
L’Europeo 2020 è terminato con la vittoria della nazionale italiana, ma ha lasciato l’amaro in bocca per le numerose polemiche sorte attorno al tema del razzismo. Gli Europei di calcio saranno sicuramente ricordati per la campagna contro il razzismo nello sport e nella società, che ha riproposto il gesto in ginocchio di Black Lives Matter (nato come un gesto antirazzista isolato in Nfl americana, ndr), e per gli insulti razzisti che hanno riempito la rete dopo i rigori sbagliati da tre calciatori (neri, ndr) dell’Inghilterra nel corso della finale.
Anche la legge omofoba approvata in Ungheria da Orbán e lo striscione contro la comunità Lgbtq esposto alla Puskas Arena di Budapest dai tifosi ungheresi, hanno suscitato iniziative contrastanti. E sull’onda del razzismo, quello un po’ più “scontato”, si è inserito l’attaccante dell’Austria Marko Arnautovic di origine serba che, durante Austria-Macedonia del Nord, ha rivolto insulti razzisti al calciatore Ezgjan Alioski di origini albanesi.
La questione dell’inginocchiamento al momento del fischio d’inizio di ogni match ha tenuto banco giorno e notte durante l’intero torneo, sfidando anche le rigide direttive dell’Uefa emanate alla vigilia degli Europei, che chiedevano di non fare gesti politici.
Eppure aveva iniziato proprio l’Inghilterra, che già da un anno ha aderito alla campagna. Nella partita di esordio contro la Croazia, prima del fischio d’inizio, i giocatori della Nazionale inglese hanno posato il ginocchio a terra, come gesto simbolico di protesta contro il razzismo. I calciatori della Nazionale croata sono rimasti, invece, in piedi e non hanno condiviso il gesto degli inglesi.
Poi è stato il turno dei calciatori del Belgio, che guidati da Lukaku, hanno riproposto a ogni partita il gesto di inginocchiarsi. Inghilterra, Galles e Belgio quindi hanno apertamente aderito al “take the knee”.
I calciatori della Nazionale francese, guidati da Mbappé, in occasione dell’amichevole del 2 giugno contro il Galles si sono inginocchiati, annunciando che lo avrebbero rifatto agli Europei. Ma questa decisione ha generato in Francia divisioni tali da indurre Mbappé e compagni alla ritirata.
Poi c’è il gruppo numeroso di chi è sempre “rimasto in piedi,” indipendentemente dall’avversario: Ungheria, Macedonia del Nord, Repubblica Ceca, Russia, Spagna, Danimarca, Olanda, Croazia, Svezia, Ucraina e Polonia. E poi c’è l’Italia, indecisa, confusa, che prevede di non prendere l’iniziativa di inginocchiarsi, ma accetta di farlo nel caso in cui lo facciano gli avversari, per solidarietà. Prima i 5 giocatori (Belotti, Pessina, Bernardeschi, Toloi, Emerson) con il Galles (episodio che ha sollevato il dibattito) e poi tutti inginocchiati nel quarto di finale con il Belgio. Anche l’Austria e la Scozia hanno seguito la “filosofia” italiana.
Ci sono state scelte differenti anche per i direttori di gara, che in alcuni casi – con scelte personali – hanno deciso di unirsi (anche rischiando) al tanto discusso gesto: lo hanno fatto l’arbitro della sfida tra Belgio e Russia, lo spagnolo Antonio Mateu Lahoz, Felix Brych, e Daniele Orsato, durante l’esordio inglese nella competizione, a Wembley contro la Croazia.
Ma non hanno fatto in tempo a placarsi le polemiche su “in ginocchio si, in ginocchio no”, che ne sono arrivate altre, questa volta molto più forti.
Dopo la sconfitta in finale ai rigori per l’Inghilterra, sui social è partita un’ondata di insulti razzisti contro i tre giocatori neri della nazionale inglese che hanno sbagliato i rigori: il 23enne Marcus Rashford, il 21enne Jadon Sancho e il 19enne Bukayo Saka. Proprio quest’ultimo, attaccante dell’Arsenal, è stato il più bersagliato: “Mangiabanane” e “Ti odio scimmia, torna in Nigeria”, alcune delle offese apparse in rete corredate da emoticon di scimmie. Rashford, che era già stato insultato da alcuni ultrà dopo la sconfitta del Manchester United nella finale di Europa League con il Villarreal, è finito nel mirino e non solo sui social: un murales che gli era stato dedicato per il suo impegno a favore dei bambini è stato sfigurato (e poi, per fortuna, prontamente ripristinato).
La Federcalcio inglese si è detta “sconvolta dal razzismo online” che ancora una volta ha dimostrato l’importanza di gesti come l’inchino contro le discriminazioni prima delle partite della nazionale: “Non potremmo essere più chiari sul fatto che chiunque abbia un comportamento così disgustoso non sia il benvenuto nel seguire la squadra. Faremo tutto il possibile per supportare i giocatori colpiti e sollecitare le punizioni più dure possibili per chiunque sia responsabile”. Anche l‘Uefa ha condannato “con forza i disgustanti insulti razzisti rivolti a diversi calciatori dell’Inghilterra sui social media dopo la finale dell’Europeo, per i quali non c’è spazio nel calcio, né nella società”. Sicuramente le due istituzioni calcistiche, almeno in questo caso, hanno preso una posizione netta e non equivoca.
E mentre gli insulti rivolti a Marcus Rashford, Jadon Sancho e Bukayo Saka sono oggetto di un’inchiesta della polizia e sono stati condannati unanimemente sia dal premier britannico Boris Johnson che dal selezionatore Gareth Southgate, almeno Twitter e Facebook hanno assicurato che si sforzeranno di cancellare i commenti razzisti riversati sulle loro piattaforme. Almeno questo.
Ma se i tre giocatori fossero stati “bianchi”, avrebbero subito lo stesso trattamento? Ancora una volta appare evidente che la partita del razzismo va combattuta sul manto erboso e sugli spalti, ma anche oltre.