendibile come Alessandro Barbero e sul recente Santi in camicia nera del giovane David Recchi – di nuovo ci si prova a decidere che cosa sia essere italiano, che cosa sia il carattere italiano, e su quello ad appiattire e involgarire Francesco. 

Sarà meglio fare un passo di lato e interrogarsi su quanto possa risultare plausibile definire l’italianità. Non mancano le dichiarazioni su cui confrontarsi, magari per dissentire, prendere le misure, cercare di pensarci seriamente. Di “esprimere il meglio – l’amore per il prossimo, il rispetto per tutte le creature, la cortesia, il buon umore – dell’animo degli italiani” parla la fascetta editoriale della biografia di cui sopra: ci si chiede dove viva il suo autore. “Infantile, opportunista, simpatico, adattabile, ingegnoso, vigliacco, furbo, egoista, generoso, narcisista” scriveva pochi anni fa Sebastiano Vassalli dell’italiano. Con minore baldanza, e assai più aperture cognitive, si esprimeva quasi due secoli fa Carlo Cattaneo, ridicolizzando le differenti immagini dell’italiano che intellettuali tra loro diversi si apprestavano a educare, “come se la nazione fosse una materia prima, senza opinioni, senza antecedenze, senza volontà” (Cattaneo, Scritti, Sansoni 1957, p.381). Incontriamo qui la trappola perfetta, quel concetto di nazione su cui si è rimessa mano negli ultimi anni (e che la premier ripete in ogni occasione di volere guidare, quando altri sarebbero i suoi compiti). Certo, inventarsi il carattere di un gruppo esteso di individui è spesso l’effetto di un progetto di nazione da plasmare. E passa da paese a nazione chi è interessato a riproporre modelli e percorsi infausti, di cui abbiamo già visto gli esiti spaventevoli. E infatti tra tutti gli slogan pseudofrancescani circolanti su internet alla premier è tornato utile quello che – col richiamo al “coraggio esemplare” cui Francesco avrebbe evocato, profetizzando il suo coraggio, suo di lei – di più si avvicina alla parola del Duce, quando parlava di Francesco come del “sublime suscitatore”: le indicazioni del passo sono sui libri di storia, e ci saranno ancora tra pochi decenni, con l’aggiunta stupita che gliel’abbiamo lasciato dire, e più di una volta.

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