Dopo 5 anni e mezzo, la svolta: arriva l’archiviazione del procedimento penale nei confronti dei due dipendenti della Lidl di Follonica (Grosseto), un trentenne e un quarantenne. I due, nel febbraio del 2017, con l’aiuto di un terzo collega, avevano rinchiuso due donne di origini rom in un gabbiotto dei rifiuti del supermercato, per poi riprenderle in un video, con in sottofondo insulti, ghigni e risate di scherno.
Quel video, inoltrato dapprima in una chat whatsapp, è poi diventato virale sul web (qui è ancora possibile rivedere il video), divulgato da ignoti. Quel video fece indignare tanta gente. Noi compresi (si vedano questi due articoli pubblicati qui e qui).
Un video che evidenziava un atto brutale e disumano. Le forze dell’ordine avevano aperto un procedimento per sequestro di persona (secondo l’articolo 605 del Codice penale), con l’aggravante “per discriminazione razziale, etnica e religiosa”. E alla pressoché inesistente reazione delle forze politiche di sinistra, avevano fatto grande eco commenti, dichiarazioni e iniziative di solidarietà agli aggressori da parte di esponenti politici di destra (primo fra tutti il leader della Lega e i suoi post sulle “rom frugatrici”), molti avventori del supermercato e tantissimi utenti dei social.
Di conseguenza, sin da subito, anche l’opinione pubblica si era divisa tra chi definiva l’episodio un chiaro esempio di razzismo, e chi lo sminuiva, definendolo una “bravata”. Ciò che ha colpito della vicenda, al di là dell’atto di violenza, è stata la viralità della diffusione del video sulle piattaforme social: centinaia di condivisioni, migliaia di commenti, milioni di visualizzazioni, a rimarcare il diffuso e misero gusto razzista di veder soffrire due donne (rom) in una gabbia.
La campagna mediatica proposta dai “soliti” quotidiani aveva insistito e sottolineato lo scivolamento semantico verso il “burlesque”, in difesa ad oltranza dei due lavoratori (il quotidiano Libero, nel suo editoriale di Feltri del 14 settembre 2017, parlava appunto di “burloni e non delinquenti”, “linciati dai media, come se fossero stati dei terroristi”). Addirittura, si invitava a «chiedere scusa» ai due ex dipendenti di Lidl che, proprio a causa della loro “bravata”, avevano perso il lavoro.
Era il momento in cui le “ruspe” virtuali e reali venivano acclamate contro i migranti. Nel Quarto libro bianco sul razzismo in Italia, avevamo dedicato un primo approfondimento al caso (Follonica: la gabbia del disprezzo, di Anna Dotti). Siamo ritornati a parlarne nell’ultimo libro bianco, il quinto (Umanità in trappola. Il caso delle due donne rom rinchiuse in un gabbiotto dei rifiuti a Follonica di Roberta Salzano) proprio per ribadire la gravità di questo episodio.
Il tempo in questo caso non è stato galantuomo con noi, anzi.
Vedere arrivare oggi una archiviazione è una grossa sconfitta per l’umanità. E leggendo le motivazioni addotte dai giudici, lo è ancora di più.
Il Pm Giampaolo Mechionna, a maggio del 2021, aveva chiesto l’archiviazione dell’aggravante razzista, sostenendo che “pur assumendo la condotta indubbi profili di riprovevolezza, non sembrava che i due uomini avessero agito in aderenza a una particolare ideologia. Il gesto poteva “ricondurre a un’infelice goliardia”.
Oggi decade anche l’accusa di sequestro di persona, perché secondo il Pm non c’è stato dolo: la privazione della libertà personale non si sarebbe protratta per un lasso di tempo «giuridicamente apprezzabile». I due dipendenti della Lidl avevano sempre sostenuto che si era trattato di uno “scherzo”. Quindi secondo il Pm, si è trattato di soltanto di “un gesto di pessimo gusto”.
“Bravata” e “goliardata”, lo ricordiamo, sono gli stessi termini utilizzati per riferirsi alla vicenda che, di lì a poco, nel 2018, ha visto l’aggressione, con lancio di uova, nei confronti dell’atleta nazionale Daisy Osakue. Assimilabili sottilmente alla stessa retorica che in questi ultimi giorni ha caratterizzato il dibattito attorno alle offese razziste ricevute dalla pallavolista nera della nazionale italiana, Paola Egonu. Processi distorti di giustificazione e minimalizzazione di ciò che si ha paura di pronunciare, figuriamoci di identificare a chiare lettere come “razzismo”.
La banalizzazione degli atti di razzismo, il voler derubricare parole e fatti a mera goliardia, hanno l’effetto pernicioso di legittimare comportamenti simili, proprio perché ritenuti impunibili; hanno l’effetto di alimentare pregiudizi, stigmatizzazioni, e l’esclusione e la messa ai margini di una buona fetta della popolazione migrante che vive e lavora nel nostro Paese.
Oggi, è l’umanità ad essere stata chiusa in gabbia.